•  
  •  
  •  

Johann Wolfgang Goethe
(Frankfurt am Main 1749 – Weimar 1832)

Mahomets Gesang

Seht den Felsenquell,
freudehell,
wie ein Sternenblick,
über Wolken
nährten seine Jugend
gute Geister
zwischen Klippen im Gebüsch.
Jünglingfrisch
tanzt er aus der Wolke
auf die Marmorfelsen nieder,
jauchzet wieder
nach dem Himmel.
Durch die Gipfelgänge
jagt er bunten Kieseln nach,
und mit frühen Führertritt
reißt er seine Bruderquellen
mit sich fort.
Drunten werden in dem Tal
unter seinem Fußtritt Blumen,
und die Wiese
lebt von seinem Hauch.
Doch ihn hält kein Schattental,
keine Blumen,
die ihm seine Knie umschlingen
ihm mit Liebsaugen schmeicheln:
nach der Ebne dringt sein Lauf,
schlangewandelnd.
Bäche schmiegen
sich gesellig an. Nun tritt er
in die Ebne silberprangend,
und die Ebne prangt mit ihm,
und die Flüsse von der Ebne
und die Bäche von den Mergen
jauchzen ihm und rufen: Bruder!
Bruder, nimm die Brüder mit,
mit zu deinem alten Vater,
zu dem ew’gen Ozean,
der mit ausgespannten Armen
unser wartet,
die sich, ach, vergebens öffnen
seine Sehnenden zu fassen.
Denn uns frißt in öder Wüste
gier’ger Sand. Die Sonne droben
saugt an unserm Blut. Ein Hügel
hemmet uns zum Teiche! Bruder
nimm die Brüder von der Ebne,
nimm die Brüder von den Bergen,
mit, zu einem Vater mit!
Kommt ihr alle!
Und nun schwillt er
herrlicher. Ein ganz Geschlechte
trägt den Fürsten hoch empor!
Und in rollenden Triumphe
gibt er Ländern Namen, Städte
werden unter seinem Fuß.
Unaufhaltsam rauscht er weiter,
läßt der Türme Flammengipfel,
Marmorhäuser, eine Schöpfung
seiner Fülle, hinter sich.
Zedernhäuser trägt der Atlas
auf den Riesenschultern. Sausend
wehen über seinem Haupte
tausend Flaggen durch die Lüfte,
Zeugen seiner Herrlichkeit.
Und so trägt er seine Brüder,
seine Schätze, seine Kinder
dem erwartenden Erzeuger
freudebrausend an das Herz.

IL CANTO DI MAOMETTO
Vedete la fonte che scaturisce dalle rupi, rispledente di gioia, come un raggio di stelle, buoni spiriti sopra le nuvole tra le rupi nei cespugli nutrirono la sua gioventù.
Fresco siccome fanciullo egli danza dalle nuvole sulle sottostanti marmoree rupi, esulta verso il cielo.
Di vetta in vetta egli cerca sassetti colorati e con precoce andatura di capo trascina con sé le sue fonti fraterne.
In basso nella valle nascono fiori sotto il suo passo e i prati vivono grazie al suo alitare.
Ma non lo arresta alcuna ombrosa valle, alcun fiore che abbraccia le sue ginocchia, che lo lusinga con occhi innamorati, il suo cammino si affretta verso la pianura, con moto serpentino.
Ruscelli gli si stringono con tenerezza. Ora egli, risplendendo d’argento, calca la pianura, e la pianura con lui risplende, e i fiumi della pianura, e i ruscelli dei colli esultano al suo apparire e lo chiamano: Fratello! Fratello, prendi con te i fratelli, portali al tuo antico Padre, all’eterno oceano che con braccia spalancate ci attende, che invano, ahimé, si aprono per afferrare quelli che lo bramano.
Poiché noi trasciniamo una vita stentata nella vorace sabbia dello squallido deserto. Il sole ci prosciuga il sangue. Un colle ci ostacola l’accesso al laghetto! Fratello prendicon te i fratelli della pianura, prendi i fratelli dei monti, e conducili all’unico Padre!
Venite tutti! Ed ora egli più magnificamente risplende. Un intero popolo in alto eleva il principe! E nell’inarrestabile trionfo dà nomi alle terre, città nascono sotto i suoi piedi.
Inarrestabile avanza, lascia dietro di sé il fiammeggiante culmine delle torri, lascia palazzi di marmo, una creazione della sua pienezza,
Case di cedro porta l’Atlante sulla gigantesche spalle. Sibilando sventolano nell’aria sulla sua pelle mille bandiere, testimoni del suo splendore.
E così egli porta i suoi fratelli, i suoi tesori, i suoi figli al Creatore in attesa, traboccante di gioia nel suo cuore.

