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L’opera risulta inevitabilmente farraginosa e pesante. Vi si avverte lo sforzo del curatore di seguire i pensieri disordinati dettati al registratore da Marta Diciotti, con frequentissime ripetizioni, anche multiple, e costanti espressioni di dubbi della donna sulla propria capacità di giudizio, segno certo di umiltà, ma ripetute con le stesse parole o quasi, ad ogni pie’ sospinto, fino alla noia. A differenza di tutte le altre opere della Valtorta e sulla Valtorta, che sono spesso affascinanti, di grandissimo interesse, di altissimo profitto spirituale e culturale, opere che danno vero piacere al lettore ed elevano l’anima, questa è noiosissima e veramente proibitiva. È pure estremamente difficile da recensire in un qualche modo organico, tanto è il disordine e l’eterogeneità della materia. Non si tratta certo di un libro da mettere in mano al lettore medio. Per lo studioso valtortiano, tuttavia, è un documento che occorre assolutamente leggere e meditare: un’autentica miniera di fatti, molti dei quali inediti, e una formidabile testimonianza della sublime santità di Maria Valtorta e della genuinità delle rivelazioni da lei ricevute.

Sogni e profezie hanno una parte importantissima nella vicenda valtortiana. Marta Diciotti era rimasta orfana di entrambi i genitori, ma la madre defunta di lei, Isolina Alberigi vedova Diciotti, era apparsa spesso in sogno alla Valtorta, raccomandandole la figlia, che venne accolta in casa Valtorta come serva. Maria fu per Marta come una madre, una guida amorosa e un sostegno spirituale che le permise di superare la tremenda crisi spirituale del trovarsi sola al mondo, e la riavvicinò a Dio, in modo discreto, senza prediche, solo con l’affetto e il buon esempio.

La Diciotti era molto affezionata a Maria Valtorta, ed esprime vivo stupore di fronte all’ignavia dei preti, incapaci di apprezzare il tesoro valtortiano. Con buon senso popolano, si chiede, come mai, mentre gli artigiani sono in grado di riconoscere se il materiale che usano è buono o cattivo, i sacerdoti, il cui mestiere è proprio quello di intermediari fra il cielo e la terra, non riescono a comprendere l’origine celeste dell’Opera.

Se qualcuno avesse dubbi sulla spaventosa descrizione del carattere della madre di Maria, Iside Fioravanzi, e pensasse che Maria abbia esagerato o mancato di carità nei confronti dell’autrice dei suoi giorni, sappia che quell’essere snaturato era di gran lunga peggiore rispetto alla caritatevole descrizione della figlia nell’Autobiografia (descrizione peraltro sollecitata insistentemente dal confessore e non destinata alla pubblicazione): una vera arpìa che faceva fare a Maria e a Marta una vita d’inferno. L’erinni domestica, del resto, non aveva cessato di tormentare il marito neppure quando era moribondo. Benché avvisata dalla figlia che sarebbe morto tra breve, se ne andò a letto. Il poveretto morì solo con l’infermiere che si era addormentato. Ad accorgersi della morte fu la cagnetta che diede l’allarme. Maria cadde rovinosamente nel cercare di andare dal padre morto. Dopo la morte del marito l’erinni divenne ancor più intrattabile: era ormai lei la padrona. Odiava Marta e le mancava di rispetto, giungendo a tirarle contro un limone per attirarne l’attenzione, invece di chiamarla.

La malvagità dell’erinni si acutizzava in occasione delle feste, Natale, Pasqua, S. Giuseppe che le ricordava il “povero marito” che aveva fatto piangere proprio lei infinite volte, fino a spingerlo alla disperazione e a minacciare il suicidio. Certamente aveva avuto a che fare con un marito e una figlia troppo buoni e accomodanti, mentre secondo il sano buon senso popolare di Marta “un robusto bastone le avrebbe raddrizzato le corna.”

