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ORO O LATTA: QUESTO È IL PROBLEMA
Abbiamo deciso di premiare con opportuni segni del nostro apprezzamento le opere letterarie e cinematografiche che hanno attratto il nostro interesse. Questa rubrica viene aggiornata quando ci pare e il nostro giudizio è inappellabile.

I TRIGOTTI

-Figura_aquila

Abbiamo il piacere di conferire l’aquila d’oro al grande poeta Don Francesco Maj per il volume:

 MAJ F. (2013) Testimonianze, Torino, Opera Diocesana Preservazione Fede   Recens.F.Maj Testimonianze.Copertina copia    

     Queste “testimonianze” costituiscono un’importante antologia poetica di un autore che meriterebbe di essere assai più conosciuto. Sono divise in quattro parti, la prima strettamente personale, contiene suggerimenti di varia origine e momenti di riflessione, la seconda è di tipo provvisorio e occasionale, la terza di natura locale presenta quanto hanno “sussurrato” al poeta alcune lapidi dei cimiteri situati nella valle dove è nato, la quarta parte infine è strettamente familiare. Nell’insieme compongono un diario personale “che termina quando l’autore non scrive più”. Si tratta dunque di un congedo dalla poesia?

 

 

I versi si succedono, generalmente a due a due sulla stessa riga, intervallati da un breve spazio, “per agevolarne la lettura”, ma in realtà questa partizione ha un ulteriore risultato, forse non previsto: quello di dare un particolare dinamismo al respiro della poesia, per l’alternarsi di versi doppi (talora tripli o quadrupli) e singoli; questi ultimi acquistano un particolare rilievo come punti fermi del discorso poetico. Oppure, leggendo una sola colonna, si accentua in modo fascinoso il carattere un po’ enigmatico che molti di questi componimenti posseggono.

Impossibile naturalmente dare un’idea completa di questa ricchissima materia poetica. Si rende necessaria una scelta che non le rende giustizia, trascurando liriche altrettanto importanti. La prima parte è senz’altro la più ricca, qualitativamente e quantitativamente.

Nel Prologo si rivela già il tema principale: l’interdipendenza degli esseri umani l’uno dall’altro, che indirettamente accenna alla Comunione dei Santi. Ogni essere umano, unico ed irripetibile, è parte degli altri e non può essere sostituito, appunto perché unico. Forse solo la poesia può ricomporre ad unità i legami allentati.

(…)

A tutti, amici prossimi e futuri, io devo rivelare quel che sono:

sono un brandello che vi fu rubato, la sofferenza a cui non date nome,

una parte di voi che vive altrove eppure non si lascia sostituire!

È forse un tentativo la poesia di ricomporre quanto fu diviso?

(…)

La confessione del poeta di sentirsi “frammento” di un cosmo amico testimonia un momento di dolcezza, privo di conflitti interiori, che l’anima in pace con Dio avverte. La sera è sempre stata simbolo dell’avvicinarsi della morte (vedi ad es. il sonetto Alla sera di Ugo Foscolo), qui avvertito però senza alcun timore o atteggiamento gladiatorio allo Foscolo, appunto.

Tutto ci trasporta!

Allor che nelle sere tu fai sosta

e di pensieri dolci di ritorno le valli e le campane si colorano

– invisibili mani si protendono per le nuvole a dipingere –

il cuore parla

con l’anima dei venti che dileguano e col prossimo lume delle stelle.

Avverti allora di essere un semplice frammento

In pace camminare nell’unica fiumana delle cose.

Similmente, nella natura e nella storia, che sono “scelte di bontà”, il poeta avverte la traccia dell’inesauribile bontà di Dio (la “voce che non viene meno”), al punto da dubitare che il suo cuore possa regga quando conoscerà la Parola creatrice, mentre su questa terra l’ordine divino non è evidente ma al contrario il Creato geme nelle doglie del parto. Il poeta deve imparare a decifrare e ricondurre ad unità i frammenti del reale, continuando a cercare, “pellegrino da sempre”, e a vivere obbedendo alla voce divina.