Una tradizionale amicizia lega il mondo germanico luterano al mondo islamico e in special modo alla Turchia. Con l’affermarsi del protestantesimo, i principi luterani della Germania (come pure l’Inghilterra e tutte le altre potenze protestanti) considerarono propri nemici i cattolici piuttosto che i maomettani. Naturalmente, come si conveniva ai buoni illuministi, e agli odierni laicisti, vale la regola ABC, Anything But Christianity (Qualunque cosa eccetto il Cristianesimo), e quindi Maometto, da piccolo Führer soffrente di allucinazioni, diventa in questa poesia una specie di Superman, oggetto di un’esaltazione così sperticata e iperbolica da risultare assolutamente ridicola. Grande simpatia per l’Islam manifestarono i nazisti, molti dei quali, sfuggiti alla giustizia, trovarono rifugio nei paesi islamici per continuare a combattere contro Israele, peraltro col sostegno dell’Unione Sovietica. “Non ho nulla contro l’Islam, perché questa religione s’incarica d’istruire gli uomini, promettendo loro il cielo se combattono con coraggio e si fanno uccidere sul campo di battaglia: in breve, è una religione molto pratica e seducente per un soldato”, parola di Himmler (1943). È ben noto che il mullah di Gerusalemme fu accanito sostenitore del nazismo (e gli alleati, per paura di una sollevazione del Medio Oriente che avrebbe potuto compromettere il commercio del sacro petrolio, non osarono processarlo a Norimberga benché, come istigatore dell’Olocausto, lo meritasse non meno dei gerarchi nazisti). E, ancor oggi, in molti paesi islamici, il libro più letto, fra quelli di argomento politico, è Mein Kampf di Adolf Hitler.

Emmanuel Johann Josef Schikaneder
(Straubing 1751 – Steyr 1812)

Der Hölle Rache
 (dal libretto per Die Zauberflöte di Wolfgang Amadeus Mozart)

Der Hölle Rache kocht
in meinem Herzen,
Tod und Verzweiflung,
flammet um mich her!
Fühlt nicht durch dich
Sarastro Todesschmerzen,
so bist du meine Tochter nimmermehr!
Verstoßen sei auf ewig,
verlassen sei auf ewig,
zertrümmert sei’n auf ewig,
alle Bande der Natur,
verstoßen, verlassen und zertrümmert
alle Bande der Natur,
wenn nicht durch dich Sarastro wird erblassen!
Hört, hört, hört, Rachegötter!
Hört der Mutter Schwur!

Vendetta infernale
Vendetta infernale ribolle nel mio cuore, morte e disperazione divampano intorno a me! Se tu non senti in te gli spasimi mortali di Sarastro, non sei più mia figlia! Respinti siano in eterno, abbandonati siano in eterno, infranti siano in eterno tutti i legami di natura, respinti, abbandonati e infranti tutti i legami di natura, se Sarastro non sarà da te assassinato. Udite, udite, udite, voi dei della vendetta! Udite il giuramento della madre!

Questa prima aria dell’opera lirica Die Zauberflöte di Wolfgang Amadeus Mozart, su libretto di Schikaneder, viene cantata dalla Regina della Notte, simbolo della Chiesa Cattolica: un personaggio che, in perfetto stile massonico, è presentato come l’incarnazione della malvagità. L’intera opera altro non è che una metafora dell’iniziazione massonica. Già allora l’Austria cattolica era minata dalla penetrazione massonica nelle alte sfere del potere: amico e protettore dei massoni, se non massone egli stesso, era l’imperatore Giuseppe II (anni di regno: 1780-1790), le cui avventate riforme laiciste suscitarono non poco turbamento nella popolazione, ancora profondamente devota e tradizionalista. Non dobbiamo dimenticare che, in un’epoca come la fine del Settecento, nella quale non esistevano i mezzi di comunicazione di massa, l’opera lirica non era una semplice occasione di divertimento e di incontro mondano come oggi, ma un potente mezzo di propaganda.

Franz Petran
(seconda metà sec. XVIII)

Die Maurerfreude

Aria
Sehen, wie dem starren Forscherauge
die Natur ihr Antlitz nach und nach enthüllet;
wie sie ihm mit hoher Weisheit
voll den Sinn und voll das Herz mit Tugend füllet:
das ist Maureraugenweide,
wahre, heiße Maurerfreude.

