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Oscillante fra questi due estremi, la poesia tedesca rivela l’estrema contraddittorietà dell’esperienza umana in un’epoca tragica di conflitto ideologico. Sarebbe assolutamente ingiusto gettare tutta la colpa addosso a chi ha perduto la guerra. Non si sarebbe arrivati a questi punti senza il veleno nazionalista, risvegliato in tutta Europa dall’espansionismo francese (anche molto prima della Rivoluzione) e dal propagarsi delle idee giacobine, e senza gli spericolati equilibrismi della diplomazia britannica (la quale dapprima favorì l’unificazione della Germania per avere un contrappeso alla temuta Francia, e troppo tardi si accorse di aver risvegliato un gigante).
    

    Unbekannt 18. Jahrhundert
(Anonimo del sec. XVIII)

O Straßburg, o Straßburg

O Straßburg, o Straßburg, du wunderschöne Stadt
darinnen liegt begraben so mannicher Soldat.
Ein mancher und schöner, auch tapferer Soldat,
der Vater und Mutter böslich verlassen hat.
Verlassen, verlassen, es kann nicht anders sein:
zu Straßburg, zu Straßburg, Soldaten müssen sein.
Die Mutter, die Mutter die ging vor’s Hauptmanns Haus:
“Ach Hauptmann, lieber Hauptmann, gebt mir den Sohn heraus!”. —
“Und wenn Ihr mir gebet selbst noch so vieles Geld,
muß doch dein Sohn jetzt sterben in weiter, breiter Welt.
In weiter, in breiter Welt, allvorwärts vor dem Feind,
wenn gleich sein schwarzbraun Mädchen so bitter um ihn weint”. —
Sie weinet, sie greinet, sie klaget gar zu sehr:
“Gut Nacht, mein herzig Schätzchen, ich seh’ dich nimmermehr”.

Oh Strasburgo, oh Strasburgo
Oh Strasburgo, oh Strasburgo, meravigliosa città in cui giace sepolto un virile soldato.
Un virile e bello, e pure valoroso soldato, che malignamente ha abbandonato il padre e la madre.
Abbandonati, abbandonati, non poteva essere altrimenti: a Strasburgo, a Strasburgo occorrono soldati.
La madre, la madre corse alla casa del capitano: “Oh, capitano, caro capitano, ridammi mio figlio!” —
“Ed anche se mi dessi molto denaro, ugualmente tuo figlio deve morire nel lontano, ampio mondo.
Nel lontano, ampio mondo, fronte al nemico, sebbene la sua bruna fanciulla così amaramente pianga per lui”. —
Ella piange, piagnucola, amaramente si lamenta: “Buona notte, tesorino del mio cuore, non ti vedrò mai più”.

Dal Sesenheimer Liederbuch del 1771, questo Lied popolare esprime la tragedia della incessante pressione imperialistica francese al confine tedesco (come a quelli italiano e spagnolo, del resto). Ancor oggi un corso multimediale di lingua francese (Reader’s Digest), ovviamente scritto da francesi, si fa gioco dell’identità della regione di Strasburgo, l’Alsazia, che parlerebbe, secondo gli autori del corso, un “vieux dialect”. E il “vecchio dialetto” sarebbe poi il tedesco (sic).

Ludwig Uhland
(Tübingen 1787 – 1862)

Der gute Kamerad

Ich hatt’ einen Kameraden,
einen bessern findst du nit.
Die Trommel schlug zum Streite,
er ging an meiner Seite
in gleichem Schritt und Tritt.
Eine Kugel kam geflogen:
gilt ’s mir oder gilt es dir?
Ihn hat es weggerissen,
er liegt mir vor den Füssen,
als wär’s ein Stück von mir.
Will mir die Hand noch reichen,
derweil ich eben lad’.
“Kann dir die Hand nicht geben,
bleib du im ew’gen Leben
mein guter Kamerad!”

Il buon camerata
Avevo un camerata, uno migliore non si può trovare. Il tamburo chiamò alla battaglia, egli marciò al mio fianco, al mio stesso passo.
Una proiettile giunse volando: è per me o per te? Lui ha straziato, ed egli giace ai miei piedi, come fosse una parte di me.
Voleva ancora darmi la mano, mentre io caricavo, “Non posso darti la mano, rimani nella vita eterna, mio buon camerata!”

Questa poesia di guerra, semplice e toccante, è un tipico prodotto dell’epoca napoleonica e delle relative incessanti guerre, che valsero a diffondere il veleno nazionalistico, portatore di lutti e rovine senza fine nei secoli successivi. Uhland, dopo studi giuridici e filologici, divenne professore di lingua e letteratura tedesca all’università di Tubinga. Come poeta, è il più significativo rappresentante del romanticismo svevo. Fu tuttavia duramente attaccato da Heinrich Heine, che, nel suo Atta Troll, si prese gioco del “facile” verseggiare dell’intera scuola sveva. Attualmente la popolarità di Uhland, al di fuori del Baden-Württemberg dove è ancora particolarmente viva, conosce un certo declino.