La natura e la storia sono “scelte di bontà”

Quando saprò di quale amore pulsano in tutte le mie vene

le parole che donano la vita sarà il cuore così forte da non morire?

Per enigmi torturanti imparo a ricomporre quanto in ogni frammento che calpesto

con gemiti di parto intende dire Colui che volle l’occhio di una madre

L’erba e la foglia l’aria e la luce e l’uccello che canta non veduto.

A quella voce che non viene meno nella fuga degli attimi di tempo

vivo obbedendo,pellegrino da sempre inguaribile spirito che cerca.

Di nuovo ritroviamo il pellegrino che avanza nel mondo illuminato dalla fede che ha ricevuto dai genitori: deve difenderla dagli spiriti ostili che vorrebbero spegnerla, mentre avanza verso la promessa che si rivelerà alla fine, “quando sarà asciugata ogni lacrima”.

La fede che accompagna…

Una fiaccola accesa da lungo tempo porti nella mano.

Teneri affetti e trepide speranze conobbe di tua madre

e lo studio severo di tuo padre.

Con gelidi soffi di ventoinvisibile spiriti insistenti si appostano soffiando.

Ora la fiamma splende come brace che illumina volti lontani,

ora debole interroga i tuoi passi chiedendo protezione.

La promessa celata nel futuro l’attende per potersi rivelare,

o pellegrino.

Fa’ che la senta sempre respirare.

Basterebbero queste tre ultime poesie per qualificare Francesco Maj come uno dei più significativi poeti spirituali della letteratura italiana, ma c’è ancora di più e meglio, come nella lirica che ha per protagonista una semplice foglia.

Una foglia ammonisce…

Senza moto è la foglia che resta sulla pianta.

Ha fatto dono al ramo di ogni sangue

e vide le compagne cadere ad una ad una sfigurate.

Così talora sosto,

immobile lo sguardo, ad avvertire

che sono vivo ma devo venir meno!

Senza esitazione si può considerare quest’ultimo componimento come il più perfetto esempio di meditazione sulla caducità, tema universale che ritroviamo in toni gladiatori nei Sepolcri foscoliani o sommessi nel “Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie” di Ungaretti (che non è poi che una eco del “Come le foglie sono le generazioni degli uomini” di Mimnermo), per non parlare di quel gran maestro del piagnisteo che è Giacomo Leopardi. In Germania, Wilhelm Müller (Der Lindebaum) ed Eduard Mörike (Denk es, o Seele) hanno dato voce in modo splendido a questi sentimenti, aiutati dalla musica, rispettivamente di Franz Schubert e Hugo Wolf. Ma quello che eleva il Maj al di sopra di tutti questi, pur illustri, esempi è che non si limita a lamentare la condizione umana, ma sa vedere come il singolo, per quanto condannato, ha operato per gli altri, come la foglia che sta per cadere ma intanto ha donato vita all’albero. È questa una visione che solo dalla fede e dalle virtù sorelle, speranza e carità, può trarre alimento, mentre colui al quale manca la fede non resta che la sfida prometeica assolutamente inutile o l’altrettanto inutile piagnisteo.

Dio è ovunque, vuol dirci il poeta ne La Visitazione. L’anima dev’essere pronta ad accoglierlo gioiosamente in ogni momento, senza remore razionalistiche. È Lui la sorgente del canto che porta a benedire tutto il creato. Tutto è bene perché tutto viene da Dio, che ci colma di doni dei quali non ci rendiamo conto.

La Visitazione…

Se ti assale improvvisa quella gioia che dona al canto l’ali irresistibili,

e spiriti non noti ti trasportano a benedire morte e vita e tempo,

non indugiare in povere domande e libera la gola a piena lode.

Domani appena o forse fra millenni conoscerai che ignota nella folla

Ti camminò la Vergine vicina con in grembo il bambino salvatore.

I doni non veduti come fiori profumano di un campo!