Recitativo
Sehen, wie die Weisheit und die Tugend
an den Maurer, ihren Jünger,
hold sich wenden, sprechen:
Nimm, Geliebter, diese Kron’
aus unsers ält’sten Sohns,
aus Josephs Händen.
Das ist das Jubelfest der Maurer,
das der Triumph der Maurer.

Aria con coro
Drum singet und jauchzet, ihr Brüder!
Laßt bis in die innersten Hallen
des Tempels den Jubel der Lieder,
laßt bis an die Wolken ihn schallen!
Singt, Lorbeer hat Joseph,
der Weise, zusammengebunden,
mit Lorbeer die Schläfe
dem Weisen der Maurer umwunden.
Lorbeer hat Joseph,
der Weise, zusammengebunden,
mit Lorbeer der Schläfe
dem Weisen der Maurer umwunden.

La gioia massonica
Aria
Vedete come all’occhio intento del ricercatore sempre più la natura svela il suo volto; come essa con alta saggezza riempie il senno e il cuore di virtù: questo è il piacere per gli occhi del massone, vera, rovente gioia del massone.
Recitativo
Vedete, come la saggezza e la virtù gentili si rivolgono al massone, al suo apprendista, e gli dicono: Prendi, o amato, questa corona, dal nostro più illustre figlio, dalle mani di Giuseppe. Questa è la festa del massone, questo il trionfo del massone.
Aria con coro
Quindi cantate e giubilate, voi fratelli! Lasciate che fin nelle più riposte sale del tempio il giubilo del canto risuoni, risuoni fino alle nuvole! Cantate, alloro ha intrecciato il saggio Giuseppe, con alloro ha avvolto il massone le tempie del saggio.

Cantata per tenore, coro maschile e orchestra KV 471, con musica di Wolfgang Amadeus Mozart; scritta il 20 aprile 1785 da un oscuro poeta del quale non si sa gran che, se non che, oltre che massone, era pure un prete cattolico, a prova della tecnica di infiltrazione della Chiesa cattolica dall’interno (un nido di termiti all’interno rovina la casa molto meglio di un branco di lupi all’esterno), sotto il regno dell’imperatore Giuseppe II, grande protettore della massoneria.
La prima esecuzione ebbe luogo nella loggia Zur gekrönten Hoffnung (Alla speranza incoronata), a Vienna, il 24 aprile 1785. Interessante il confronto con l’“Ode alla gioia” di Schiller, che è più “alata” e lirica; qui il testo è assai più banale e piattamente didascalico e si abbandona a cortigianesche sviolinate all’imperatore.
Va infine sottolineato il compiacimento scientista dei versi di apertura: quel ricercatore che sempre più va svelando i segreti della natura, che adombra un’umanità sempre più padrona del proprio destino, le “magnifiche sorti e progressive”, e tutto quell’atteggiamento di arroganza tipico dell’uomo che confida nell’uomo, dimenticando il Creatore, con le amare conseguenze che ogni giorno possiamo constatare. E, se mai, lo studio delle scienze fisiche sta sempre più rivelando un’immagine dell’universo pienamente compatibile con la dottrina cristiana della Creazione, altro che trionfo del materialismo.

Friedrich Schiller
(Marbach, Stoccarda 1759 – Weimar 1805)

An die Freude

Freude, schöner Götterfunken,
Tochter aus Elysium,
wir betreten feuertrunken,
Himmlische, dein Heiligtum.
Deine Zauber binden wieder,
was die Mode streng geteilt;
alle Menschen werden Brüder,
wo dein sanfter Flügel weilt.

Chor
Seid umschlungen, Millionen!
Diesen Kuss der ganzen Welt!
Brüder überm Sternenzelt
muß ein lieber Vater wohnen.

Wem der große Wurf gelungen,
eines Freundes Freund zu sein,
Wer ein holdes Weib errungen,
mische seine Jubel ein!
Ja — wer auch nur seine Seele
sein nennt auf dem Erdenrund!
Und wer’s nie gekonnt, der stehle
weinend sich aus diesem Bund.

Chor
Was den großen Ring bewohnet,
huldige der Sympathie!
Zu den Sternen leitet sie,
wo der Unbekannte thronet.

Freude trinken alle Wesen
an den Brüsten der Natur;
alle Guten, alle Bösen
folgen ihrer Rosenspur.
Küsse gab sie uns und Reben,
einen Freund, geprüft in Tod;
Wollust ward dem Wurm gegeben,
und der Cherub steht vor Gott.

Chor
Ihr stürzt nieder, Millionen?
ahnest du den Schöpfer, Welt?
such’ ihn überm Sternezelt!
Über Sternen muß er wohnen.