L’erinni desiderava ardentemente un figlio maschio: ne ebbe due, uno prima di Maria che morì subito per una disfunzione circolatoria, un altro dopo Maria, che l’erinni perse per la sua consueta stupidità: stizzita e impaziente com’era spessissimo, accusò la donna delle pulizie di non aver pulito bene sotto il letto e sollevò violentemente il letto stesso, che era di ferro e ben pesante. Nell’ira fece un grande sforzo, incinta com’era, e perdette il figlio. Maria rimase figlia unica fra due maschietti morti e l’erinni domestica non mandò mai giù la cosa, come se fosse colpa della figlia. Qualche volta si sbagliava e la chiamava Mario invece che Maria. Il parto di Maria era stato difficile anche perché l’erinni ebbe una tremenda colica in coincidenza col parto, a causa di un’indigestione di ravanelli accompagnata da ingestione di acqua fredda su un pasto già di per sé pesante. Insomma l’erinni era pure un’incosciente, e dei suoi errori e fallimenti teneva oscuramente per colpevole Maria.

Quando la Teresa, la balia di facili costumi, usava abbandonare la povera Maria in mezzo alla campagna mentre si sollazzava con qualche maschio, un giorno l’erinni la scoprì perché tutto il vicinato evidentemente sapeva della scandalosa situazione e del pericolo che correva l’infante abbandonata in un campo, e il vetturino della carrozza con la quale era uscita a fare una visita, le indicò la povera poppante negletta per terra, nell’erba, in mezzo alla sporcizia, ed esposta agli insetti e ad altre bestie che avrebbero potuto farle male o ucciderla. Che fece la madre snaturata? Invece di raccogliere immediatamente la figlioletta, la lasciò dove si trovava e andò a scrivere una lettera al marito per informarlo dell’accaduto perché cacciasse la balia. E l’erinni stessa raccontava la cosa in casa come se non ci fosse niente da vergognarsi. Marta sbottò esclamando: “Mah!… e come!? e lei la lasciò lì?!” “Eh! E che cosa dovevo fare?” “Beh… era tanto semplice! prenderla e portarla via con sé”. Invece di capire la mostruosità del suo comportamento, l’erinni divenne rossa, nera, isterica, furibonda e urlò che non accettava critiche e che quello che aveva fatto lo aveva fatto bene, con prudenza e buon senso. Dell’orrendo comportamento della madre, Maria non fece parola nell’Autobiografia. Esso è noto solo perché, con somma incoscienza, l’erinni stessa non esitava a raccontarlo e Marta Diciotti poté così ascoltarlo e riferirlo.

L’erinni cercava di isolare la figlia, mandando via chiunque, incluse le suore infermiere di cui la figlia aveva bisogno, e le ex allieve alle conferenze della figlia in Azione Cattolica che venivano a trovarla, e perfino Monsignor Ricchiccioli che le portava il Corpo di Cristo; oppure si piantava nella camera della figlia rendendo impossibile, con la sua ingombrante e indiscreta presenza, qualunque comunicazione spontanea. Maria, finché ebbe la madre, visse dunque in “clausura vigilata”. L’erinni avrebbe perfino preteso di assistere alle confessioni della figlia, solo che a quel punto Maria si imponeva per il rispetto al segreto della Confessione e la mandava via: l’erinni se ne andava, ma con rabbia. Fra le varie assurdità, pretendeva la sveglia generale alle sei del mattino, anche d’inverno col freddo più pungente; non c’era alcun motivo di alzarsi presto, nessun orario da rispettare, ma Iside mancava del tutto di buon senso. Per due volte negò alla figlia la possibilità di sposarsi, causando anche, indirettamente la morte di entrambi i pretendenti. Quando lesse sulla “Domenica del Corriere” la morte di Roberto, durante la prima guerra mondiale, Maria perse i sensi e sbatté la testa su un tavolo, inzuppando di sangue un centrino.

Ancor prima di diventare paralitica e restare bloccata a letto, Maria era soggetta a “sopori”, durante i quali parlava e poi non ricordava quanto aveva detto. Durante questi attacchi, la madre aveva paura di star sola con la figlia. Una volta, presente anche la signora Ida, parlò in uno di questi “sopori”, del suo incontro con Mario a Reggio Calabria, il 5 agosto 1921. Fu una delle rare occasioni in cui l’arpìa ebbe forse un pallido lampo di coscienza ed esclamò: “Quando mai ho scritto quella lettera!” (riferendosi all’infame lettera contenente con ogni probabilità infami calunnie contro la figlia scritta per allontanarle l’innamorato Giorgio). Maria sentì quella frase di sua madre, segno forse di una tardiva quanto inutile resipiscenza.