Ma l’uomo, sedotto dagli idoli, disprezza i doni di Dio e abbandona la terra creata per affollarsi in metropoli sempre più simili a Babilonia. Questa Ingratitudine è uno dei temi che caratterizzano la visione profondamente cristiana del poeta:

 Han cantato le foglie dell’estate allegre per l’odore della terra;

le vigne han preparato la vendemmia calde di sole al vertice dei colli.

Ma le strade restarono deserte, ponti e sentieri e casolari antichi

Hanno bruciato il cuore in solitudine.

L’incredulo settembre attese invano

E all’ottobre cedette la paura degli uccelli venuti a depredare.

Come furono gli occhi torturati! Caddero i grani colmi sanguinando.

Poi vennero le piogge di novembre

a tergere con lacrime di freddo le piaghe della nera ingratitudine.

Ora sui colli restano i fantasmi delle piante impazzite dal dolore.

Non sono i doni colti da nessuno!

A questa disperata visione della campagna abbandonata, fa da contraltare, altrettanto deprimente, la scena della metropoli-Babilonia, dove il Natale non sembra ormai aver nulla da dire alla gente, e non resta che raccomandarsi a San Francesco perché intervenga a rendere limpida la visione del mondo che invece si oscura sempre più nel fragore delle macchine:

Natale 1984

Cammino nella notte di Natale pellegrino più stanco di una volta.

Mi sussurra il rumore delle strade “Colui che deve nascere dov’è?”

Ha solo fretta il volto della gente.

Io mi sorprendo, quasi vaneggiando,

a interrogarmi come riconoscere fra tante facce quella di una Vergine

che deve partorire un salvatore…

Mi avvertono le file dei palazzi che tutto è freddovuoto e non c’è posto.

Alle luci domando delle piazze se qualche grotta fosse preparata

dove ancora una madre silenziosa possa scaldare il figlio sfortunato.

O pellegrino stanco di passato, la tua sete è l’unica lucerna,

è il cuore ormai deluso dall’inganno qui soltanto bisogna che rinasca!

Natale 1987

O Francesco d’Assisi, poverello, vorrei comporre ancora il tuo presepio

con animali vivi e con persone dal cuore puro, ardente nel ricordo;

e ti domando come diventare capace del tuo sguardo che vedeva

sorella Luna bianca illuminare monti assorti in angeliche visioni

e conosceva la bontà del gelo tutto silenzio intento ad ascoltare

l’adorante silenzio della Vergine.

Io solitario mi aggiro nel freddo venticinque novembre di quest’anno

e incontro solamente molte pietre e file di negozi pronti a vendere

e strade che permettono la fuga.

Ma le case accoglienti sono rare e nelle case mancano i bambini

Soffocati dai farmaci di Erode in bianchissimo camice vestito.

E sono cupamente reso sordo da sirene, da clackson, dal furore

di macchine che sempre si allontanano…

E possibile il cantico degli Angeli? Non sono forse mortalmente cieco?

Da questa desolata mia visione chiedo salvezza, semplice fratello,

e ti domando: rendimi capace di scorgere le cose a cui parlavi!

Ancora sull’anomia nella metropoli:, il poeta ricorre nuovamente alla metafora della foglia perduta nella polvere e alla mercé d’ogni soffio di vento, una foglia che non può certo accampare diritti di “liberté, egalité, fraternité” – questi semplici specchietti per le allodole – ma è soltanto “Nessuno”, una “rapida comparsa” che a nessuno interessa. Il sole, creatura voluta da Dio, è l’unico ad accorgersi di lei.

Nessuno? (a Parigi)

Immagini di volti case e borghi dileguano e ragioni.

Senza ricordi, sono come foglia in sosta breve o spersa nella polvere

delle strade affrettate.

E resto tra moltissimi Nessuno forse rapida comparsa

Dal sole appena accorto interrogata.

Una pietra dà occasione al poeta per una meditazione sulla povertà della nostra capacità di percezione, di contro alla visione dal Cielo, dove un millennio è come un secondo e un secondo è come un millennio.