Freude, heißt die starke Feder
in der ewigen Natur.
Freude, Freude treibt die Räder
in der großen Weltenuhr.
Blumen lockt sie aus den Keimen,
Sonnen aus dem Firmament,
Sphären rollt sie an den Räumen,
die des Sehers Rohr nicht kennt.

Chor
Froh, wie seine Sonnen fliegen
durch des Himmels prächt’gen Plan
wandelt, Brüder, eure Bahn,
freudig, wie ein Held, zum Siegen.

Aus der Wahrheit Feuerspiegel
lächelt sie den Forscher an.
Zu der Tugend steilem Hügel
leitet sie des Dulders Bahn.
Auf des Glaubens Sonnenberge
sieht man ihre Fahnen wehn,
durch den Riß gesprengter Sarge
sie im Chor der Engel stehn.

Chor
Duldet mutig, Millionen!
Duldet für die beßre Welt!
Droben überm Sternenzelt
wird ein großer Gott belohnen.

Göttern kann man nicht vergelten,
schön ist’s, ihnen gleich zu sein.
Gram und Armut soll sich melden,
mit den Frohen sich erfreun.
Groll und Rache sei vergessen,
unsern Todfeind sei verziehn.
Keine Träne soll ihn pressen,
keine Reue nage ihn.

Chor
Unser Schuldbuch sei vernichtet!
Ausgesöhnt die ganze Welt!
Brüder — überm Sternenzelt
richtet Gott, wie wir gerichtet.

Freude sprudelt in Pokalen,
in der Traube goldnem Blut
trinken Sanftmut Kannibalen,
die Verzweiflung Heldenmut.
Brüder, fliegt von euren Sitzen,
wenn der volle Römer kreist,
laßt den Schaum zum Himmel spritzen:
dieses Glas dem guten Geist.

Chor
Den der Sterne Wirbel loben,
den des Seraphs Hymne preist,
dieses Glas dem guten Geist
überm Sternenzelt dort oben!

Festen Mut in schweren Leiden,
Hilfe, wo die Unschuld weint,
Ewigkeit geschwornen Eiden,
Wahrheit gegen Freund und Feind,
Männerstolz von Königsthronen, —
Brüder, gält’ es Gut und Blut —
Dem Verdienste seine Kronen
Untergang der Lügenbrut!

Chor
Schließt den heil’gen Zirkel dichter,
schwört bei diesem goldnen Wein,
dem Gelübde treu zu sein,
schwört es bei dem Sternenrichter!

Alla gioia
Gioia, bella scintilla divina, figlia dell’Elisio, noi penetriamo ebbri di fuoco, o Celeste, nel tuo santuario. Le tue magie legano di nuovo ciò che la moda aveva fortemente diviso: tutti gli uomini divengono fratelli dove palpita la tua balsamica ala.
Ricevete un abbraccio, milioni! questo bacio a tutto il mondo! Fratelli, sopra la volta del cielo deve abitare un Padre amoroso.
Colui al quale è toccata la fortuna di una vera amicizia, chi ha conquistato una dolce compagna, unisca il suo giubilo! Sì — chi pure sulla terra può dire propria solo la propria anima! E chi non può, piangendo si allontani da questo vincolo.
Ciò che abita il grande cerchio renda omaggio alla simpatia! Alle stelle essa conduce, dove troneggia l’ignoto.
Gioia bevono tutti gli esseri ai seni della natura, tutti i buoni, tutti i malvagi, seguono la sua traccia rosata. Baci ci ha dato e tralci, un amico fedele fino alla morte; voluttà fu data al drago, e il cherubino sta in piedi di fronte a Dio.
A milioni si prostrate? Mondo, senti il Creatore? Cercalo al di là del cielo stellato. Al di sopra delle stelle deve abitare.
Gioia si chiama la forte penna nell’eterna natura. Gioia, gioia spinge le ruote nel grande orologio dei mondi. Fiori essa schiude dai germogli, soli dal firmamento, sfere essa fa rotolare negli spazi, che il canocchiale dell’osservatore non conosce.
Lieti, come i suoi soli volano per la splendida volta del cielo, percorrete, fratelli, la vostra strada, con gioia, come un eroe che va alla vittoria.
Dallo specchio di fuoco della verità essa sorride al ricercatore. Alla ripida vetta della virtù essa conduce il cammino del paziente. Sui soleggiati monti della fede si vedono sventolare le bandiere, attraverso lo squarcio delle bare infrante essa sta nel coro degli angeli.
Pazientate con coraggio, o milioni! Pazientate per un mondo migliore! Al di là della volta celeste un più grande Dio vi ricompenserà.
Agli dei non si possono offrire ricompense, ad essi è bello essere uguali. Affanno e povertà possono venire avanti, rallegrarsi con chi è lieto. Rancore e vendetta siano dimenticati, perdonato sia il nostro arcinemico. Non lo tormentino le lacrime, non lo agiti il rimorso.
Annientato sia il libro dei nostri debiti! Riconciliato tutto il mondo! Fratelli — al di sopra della tenda celeste Dio giudica come noi giudichiamo.
Gorgoglia la gioia nei boccali, nel dorato sangue della vite bevono mitezza i cannibali, beve eroico coraggio la disperazione. Fratelli, volate dai vostri seggi quando il vino generoso viene fatto girare intorno, che la schiuma sprizzi al cielo: questo bicchiere sia dedicato al buon spirito.
A colui che il vortice delle stelle loda, a colui che l’inno dei serafini esalta, al buon spirito, lassù al di sopra della teda celeste, sia dedicato questo bicchiere.
Saldo coraggio in dura sofferenza, aiuto all’innocente che piange, eterni giuramenti, verità nei confronti dell’amico e del nemico, virile orgoglio di regali troni, — o fratelli, si consacrino i beni e il sangue — al meritevole le sue corone, rovina al mentitore!
Stringete il sacro circolo, giurate per questo dorato vino, di essere fedeli al giuramento, giurate per il giudice delle stelle!