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Maximilian (Max) Schneckenburger
 (Talheim 1819 – Burgdorf 1849)

Die Wacht am Rhein

Es braust ein Ruf wie Donnerhall,
wie Schwertgeklirr und Wogenprall:
Zum Rhein, zum Rhein, zum deutschen Rhein!
Wer will des Stromes Hüter sein?
Lieb Vaterland, magst ruhig sein;
fest steht und treu die Wacht am Rhein!
Solang ein Tropfen Blut noch glüht,
noch eine Faust den Degen zieht,
und noch ein Arm die Buchse spannt,
betritt kein Feind hier deinen Strand!
Lieb Vaterland, magst ruhig sein;
fest steht und treu die Wacht am Rhein!
Der Schwur erschallt, die Woge rinnt,
die Fahnen flattern hoch im Wind:
Zum Rhein, zum Rhein, zum deutschen Rhein!
Wir alle wollen Hüter sein.
Lieb Vaterland, magst ruhig sein;
fest steht und treu die Wacht am Rhein!

La guardia al Reno
Un richiamo risuona come rimbombo di tuono, come tintinnare di spade e urtarsi di ondate: al Reno, al Reno, al Reno tedesco! Chi del fiume vuol essere difensore? Cara Patria, sii serena, sta salda e fedele la guardia al Reno!
Finché una goccia di sangue scintilla, e un pugno stringe la daga, e ancora un braccio spiana il fucile, nessun nemico calcherà qui la tua sponda! Cara Patria, sii serena, sta salda e fedele la guardia al Reno!
Risuona il giuramento, l’onda corre, le bandiere sventolano alte nel vento: al Reno, al Reno, al Reno tedesco! Tutti vogliamo essere difensori. Cara Patria, sii serena, sta salda e fedele la guardia al Reno!

Incredibilmente, benché non abbia nulla a che fare con il nazismo, ma piuttosto con le continue minacce al confine del Reno portate da secoli dalla Francia contro la Germania (particolarmente gravi le aggressioni sotto il Re Sole, quella dei giacobini atei durante la rivoluzione francese e la susseguente invasione napoleonica), questa poesia, scritta nel 1840 e musicata da Karl Wilhelm, è stata fatta oggetto, in Germania, di una sorta di damnatio memoriae, e non è stato possibile trovare alcuna registrazione di tale canto. A tal punto è penetrata in Germania la propaganda colpevolizzante dei vincitori della seconda guerra mondiale.

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Josef Weinheber
(Vienna 1892 – Kirchstätten, Austria Inferiore 1945)

Hymnus an die deutsche Sprache

O wie raunt, lebt, atmet in deinem Laut
der tiefe Gott, dein Herr; unsre Seel,
die das ist das Schicksal der Welt.
Du des Erhabenen
starres Antlitzt,
mildes Auge des Traumes,
eherne Schwertfaust!
Eine helle Mutter, eine dunkle Geliebte,
stärker, fruchtbarer, süßer als alle deine Schwestern;
bittern Kampfes, jeglichen Opfers wert:
du gibst dem Herrn die Kraft des Befehls und Demut dem Sklaven,
du gibst dem Dunklen Dunkles
und dem Lichte das Licht.
Du nennst die Erde und den Himmel: deutsch!
Du unverbraucht wie dein Volk!
Du tief wie dein Volk!
Du schwer und spröd wie dein Volk!
Du wie dein Volk niemals beendet!
Im fernem Land
furchtbar allein,
das Dach nicht über dem Haupte
und unter den Füssen die Erde nicht:
du einzig seine Heimat,
süße Heimat dem Sohn des Volks.
Du Zuflucht in das Herz hinab,
Du über Gräbern Siegel des Kommenden, teures Gefäß,
ewigen Leides!
Vaterland uns Einsamen, die es nicht kennt,
Unzerstörbar Scholle dem Schollenlosen,
unser Nacktheit ein weiches Kleid,
unserem Blut eine letzte Lust,
unserer Angst eine tiefe Ruhe:
Sprache unser!
Die wir dich sprechen in Gnaden, dunkle Geliebte!
Die wir dich schweigen in Ehrfurcht, heilige Mutter!

Inno alla lingua tedesca
O come sussurra, vive e respira nel tuo risuonare, il profondo Dio, tuo Signore; anima, che è destino per il mondo. Tu dai ai superiori un volto severo, miti occhi di sogno, bronzeo pugno per impugnare la spada!
Una luminosa madre, un’oscura amante, più forte, più fruttuosa, più dolce di tutte le tue sorelle; degna di amare lotte, di qualunque sacrificio: tu dai al padrone la forza del comando e umiltà allo schiavo, tu dai oscurità all’oscurità e luce alla luce. Tu dai nome alla terra e al cielo: tedeschi!
Tu inesauribile come il tuo popolo! Tu profonda come il tuo popolo! Tu pesante e ritrosa come il tuo popolo! Tu come il tuo popolo mai finita!
In terre lontane in spaventosa solitudine, senza tetto sul capo né terra sotto i piedi: tu unica patria, dolce patria per il figlio del popolo.
Tu rifugio all’interno del cuore, tu sigillo dell’avvenire al di là delle tombe, vaso prezioso, eterna sofferenza! Patria unica per noi, che non la conosciamo, indistruttibile zolla per chi di terra è privo, morbida veste alla nostra nudità, profonda quiete della nostra paura: lingua nostra! Te che parliamo per grazia, oscura amante! Te che tacciamo con reverenziale timore, santa madre!