 Parole di una pietra… (in un frammento c’è una ricchezza sconfinata…)

Da secoli qui sosto, o pellegrino, i piedi sprofondati nella terra.

A gustare il sapore di un momento il cuore sosta immobile, adorando.

E mi credono pietra solamente!

All’orecchio dell’uomo pellegrino non bastano i millenni per capire

di un unico momento le parole…

E solo trascurando può procedere!

O ricchezza infinita dell’istante l’eternità soltanto può conoscerti!

E ancora sulla limitatezza delle nostre percezioni, della nostra comprensione, mentre i doni di Dio ci attendono, mentre noi di guardiamo allo specchio, incapaci di coglierli. È in questo profondo senso religioso che sta la capacità del Maj di cogliere l’essenziale e dire cose che coinvolgono l’essenza stessa di ciò che è umano.

 Allo specchio…

Quando allo specchio sosti lungamente

Interrogando il volto che tu scorgi un Angelo sovente t’è vicino.

E vorrebbe donare quanto chiedi, con mani colme e l’ali dispiegate.

Ma tu non sai capire le parole dell’occhio che ti guarda interrogando!

Deluso unicamente dal presente,

o cuore umano indocile attendendo ignori sempre quello che ti manca!

Una profonda verità: la vita intera è un funerale. Ma da ciò non scaturisce alcun sentimento morboso, ma soltanto la constatazione di un fatto inevitabile che, nel viaggio della vita, occupati come siamo in mille cose, troppo spesso tendiamo a dimenticare, mentre dovremmo prepararci all’incontro col Giudice al quale nulla si può nascondere. Di più, il dubbio è che la morte, inavvertitamente, sia già venuta, e che a tutti si debba chiedere perdono, anche se non si può più percepire la risposta.

Un funerale…

È questo un funerale molto strano perché dura da quando respiriamo.

Viaggiamo chiacchierando sospesi a mille istanti fragilissimi.

Forse la nostra tomba già si scorge e manca solo il nome.

Un nulla basta per aprire e chiudere

e un attimo di sosta

non vi permette più di camminare!

Forse…

Forse io sono già morto e non ricordo dove e l’ora e come.

Con piedi stanchi, l’occhio supplicante

mi aggiro per le strade di una volta ignoto a tutti

a rivedere solo con me stesso

turbati volti ed attimi e sentenze di giorni già passati.

E trovo che mi scottano le impronte indelebili d’attimi vissuti;

parole dette e sordi desideri, macchiate gesta e vuoti non colmati…

Le fiamme dilaganti non si spengono, non genera il rimorso nuova vita!

Privo di forze, io devo a tutti chiedere perdono.

Non posso più sentire la risposta.

Stupenda questa visione di un compleanno, che riporta indietro il poeta al giorno della sua nascita, alla fortuna di aver avuto buoni genitori, e subito dopo lo restituisce al presente, all’imminenza dell’“ultimo traguardo”, col desiderio di rivedere in Cielo quei genitori i cui cuori erano “solo fiamma” e “nel gaudio del Signore” ringraziarli.

Compleanno 1996!

Io vedo nella nebbia delle lacrime, vedo una madre bianca e quasi esangue

ascoltare il respiro appena udibile di un bimbo che non piange perché dorme…

Non mi conosco appena sono nato e tutto mi contemplo come in sogno.

La culla dondolante si disperde.

Velocemente ancora mi allontano dal biancore silente della Scalve

e cammino negli anni che mi portano col soffio generante dell’aurora.

Nell’attimo imminente… dell’ultimo traguardo

vorrei che ancora il volto trepidante

del padre e della madre di una volta illuminasse l’anima redenta.

Nel gaudio del Signore vi ringrazio eterno dono, cuori solo fiamma.

Un’ansiosa invocazione al “Tu” eterno, che è un “Chi”, è la Verità che rende liberi e salva, non una verità idea e concetto astratto, ma una Persona, l’unica che ha potere di redimere e salvare.

O Tu…

O tutto silenzio o sola Presenza io sono in ascoltoio sono in attesa.

Chi deve svelarsi? Chi deve parlare?