Dall’“Ode alla gioia” di Friedrich Schiller sono tratti i versi cantati nel finale del quarto movimento della Nona Sinfonia in re minore op. 125 “Corale” di Ludwig van Beethoven. È appunto in questa forma ridotta che la poesia viene presentata qui. Due versi sono stati modificati da Beethoven: “was die Mode streng geteilt; / Alle Menschen werden Brüder”, mentre l’originale di Schiller diceva: “was der Mode Schwert geteilt; / Bettler werden Fürstenbrüder”, ossia: “ciò che la spada della moda ha diviso: / mendicanti divengono fratelli di principi”). La gioia cantata dal poeta è naturalmente la gioia massonica, in diretta opposizione alla presunta “tristezza” della Fede cattolica, che da sempre la setta massonica cerca di distruggere.
L’ideologia massonica è radicata nella filosofia della gnosi, nata in conseguenza del rifiuto ebraico di riconoscere in Cristo il Messia. Essenzialmente la gnosi è una rivolta ideologica, esistenziale, irriducibile, contro il mondo presente considerato come perduto; un’ostilità implacabile verso la condizione umana così com’è, piena di imperfezioni e di miserie e il tentativo di passare, ingannati da un’illusione prospettica, attraverso lo specchio, di là, o davanti, o nel futuro, e trovare il paese della perfezione, l’Eden, e cioè proprio il tipo di “salto in avanti” che Schiller qui ci propone: una tabula rasa che, ignorando la realtà, dipinge un mondo “magico” di inesistente e impossibile bontà, da ottenersi abbracciando questa generica e impalpabile “gioia” massonica.
Per imporsi, il pensiero gnostico deve sconfiggere il Cristianesimo. Infatti, la presunzione gnostica di auto-salvezza grazie alle opere (disgiunte dalla Fede, in netto contrasto con la dottrina cristiana, la quale insegna che Fede e opere devono essere indissolubilmente unite) e a particolari forme di “conoscenza”, si oppone naturalmente all’umiltà cristiana, la quale riconosce invece la propria imperfezione e limitatezza, ma si sente responsabile di usare bene il libero arbitrio (quindi compiendo opere compatibili con la Fede) per ottenere la salvezza dalla misericordia divina, l’unica che può concederla.
Schiller era amico del massone Christian Gottfried Körner, il quale tra il 1812 e il 1816 curò un’opera omnia di Schiller. Fu dietro preghiera di quest’ultimo che, nell’estate del 1785, nel villaggio di Gohlis (oggi parte della periferia di Lipsia), Schiller scrisse L’“Ode alla gioia” per la loggia massonica di Dresda Zu den drei Schwertern (Alle tre spade). La poesia fu più volte musicata, ma la più celebre versione musicale è ovviamente quella di Beethoven.
Il massone e fondatore del Paneuropa-Bewegung (Movimento Paneuropa, che si proponeva di deviare il processo di unione europea dall’iniziale indirizzo cristiano impresso da Adenauer, Schumann e De Gasperi, verso una direzione decisamente massonica) Richard Nikolaus, conte di Coudenhove-Kalergi, propose fin dal 1955 che questa versione dell’ode di Schiller venisse adottata come nuovo inno europeo. Dal 1972 essa divenne inno ufficiale del Consiglio d’Europa. Herbert von Karajan, su richiesta del medesimo Consiglio d’Europa, produsse tre diverse versioni musicali dell’ode, di cui quella esclusivamente strumentale divenne nel 1985 l’inno ufficiale dell’Unione Europea.
Il testo schilleriano rivela un’assoluta incompatibilità col Cristianesimo: tutto si risolverebbe in un diffondersi di questa mitica “simpatia” che “eleva alle stelle”, dove “in trono siede l’ignoto”. Tutti gli esseri bevono gioia ai seni della natura, tutti i buoni, tutti i cattivi seguono la sua traccia rosata. Ebbene, non è chiaro come la “simpatia” possa far ascendere alle stelle, ma soprattutto disturba quella parola “l’ignoto”, come pure il fatto che si parli di “dei” e di “un Dio più grande”: confusione gnostica e un superficiale politeismo sono qui grottescamente mescolati.