Autoesaltazione antecedente alla sconfitta della Germania nazista che credeva di imporsi al resto del mondo. Il poeta, aderente al partito nazista, divenne alcolizzato in seguito alla delusione per il rovinoso andamento della seconda guerra mondiale, e commise suicidio all’approssimarsi delle armate sovietiche.

Ernst Wiechert
(Kleinort, Prussia orientale 1887 – Uerikon, Zurigo 1950)

Am Abend zu beten

Es geht ein Pflüger übers Land,
der pflügt mit kühler Greisenhand
die Schönheit dieser Erden.
Und über Menschenplan und -trug
Führt schweigend er den Schicksalspflug,
vor dem zu Staub wir werden.
So pflügt er Haus und Hof und Gut
und Greis und Kind und Wein und Blut
mit seinen kühlen Händen.
Er hat uns lächelnd ausgesät,
und hat uns lächelnd abgemäht
und wird uns lächelnd wenden.
Rings um ihn still die Wälder stehn,
rings um ihn still die Ströme gehn,
und goldne Sterne scheinen.
Wie haben wir doch zugebracht
wie ein Geschwätz bei Tag und Nacht
so Lachen wie Weinen!
Nun lassen Habe wir und Haus,
wir ziehen unsre Schuhe aus
und gehen mit nackten Füssen.
Wir säten Tod und säten Qual,
auf unsren Stirnen brennt das Mal,
wir büssen, wir büssen.
Und nächstens pocht es leis ans Tor,
und tausend Kinder stehn davor
mit ihren Tränenkrügen.
Und weisen still ihr Totenhemd
und sehn uns schweigend an und fremd
mit schmerzversteinten Zügen.
O gib den Toten Salz und Korn
und daß des Modes Silberhorn
um ihren Traum sich runde!
Und laß indessen Zug um Zug
uns leeren ihren Tränenkrug
bis zu dem bitt’rem Grunde.
Und gib, daß ohne Bitterkeit
wir tragen unser Bettlerkleid
und deinem Wort uns fügen.
Und laß uns hinter Pfluge gehen,
solang die Disteln vor uns stehen,
und pflügen und pflügen.
Und führe heut und für und für
durchs hohe Gras vor meiner Tür
die Fuße aller Armen.
Und gib, daß es mir niemals fehlt
an dem, wonach ihr Herz sich quält:
ein bißchen Brot und viel Erbarmen!

PREGHIERA DELLA SERA
Un aratore avanza sulla terra, ed ara con fredda mano senile la bellezza di questa terra. E sopra i piani e gli inganni degli uomini conduce in silenzio l’aratro del destino, di fronte al quale diventiamo polvere.
Così egli ara casa e fattoria e maniero e vecchio e bambino e vino e sangue con le sue fredde mani. Sorridendo ci ha seminati, sorridendo ci ha falciati e sorridendo ci rivolterà.
Intorno a lui quieti stanno i boschi, intorno a lui quieti scorrono i fiumi e brillano le stelle d’oro. Come abbiamo trascorso il tempo di giorno e di notte ridendo o piangendo.
Ora lasciamo i beni e la casa, ci togliamo le scarpe e camminiamo a piedi nudi. Abbiamo seminato morte e sofferenza, sulle nostre fronti brucia il segno, scontiamo, scontiamo.
E poi alla porta un lieve bussare, e mille bambini ci stanno di fronte portando brocche piene di lacrime. E silenziosi ci mostrano i loro sudari e ci guardano tacendo ed estranei con lineamenti impietriti dal dolore.
O da’ ai morti sale e grano e concedi che la cornucopia nel loro sogno si gonfi! E lascia che frattanto sorso a sorso noi vuotiamo le loro brocche di lacrime fino all’amara feccia.
E concedi che, senza amarezza, portiamo la nostra veste di mendicanti ed osserviamo la tua Parola. E lascia che seguiamo gli aratri, finché vi sono cardi davanti a noi, e che ariamo, ariamo.
E conduci oggi e sempre attraverso l’erba alta i piedi di tutti i poveri di fronte alla mia porta. E fa che non mi manchi mai quello per cui soffre il tuo cuore: un poco di pane e molta compassione!

Autoflagellazione postbellica della Germania sconfitta, da parte di un oppositore dal nazismo che fu pure internato per quattro mesi in campo di concentramento. Dopo la guerra l’autore si trasferì in Svizzera, poiché la sua regione di origine, come gran parte della Germania orientale (Prussia orientale, Pomerania, Slesia), era stata cancellata dalla carta geografica, per venire annessa alla Polonia e in parte anche all’URSS, con la relativa espulsione di milioni di tedeschi dalle loro case, in una brutale pulizia etnica (il villaggio natale di Wiechert, inglobato alla Polonia, si chiama oggi Piersławek).


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