Il Venerdì Santo del 1943, Maria ebbe il primo dettato e volle subito il consiglio di Padre Migliorini, che Marta dovette andare a chiamare a S. Andrea perché non c’era telefono, eludendo la sorveglianza dell’arpia che era sospettosissima di tutto, anche perché aveva la coscienza sporca per il trattamento inflitto alla figlia. L’inizio della sua missione fu subito intralciato dalla velenosa madre, che era, come dice Marta, “sottile nel tormentare, abile nel provocare discordie, nello spargere veleno”, e la importunava con domande mentre scriveva sotto dettatura divina. La madre morì senza sapere che la figlia aveva rivelazioni straordinarie. Maria avrebbe volentieri cominciato proprio dalla madre la sua opera di evangelizzazione, ma non era possibile. Anche Padre Migliorini sconsigliò Maria dal dirlo alla madre, che sarebbe stata la prima a non crederle. Solo dopo la morte dell’erinni, avvenuta il 4 ottobre 1943, Maria fu libera di proseguire la sua missione. Maria profetizzò il giorno esatto della morte di sua madre.

Tre giorni prima di rendere l’anima, l’arpia ricevette un severo ammonimento da Gesù. Marta ne lasciò una testimonianza controfirmata: (p. 484) “Il 1° Ottobre 1943 la signora Iside, che si era comunicata al mattino per mano di Padre Migliorini, essendo il primo venerdì di Ottobre, si aggravò molto. Maria, come faceva da anni, pregava molto perché giungesse ad una morte rassegnata e santa. La malata era vegliata da una suora infermiera. Verso la mezzanotte, mentre pareva assopita e abbandonata, si sedette di colpo dando segno di grande spavento. E rimase così estatica per qualche minuto. Poi, abbassando gli occhi su chi l’assisteva, disse quasi piangendo: ‘O suora, che paura! Mi è apparso il Signore! Come era severo! Aveva in mano una verghetta, e con quella mi ha picchiato tre volte sulla spalla dicendomi: “Basta, hai capito? Basta tormentare ed essere prepotente. Non voglio più.” E poi se n’è andato’. La suora la voleva persuadere che Gesù non fa paura, ma lei ne aveva visto la severità ed aveva paura. Questo per la verità. Tre giorni dopo spirò. In fede quanto sopra. Marta Diciotti.” (corsivo nel testo). Marta Diciotti venne a sapere del fatto da Maria, alla quale era stato confidato dall’erinni, tutta spaventata. Si noti l’asserzione “Gesù non fa paura”, propria dell’anima cristianamente immatura di quella suora: Gesù è tutto misericordia con chi si pente, non chiedeva di meglio che perdonare perfino a Giuda, ma “tremenda cosa è cadere nelle mani del Dio vivente” (Ebrei 10, 31) per quelli che non si pentono.

L’erinni domestica morì tre giorni dopo (pp. 500-501) e Gesù disse a Maria (come riportato anche dai Quaderni del 1943, a p. 402): “Ho usato a tua madre le stesse cure del vignaiuolo per la pianta infingarda. Dàmmene lode, Maria, perché ho usato infinita misericordia all’anima che ti era tanto cara. La sua ora di giudizio era molto prima di ora. E sono venuto due volte nel corso di questi tuoi anni di dolore ad osservare questa pianta spirituale, che neppure il tuo pregare induceva a produrre frutti di vita eterna. E tutte e due le volte la scure era già nella mia Mano per abbattere quella vita che resisteva agli inviti della Grazia. E tutte e due le volte ho trattenuto il colpo per dar modo a quell’anima di non venire a Me nuda di opere buone, compiute con l’anima riconciliata con Me. Sono il Gesù misericordioso e avevo pietà di lei e di te che per lei ti struggevi. Ho predisposto i mezzi per un ultimo lavoro. Ho mandato un mio Servo [il Padre Migliorini, che aveva, nei giorni precedenti, comunicato la signora Iside, deceduta a mezzogiorno del 4 ottobre] per compiere la mistica fertilizzazione di quell’anima attraverso il Sacramento, anzi i Sacramenti in cui il mio Sangue fluisce e la mia Carne si fa cibo per dare a voi salvezza, perdono e vita eterna. Ho tutto compiuto di quanto su quell’elemento si poteva compiere, per operare il miracolo di ornare di frutti quello spirito prossimo a presentarsi a Me. E tu mi hai aiutato. L’ho presa ora perché più di così non poteva dare e, lasciandola oltre, la ventata del sentimento umano avrebbe bruciato, col calore dei suoi risentimenti e dei suoi egoismi, i frutti provocati dal mio e dal tuo amore. Lei non t’ha detto ‘grazie’. Ma Io te lo dico per lei. E lei, ora, già te lo dice, perché la mia Luce le ha illuminato orizzonti che la sua umanità le velava.”