E chi si ostina restare “antipatico”? Notare l’autoassoluzione (Unser Schuldbuch sei vernichtet), come se toccasse all’uomo giudicare. Evidente l’inganno insito nell’intero discorso: promette troppo, delineando un’umanità redenta di forza propria, affogata in un mare di buonismo che è pura utopia all’atto pratico, del tutto irraggiungibile e priva di senso. La realtà è ben diversa: Dio giudica e fa giustizia, con infinita misericordia verso chi si pente, ma con giusta severità verso chi si ostina a non pentirsi, perché la giustizia è l’atto più alto di carità, in quanto perfetta restaurazione dell’ordine distrutto dall’irrompere del male.
Che senso avrebbe l’esistenza se Stalin e Hitler fossero ammessi alla gloria celeste a fianco delle loro vittime? Al contrario di Dio, il massone Schiller propone il perdono universale, anche a chi non si pente: è appunto il perdono diabolico, che assicura la stabilizzazione del disordine. Subdolamente, tale perdono diabolico viene mascherato da una superficiale somiglianza alla dottrina cristiana del perdono: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” diventa “Dio giudica come noi giudichiamo”, in altre parole saremmo noi ad “insegnare” a Dio cosa fare.
Notare pure le espressioni: “ebbri di fuoco ……. magia ……. moda …….”. Non è certo una cosa sana essere “ebbri di fuoco”: sa piuttosto di fuoco d’inferno e ricorda i club massonici “del fuoco dell’inferno” (Hellfire Clubs), in voga nella protestante Inghilterra proprio all’epoca di Schiller. Le “magie” (magie!?) rimetterebbero insieme ciò che la “moda” (moda!?) ha fortemente separato? Che vuol dire “moda”? “Moda” sarebbero forse le culture, le religioni ……. Ciò che costituisce l’identità dei popoli, tutto questo ridotto a semplice “moda”? Vuol dire che la verità e l’errore sono posti sul medesimo piano? L’Incarnazione, la Passione, la Resurrezione ……. sul medesimo piano del rifiuto ebraico del Redentore? La Trinità sullo stesso piano della sua negazione ebraica e islamica? Tutto uguale, tutto ridotto a una poltiglia informe del “palpitare della balsamica ala” della “gioia” massonica?
Scopertamente satanici, poi, sono i riferimenti al “drago” (da sempre simbolo diabolico) che gode “voluttà”, e al “cherubino” che, in atto di ribellione, sta in piedi davanti a Dio, invece di inginocchiarsi. Altri traducono wurm con “verme”, invece che “drago”, ma questa parola era usatissima in passato, ed ancora nell’Ottocento avanzato per indicare appunto il drago (vedi anche Wagner nella Tetralogia, dove Fafner, che custodisce il tesoro dei Nibelunghi, è appunto chiamato “wurm”), e il drago si accorda meglio con il concetto, che immediatamente segue, del cherubino ribelle che pretende di non inginocchiarsi di fronte a Dio.
In conclusione, sotto lo strato superficiale di melassa buonista e pacifista dell’Ode alla gioia, magnificata da tutti i critici che “contano” e resa celebre dall’enfatica musica di Beethoven, si nasconde un mare di assoluta confusione intellettuale e di veleno morale quale difficilmente è dato incontrare in poesia. Si tratta di una esagitata esaltazione della pace “come il mondo la dà”, del mieloso buonismo universalistico quale viene icasticamente dipinto nel profetico romanzo, del 1907, Lord of the world di Robert Hugh Benson (pubblicato in Italia sotto il titolo Il padrone del mondo da Jaca Book).
Ma, e questo è il punto veramente decisivo per la valutazione della poesia non solo di Schiller ma di gran parte degli autori europei, in quel particolare ambiente sociale, senza il sostegno di editori massoni, giornali massonici e amici massoni, che ne sarebbe stato della poesia di Schiller? Uno Schiller autenticamente e apertamente cristiano, non avrebbe forse trovato un muro davanti a sé? Non sarebbe rimasto un povero ignoto?