O Tu che ascolti, fa’ presto a salvarmi!

Io sono quell’ombra che deve svanire!

Sulla stessa linea di pensiero, questa bellissima invocazione al Padre prefigura il dissolversi di tutto il male sofferto, divenuto fonte di santificazione, e ripropone il paolino “cupio dissolvi et esse cum Christo”.

Quando…

Quando, o Padre, con cenno non visibile irresistibilmente e un po’ sorpreso,

da questa sponda tu mi chiamerai,

il cuore ardente colmo di segreti nella tua luce avrà liberazione.

Ora debbo domare nel silenzio le colpe conosciute con sgomento,

il sapore di gelidi ricordie van e attese e nere delusioni,

la rissa delle lingue menzognere.

Concedimi il benevolo silenzio e la pace profonda del perdono…

Appena nella luce del Mattino i sogni svaniranno e Ti vedremo,

benediremo quanto nel cammino fu di pianto sorgente e di spavento.

In questi Anniversari è, da una parte, l’amara constatazione del grande inganno della vita materiale, che fa balenare l’ingannevole “splendida occasione” che si perde, mentre il giorno della vita declina e gli orizzonti si restringono; ma dall’altra il tramonto di questa vita avvicina sempre più il momento di entrare nella vita vera, nell’eternità e nell’infinito. Anche in queste due poesie l’autore riesce a racchiudere in poche, semplici parole, verità eterne che toccano tutta l’umanità.

Anniversario – 2000!

A lungo ho camminato aspettando il momento migliore,

inseguendo la splendida occasione…

Adesso mi accorgo che l’istante felice

era forse sperduto nel passato.

Il giorno declina con passo veloce… e seguito a scendere

con sempre minori domande fra strade più strette.

Saluto le pietre che debbo pestare nel rosso tramonto…

Anniversario – 2001!

Ancora mi avverto nel corso del tempo migrare lontanodal primo vagire…

Ebbrezza di vita continua crescente erompere vivodi giorni in cammino.

Nell’attimo certodel moto perenne indugio un istante per dirvi il mio grazie

o Dio della vitasorgente e destino,o  madre amorosa, o vigile padre…

fusione di spiritie corpi assetati accolti ed offertinel dono totale.

Il grido improvvisodel bimbo che nacque

a un mondo si schiude che non finirà e seguita a chiedere più spazio, più luce…

Il tempo non basta per dire chi sono!

Un capolavoro assoluto è questa lirica che propone il contrasto fra il desiderio di purezza e di perfezione e i “cocci desolati” in cui il morso del maligno riduce la vita umana. Su questo disastro si erge però il “Tu” del misericordioso interlocutore, Colui che asciuga ogni lacrima e vuole che tutti si salvino, e fra questi predilige e accoglie chi in lui si rifugia, qualunque cosa abbia fatto. “Cor contritum et humiliatum Deus non despicies” (Salmo 17, 51).

Desiderio e realtà…

Io volevo portarti bianchi fiori raccolti per i prati dove i bimbi

inseguono farfalle variopinte…

Volevo sull’altare delle offerte recare un vaso tutto d’oro vivo

Soltanto da profumi incoronato…

Ora con cocci desolati giungo sferzato dalla cruda delusione…

Ignobili cadute han consumato il tesoro sognato lungamente.

Sospiri e sogni restano perduti.

Tutto occorre riprendere da capo.

Non era il nulla meglio della colpa?

Ma Tu mi dici senza delusione:

Dammi i frammenti con il cuore infranto e cedimi il tuo male doloroso…

Di fango c’è bisogno per creare!

Ancora sul tema della caducità, ritorna la metafora della foglia morente in questa bellissima lirica.

Salvezza?

Ho veduto una foglia inseguita dal vento

impazzita fuggire inciampare tra i sassi dilaniata da rami…

Dal nemico invisibile (furibondo ululava per il lungo viale)

invocare pareva un attimo di tregua…

Curvato sulla terra ho voluto afferrar laper poterla salvare.