Anche nel caso della madre, Maria aveva agito bene, e in modo eroico. Del resto, fosse per intelligenza propria o per lumi che riceveva dall’Alto, anche nelle cose pratiche, Maria, come attesta Marta, aveva sempre ragione: faceva comprare cose necessarie come candele, lumi, zucchero, caffé, in tempo di guerra, prevedendo che sarebbero altrimenti mancate, mentre l’erinni, con tipica ottusità diceva le merci si sarebbero sempre trovate.

Nel carattere di Maria non c’era traccia di fanatismo, ma al contrario un grande equilibrio. Lei, che aveva fatto tanti voti per prendere su di sé sofferenze altrui e salvare le anime, consigliava sempre grande cautela nel fare voti, perché il Signore prende subito e il diavolo attacca suscitando la tentazione di rompere il voto, e magari chi ha fatto il voto non ha misurato la sua capacità di resistenza. Meglio prendere quello che Dio manda, umilmente, giorno per giorno, suggeriva Maria. Aveva un’acuta intelligenza e amava sempre andare all’essenziale, evitando le lungaggini. Opponeva un’assoluta e gelosa riservatezza riguardo alle straordinarie visioni e rivelazioni che riceveva, dettato dal terrore che aveva di cadere nel peccato di superbia e di meritare perciò di perdere il contatto col Divino.

Gente disperata accorreva da Maria a chiedere consiglio. Lei lo dava, ma senza impegnare il soprannaturale, dicendo che si trattava solo di un suo consiglio personale (peraltro di grandissimo valore, perché era una donna saggia e piena di autentica sapienza). Solo in casi estremi prometteva che avrebbe chiesto un segno perché, diceva, “il Signore non è al nostro servizio”.

Aveva uno sguardo profondo, proprio di chi ha visto il Signore. “Ti guardava e capiva”. Il suo sguardo profondo faceva pensare a quello di Padre Pio. Aveva uno speciale discernimento delle anime: se qualcuno aveva un grosso peso sull’anima, magari una colpa non detta al confessore, era capace di ottenerne lei la confessione, perché sentiva l’ingombro nell’anima altrui, e dopo che l’altro si era liberato lei era capace di consolare, rasserenare, consigliare.

Sapeva che Cristo le aveva fatto il terribile dono della sorte terrena: ingratitudine e misconoscimento, ossia proprio quello che nella Sua vita aveva provato lo stesso Gesù. Maria scrisse: “Non è piacevole essere strumenti straordinari: la sorte dei profeti è la lapidazione”. Era molto cauta circa le frequenti voci di apparizioni mariane. Il suo non comune spirito di osservazione le permise di descrivere le visioni con grande esattezza. Sapeva sempre esattamente cosa c’era nei manoscritti. Quando voleva consultarne uno sapeva indicare a colpo sicuro quello giusto nell’armadio in fondo al letto perché Marta glielo portasse.

Maria scriveva senza sapere e non correggeva (pp. 303-308). Poteva essere chiamata al suo compito di scrittrice divina a qualunque ora del giorno o della notte. Nel 1975, alla lettura valtortiana della quarta domenica del mese alla SS. Annunziata a Firenze, fra gli astanti ve n’era uno che domandò al Priore che aveva letto i testi se la Valtorta si preparava per i suoi Scritti. Il Priore invitò l’ascoltatore a domandare a Marta Diciotti, che era presente.