Karl Marx
(Treviri 1818 – Londra 1883)

Das Verzweiflenden Gebet

Hat ein Gott mir alles hingerissen,
fortgewälzt in Schicksalsfluch und Joch,
seine Welten – alles – alles missen!
Eines blieb, die Rache blieb mir doch.
An mir selber will ich stolz mich rächen,
an dem Wesen, das da oben thront,
meine Kraft sei Flickwerk nur von Schwächen,
und mein Gutes selbst sei unbelohnt!
Einen Thron will ich mir auferbauen,
kalt und riesig soll sein Gipfel sein,
Bollwerk sei ihm übermenschlich Grauen,
und sein Marschall sei die düst’re Pein!
Wer hinaufschaut mit gesundem Auge,
kehre todtenbleich und stumm zurück,
angepackt vom blinden Todteshauche,
grabe selbst die Grube sich sein Glück.
Und des Höchsten Blitze sollen prallen
von dem hohen, eisernen Gebäu,
bricht er meine Mauern, meine Hallen,
trotzend baut die Ewigkeit sie neu.

La preghiera disperata
Se un dio tutto mi ha strappato, travolto in maledizione sotto il giogo del destino; rinunciare ai suoi modi: a tutto, a tutto! Una cosa mi resta, la vendetta mi rimane.
Contro me stesso voglio orgogliosamente vendicarmi: contro l’Essere che là in alto troneggia: sia pure la mia forza debolezza rabberciata, sia pure il mio stesso bene senza premio alcuno!
Un trono mi costruirò, gelida ed enorme sia la sua vetta, baluardo gli sia un sovrumano orrore, e suo maresciallo sia l’oscuro soffrire.
Chi lo contempla con occhio sano, arretri muto e pallido come un morto, nella morsa di un cieco alito di morte, e si scavi la tomba come estremo rifugio di fortuna.
E se l’Altissimo lancerà fulmini dall’alta magione ferrata, se pure infrangerà le mie mura, le mie sale, ciononostante nuove le ricostruirà l’eternità.

Dal punto di vista poetico un autentico farneticante orrore, questa poesia è interessante, dato il significato storico dell’autore. Quella delle poesie sataniche era una moda diffusa nell’Ottocento, e Marx col signore delle mosche doveva avere molta dimestichezza. Infatti, durante una causa intentata contro di lui per danni dalla sua domestica, che aveva messo incinta, la povera donna testimoniò di averlo visto “pregare”, con una specie di metro legato intorno alla testa, davanti a delle candele rosse accese; un tipico rito satanico: le candele rosse vengono usate per chiedere straordinari piaceri, le nere per ottenere disgrazie per le persone odiate. Questa grottesca “poesia” può considerarsi l’autentica espressione della superstizione atea e materialista: non un’impossibile affermazione di una “inesistenza” di Dio, ma l’adorazione del Suo nemico. Particolarmente notevole la terza strofa, la quale non fa che scopiazzare l’antica ribellione satanica: farsi un trono per “regnare” su un’atroce sofferenza è stato, ed è, precisamente l’ideale (realizzato) di Lucifero.

Richard Wagner
(Lipsia 1813 – Venezia 1883)

Im fernem Land (Lohengrin, Atto terzo, Rivelazione di Lohengrin)

Im fernem Land, unhabar euren Schritten
liegt eine Burg, die Monsalvat genannt;
ein lichter Tempel stehet dort inmitten,
so kostbar, als auf Erden nichts bekannt;
drin ein Gefäß von wundertät’gem Segen
wird dort als höchstes Heiligtum bewacht:
es ward, daß sein der Menschen reinste pflegen,
herab von einer Engelschar gebracht;
alljährlich naht von Himmel eine Taube,
um neu zu stärken seine Wunderkraft;
es heißt der Gral zu dienen ist erkoren,
den rüstet er mit überirdischer Macht;
an dem ist jedes Bösen Trug verloren,
wenn ihn er sieht, weicht dem Todes Nacht.
Selbst wer von ihm in ferne Land entsendet,
zum Streiter für der Tugend Recht ernannt,
dem wird nicht seine heil’ge Kraft entwendet,
bleibt als sein Ritter dort er unerkannt;
so dehrer Art doch ist des Grales Segen,
enthüllt — muß er des Laien Auge fliehn;
des Ritters drum sollt Zweifel ihr nicht hegen,
erkennt ihr ihn, — dann muß er von euch ziehn. —
Nun hört, wie ich verbotner Frage lohne!
Vom Gral war ich zu euch daher gesandt:
mein Vater Parzifal trägt seine Krone,
sein Ritter ich — bin Lohengrin gennant.