Nella mano delusa ebbi solo la polvere!

Ed è un dispiacere dover tacere, per la necessaria brevità, di tante altre poesie di grande e vera bellezza. Veramente profetiche le due liriche dedicate al paese Valtorta (Visione a Valtorta e In un bosco… a Valtorta), per me che sono un difensore a spada tratta della grande e perseguitata veggente che porta questo nome e del messaggio a lei affidato dal Divino Maestro.

Bellissimi pure i Quattro sonetti indissociabili… che esprimono in modo delicato e profondo l’anelito al divino e la lotta contro il nemico interiore che vorrebbe tutto distruggere.

Palese il carattere estemporaneo degli Incontri col Vangelo, che non sempre raggiungono la profondità delle liriche della prima parte.

Lo stesso può dirsi dei Colloqui di altri e con altri. Notevole comunque A Maria di Magdala e Dalla aurora rivelante alla “notte oscura” fino alla disperazione! La “notte oscura” è uno stato di sofferenza ben noto ai mistici, e si ha quando Dio sembra essersi ritirato. Lo sperimentò per quaranta giorni, durante lo sfollamento a S. Andrea di Còmpito (provincia di Lucca) nel 1944, la grande veggente Maria Valtorta che ne attesta la terribilità. In questa parte dell’antologia poetica del Maj, una cosa mi è rimasta tuttavia incomprensibile: l’empatia dimostrata nei confronti di Annibale a Zama e la repulsione verso Roma che vi è espressa; ringraziamo invece Roma che ha posto fine ai mostruosi sacrifici di bambini a Moloch ed ha preparato la via alla diffusione ecumenica del Cristianesimo, “quella Roma onde Cristo è Romano”, come proclama il Sommo Poeta (Purgatorio, XXXII, 102).

Molto bella è la parte dedicata alle lapidi, che costituisce una sorta di Spoon River nostrano, che non resta affatto indietro al modello, anzi lo supera. Particolarmente degne di menzione le liriche ispirate alle lapidi dei Tre morti della Ia guerra mondiale, ma sono tutte poesie bellissime, degne di figurare in ogni antologia per le scuole, se solo gli insegnanti dessero un po’ meno spazio alla spazzatura.

Molto bella l’ultima serie, di carattere personale. Nell’impossibilità di rendere giustizia all’intera serie, va segnalata almeno la lirica Per Francesco, in cui è la madre defunta a parlare al figlio. Struggente e stupendo infine il Commiato, che corona degnamente un libro di poesia più unico che raro.

Nell’insieme si ricava l’immagine del poeta in viaggio nella vita, come pellegrino, il quale offre di momenti spirituali da condividere coi propri simili. Non si può dire nulla di diverso di qualunque raccolta poetica che abbia valore, a cominciare dal Canzoniere del Petrarca e dai Canti leopardiani.

Vi regna un senso di caducità di tutte le cose, ma sempre confortato dalla Fede. Sia che scriva in rima o in stile più libero, Francesco Maj si rivela veramente un grande poeta, pieno di sentimento senza mai cadere nel mieloso, capace di bellissima poesia, sia puramente religiosa che ispirata alla natura o alla vita familiare, ma sempre in una luce di fede.

Don Francesco Maj, anche con questo importante volume di liriche, si conferma poeta di tutto rispetto, di stratosferica superiorità rispetto ai poeti di regime che vanno per la maggiore. Come già osservato recensendo il bellissimo Canto di Mosé del medesimo autore, La cultura odierna, dominata da una sinistra inamovibile che ha occupato tutti i posti chiave, non è in grado di apprezzare opere come questa, per non parlare della grossolanità della destra in tutt’altre faccende affacendata. Si consoli il poeta pensando che questo mondo passa e che il bene fatto e le nostre opere, anche artistiche, saranno giustamente conosciute, preservate, valutate e premiate da un Tribunale che non è certo quello dei miserabili premi letterari istituiti da emerite nullità e pilotati da emerite nullità per premiare emerite nullità.

EMILIO BIAGINI


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