La testimonianza della donna si può riassumere così: non si preparava affatto, come testimonia la quasi regolare discontinuità delle date che si riscontra leggendo l’Opera; Maria non sapeva mai quale argomento avrebbe dovuto trattare, attraverso il dettato o la visione; stava in attesa, lavorando all’ago o all’uncinetto, oppure preparando le verdure, non ignorando del tutto quando o che cosa o da Chi (oltre che da Cristo riceveva dettati dal Dio Padre, dallo Spirito Santo, dalla Madonna, dal suo angelo custode Azaria, ecc.) le sarebbe stato dato. Per il suo compito di scrittrice sacra poteva essere chiamata a qualsiasi ora del giorno o della notte, anche in mezzo a una crisi cardiaca o spinale, con dolori atroci, o sotto un bombardamento. Per quel suo particolare lavoro le venivano largite speciali forze che la lasciavano appena il lavoro finiva, lasciandola uno straccio. Come testi aveva il Catechismo di S. Pio X e la Bibbia, i Vangeli li conosceva praticamente a memoria, ma in casa non ci sono mai stati testi di teologia, e i pochissimi libri, fra i quali peraltro non risulta vi fossero opere di alta teologia o di archeologia palestinese, erano tenuti inspiegabilmente sotto chiave dalla madre.

Su questa assoluta mancanza di mezzi di informazione specifica sugli argomenti che trattava quotidianamente, Marta Diciotti ha lasciato scritta la sua testimonianza in proposito, giurata sul Vangelo. E anche se avesse avuto testi sui quali studiare, non avrebbe avuto il tempo per documentarsi, come dimostra il succedersi serrato delle date: prova evidentissima del carattere soprannaturale degli Scritti. Per scrivere non le servivano che il quaderno e la penna, che teneva sempre sotto mano con qualcuna di ricambio. La sua mano correva sicura, senza pause, senza incertezze. L’Opera si può leggere scorrevolmente perché gli episodi sono stati ordinati cronologicamente, ma essi non sono stati dati alla veggente con lo stesso ordine cronologico. Una conferma si avrà con la pubblicazione dei Quaderni [ormai da tempo pubblicati], che raccolgono tutti quei dettati e descrizioni di visioni che le venivano date tra un episodio evangelico e l’altro. Osservando le date si vede che Maria non sapeva né poteva supporre dove sarebbe stata condotta. Ogni brano è datato per l’insistenza di Padre Migliorini, perché le date avrebbero costituito un validissimo elemento di testimonianza per gli studiosi futuri del fenomeno valtortiano. Nessuna mente umana avrebbe potuto passare da un argomento all’altro, scrivendo contemporaneamente tutti i suoi libri in una volta, e non secondo una sequenza precisa, ma saltando a caso da un capitolo all’altro. Il montaggio dell’Opera è stato poi compiuto dalla Valtorta stessa, non di rado illuminata dal Signore, poi da Padre Migliorini e forse l’editore. Non vi sono nei manoscritti né correzioni né ripensamenti di sorta, come sempre vi sono invece in abbondanza in qualsiasi opera umana. Maria Valtorta non si sarebbe permessa di cambiare una sola sillaba di quello che le era stato dettato dall’Alto.

Dopo un dettato o una visione, Maria lo leggeva a Marta, la quale non sempre poteva ascoltare serenamente perché assillata dalle faccende di casa. Sebbene il suo rapporto con Marta fosse improntato a un rispettoso distacco, una volta volle abbracciarla e baciarla perché era stata appena baciata da Gesù e voleva trasmetterlo quel bacio.

Maria aveva grande capacità di osservazione. Sembra che Gesù la abbia detto: “Stai bene attenta, perché qualche particolare che a te può sembrare inutile, può essere invece di grande importanza.” A volte, come nel caso del martirio di Santa Agnese, il Signore glielo mostrò due volte, perché aveva dimenticato di osservare dei particolari. Nell’osservare e descrivere le visioni, un’interruzione importuna poteva risultare fatale. Invece nei dettati non temeva di essere interrotta, perché Cristo riprendeva a dettare dal punto in cui aveva lasciato. Il Signore le raccomandava sempre la carità: non doveva impazientirsi quando qualche visitatore veniva a trovarla, disturbandola mentre aveva una visione o un dettato.