In una terra lontana
In una terra lontana, inaccessibile ai vostri passi giace un castello di nome Monsalvato; in mezzo vi sta un luminoso tempio, così prezioso, quale sulla terra nulla di simile si conosce; un recipiente di miracolosa benedizione vi è custodito come cosa santissima: vi fu portato da una schiera di angeli perché fosse custodito in modo più puro di quanto gli uomini potessero fare; ogni anno vi discende dal cielo una colomba, per rinnovarne il miracoloso potere; si chiama Graal, e colui che è eletto a servirlo, riveste di potenza sovrumana; contro di lui è vano ogni malvagio inganno, quando egli lo vede, la notte della morte è sconfitta. Persino colui che egli invia in una terra lontana, destinandolo a combattere per i diritti della virtù, non gli sottrae la sua santa forza, finché il suo cavaliere vi resta ignoto; ma di tale natura è la virtù del Graal — scoperto, fuggire deve gli occhi profani, sul cavaliere non dovete avere alcun dubbio, come lo riconoscete — deve allora da voi dipartirsi. — Udite ora, come io ricompenso la proibita domanda! Dal Graal sono stato qui a voi inviato: mio padre Parsifal porta la sua corona, suo cavaliere io sono — Lohengrin mi chiamo.

Nell’opera lirica Lohengrin, della quale scrisse non solo la musica ma anche il libretto, Wagner presenta un mito pseudomedievale basato sul solito tormentone del Gral, dal quale anche di recente è scaturita spazzatura come “Il codice Da Vinci”. La trama dell’opera wagneriana è basata sull’assurda idea dell’inconciliabilità fra la natura umana e quella divina, in diretto e totale contrasto con la verità evangelica dell’Incarnazione. La radice di tali ridicolaggine è nel continuo risorgere degli errori basati sulla vecchia eresia gnostica, risalente al primo secolo dell’era cristiana, e fondamentalmente nata dal rifiuto ebraico di riconoscere il Salvatore: secondo tale dottrina solo i “saggi”, in possesso di “conoscenze superiori”, si salverebbero. È paradossale il fatto che Wagner, furioso antisemita (e adottato infatti come compositore-bandiera dal nazismo), si muovesse nell’orbita di una tale eresia che ha radici proprio nell’ebraismo postcristiano. Wagner stesso, del resto, non avrebbe dovuto chiamarsi Wagner, ma Geier, essendo figlio illegittimo di un ebreo che portava tale cognome.

Berthold Brecht
(Augsburg 1898 – Berlino 1956)

Die Maßnahme

Wer für den Kommunismus kämpft,
der muß kämpfen können – und nicht kämpfen,
die Wahrheit sagen – und nicht die Wahrheit sagen,
Dienste erweisen – und Dienste verweigern,
Versprechen halten – und Versprechen nicht halten,
sich in Gefahr begeben – und die Gefahr vermeiden,
kenntlich sein – und unkenntlich sein.
Wer für den Kommunismus kämpft,
hat von allen Tugenden nur eine:
daß er für den Kommunismus kämpft!

La misura
Chi lotta per il comunismo deve saper combattere e non combattere, dire la verità e non dire la verità, offrire servigi e rifiutare servigi, mantenere le promesse e non mantenere le promesse, esporsi al pericolo ed evitare il pericolo, sapere e non sapere. Chi combatte per il comunismo, di tutte le virtù ne ha una sola: quella di combattere per il comunismo!

Doppia cittadinanza, della Repubblica Democratica Tedesca e della neutrale Austria, grasso conto in una banca svizzera, plagio e sfruttamento senza limiti ai danni di povere scrittrici sprovvedute, da lui plagiate senza pietà: ecco la moralità praticata dal bardo del comunismo. Quanto al lato teorico, questo breve brano offre la più sintetica e completa affermazione della moralità comunista. Sotto il profilo formale, ben poco vi è da dire, se non che manca del tutto la poesia, dato che il tono è esclusivamente didascalico e soprattutto propagandistico, in slogan che non fanno appello né all’intelligenza né al sentimento, ma solo all’obbedienza “pronta, cieca e assoluta” dei trinariciuti di guareschiana memoria.


  •  
  •  
  •