Il 22 dicembre 1962 a Marina di Massa, per invito del Padre Valfredo Zamperini, dei Serviti, Marta fece giuramento scritto e controfirmato da testimoni sul modo di scrivere di Maria, confermando tutto quanto illustrato sopra.

Marta testimonia della prontezza con cui Maria prendeva su di sé i mali altrui. Il caso della bambina con la pleurite raccontato nell’Autobiografia è rigorosamente vero: la bambina era figlioccia di Maria Diciotti e guarì completamente mentre già si trovava in condizioni disperate; in seguito visse normalmente, mettendo al mondo tre o quattro figli.

Maria raccomandò a Marta di non accettare offerte da nessuno, perché non si dicesse che l’Opera era motivo di lucro. Tuttavia, calunniosamente, gente maligna o mal infrmata lo dice ugualmente, anche se Marta si è sempre attenuta, anche dopo la morte di Maria, a questa raccomandazione. Un’altra tassativa disposizione di Maria era di non comprare la televisione, perché avrebbe potuto trasmettere qualcosa sulla Palestina o la vita di Gesù, e i nemici avrebbero potuto dire che ne aveva tratto idee per l’Opera, e questo nonostante che avesse ormai finito di scriverla.

Il pallore e l’aspetto di Maria durante le estasi erano del tutto diversi da quelli che mostrava durante una delle sue frequenti e terribili crisi spinali o cardiache. Inoltre in una crisi voleva assistenza e cercava di curarsi, mentre durante le estasi non voleva nessuno intorno e si trasfigurava, mandando Marta fuori di casa, rassicurandola che non le sarebbe successo nulla: sapeva infatti di essere assistita da Cristo. Una volta Marta Diciotti e Paola Belfanti videro Maria in estasi, e seppero poi che la Madonna le aveva messo in grembo il Bambino Gesù. In un altra occasione, Eroma Mencarini era venuta a sfogarsi per certi suoi dispiaceri e Maria la pregò di stare attenta perché da due giorni in un angolo c’era Maria Santissima.

Durante le lunghe apparizioni della Beata Vergine, una volta un panno si bagnò delle lacrime della Madonna. Maria lo fece lavare “in massaia”, come si dice in Toscana, ossia lo fece bollire in liscivia sbiancante per vedere se le lacrime scomparivano: non scomparvero nonostante l’energico trattamento. Il panno si conservava ancora quando Marta ne parlò ad Albo Centoni.

Maria Valtorta stessa disse a Marta che le sue visioni erano come il cinema (p. 219). Tuttavia era pure immersa nella visione (p. 224), al punto di avvertire gli odori, e anche le puzze, come nel caso del tanfo di cadavere alla resurrezione di Lazzaro, puzze che continuava ad avvertire a lungo. Gesù, quando appariva, si sedeva su una sedia vicino al letto di Maria. La sedia, purtroppo, si frantumò al trasloco di ritorno da S. Andrea di Còmpito a Viareggio.

Singolare fu la collaborazione artistica, iniziata nel 1950, col professor Lorenzo Ferri, insigne studioso della Santa Sindone, il quale poté disegnare alla sanguigna il ritratto di Cristo praticamente dal vivo, grazie a Maria che vedeva il Signore e guidava la mano dell’artista con continui consigli e correzioni. La moglie di Ferri, Vittoria, veniva ad interloquire e a dare suggerimenti, ma Maria la mandava regolarmente via. Una volta disse: “Professore, segua le mie indicazioni, perché a vedere sono io. Voi non vedete nulla. E tu, Marta, e lei, signora Vittoria, per favore, tornatevene in cucina, ché vi brucia qualcosa nella pentola. Professore, non perda tempo, segua me, perché le cose stanno come le dico io che vedo.”

Maria aveva sogni premonitori: quando sognava qualcuno che stava annegando, la persona poco dopo stava male. Da anni aveva avuto la premonizione della tragica morte del dottor Lamberto Lapi, assassinato con un colpo alla nuca da “partigiani” in Corsica il 26 ottobre 1943. Persona gentilissima, il dottor Lapi fu medico di famiglia di Maria per nove anni, e spesso le raccontava i suoi casi clinici e Maria dimostrava una straordinaria preveggenza: pur non essendo laureata in medicina aveva uno straordinario intuito medico. Era in grado di dare pareri clinici assolutamente esatti e prediceva se il paziente sarebbe morto o no, senza mai sbagliare: avvertiva l’appressarsi della morte da un odore particolare che solo lei avvertiva.

Maria profetizzava eventi futuri, anche se temeva sempre di sbagliarsi. Il 2 gennaio 1947, la vicina Anna Mencarini era incinta per la quarta volta e non si sentiva bene. Maria ebbe esatta rivelazione che tutto sarebbe andato bene e sarebbe nata una bambina e predisse il giorno esatto della nascita: lo rivelò a Marta, ma le proibì di riferirlo ai Mencarini, per timore di essersi sbagliata. Avvenne tutto come aveva predetto.

Un giorno, dopo la visita di una povera madre che aveva perso un figlio e cercava conforto presso Maria, Marta, mentre si occupava del bucato, pensò: “Per tutti c’è una parola, per me mai niente!” Maria la chiamò e le domandò cosa avesse pensato. Marta sul momento non ricordava, poi, dietro l’insistenza di Maria, stava per ricordarsi e riferire il suo pensiero, quando Maria disse: “Ecco la risposta”, e le lesse il dettato (p.83): “Questo è per Marta piccina, che non deve lamentarsi di non avere mai una parola, che deve essere sicura di essere molto amata attivamente dal suo Signore, il quale ha pensato a proteggerla da quando l’ha messa sotto la tenda dove Egli ha il suo riposo. Ti amava da prima, perché amare è il suo respiro. Ma quando ti credesti sola ti ha amato per tutta una famiglia, dandoti pace presso Maria. Le lettere si scrivono ai lontani, non a quelli che abitano con noi. E tu sei dove Io abito. Sii buona. Infondi la tua attività di Marta della spiritualità di Maria che ha scelto la parte migliore, e per averla scelta col dolore e con l’amore completo e volontario ha avuto da Me la parte supermigliore. Tu sei sul cuore di Maria e Maria è sul mio Cuore. Non ti affannare perciò di troppe cose fra le quali quella di chiederti se Io penso a te. Riposati sui cuori di quelli che ti amano e abbi fede. Dio non abbandona coloro che sperano in Lui ed esercitano la carità. Abbi la mia pace.” Il dettato fu poi pubblicato nell’Opera. Basterebbe questo dettato, in risposta ad un pensiero inespresso di Marta Diciotti, a confermare l’origine soprannaturale di quanto Maria scriveva e il ministero profetico di lei.

La sopravvivenza stessa della Valtorta, a detta di numerosi medici, era un vero miracolo. Nella sua infermità, spesso e fino alla fine, Maria aveva febbre altissima, fino a quarantun gradi. Già nel 1947 aveva la pressione sotto i 90. Non può sfuggire qui una certa somiglianza con le febbri e le precarie condizioni fisiche di Padre Pio, sorretto, come la Valtorta, da una potenza superiore.

Di fronte a ciò appaiono ridicoli i tentativi “scientifici” di “comprendere” il “fenomeno Valtorta”, come le numerose prove di radiestesia sugli scritti di Maria promosse da Padre Berti. Vi furono vari radiestesisti, fra cui il Padre gesuita Bortone. I risultati furono ridicoli. Secondo alcuni radiestesisti vi sarebbero stati due autori. Più significativa fu l’investigazione del signor Arturo Bottai, vecchio amico di Maria, che le sottopose un questionario di domande, tuttora inedito, dal quale pare si possano desumere molti aspetti dei segreti valtortiani.

Maria incontrò pochissimi religiosi disposti a trattarla caritatevolmente, fra i quali un posto speciale ebbe Madre Teresa Maria, che entrò nella sua vita in modo provvidenziale. Martedì 5 dicembre 1945, Maria, dalla sua camera, vide passare due suore carmelitane. Esse erano momentaneamente sciolte dalla clausura perché potessero cercare aiuti per il loro monastero che era stato bombardato. Maria mandò loro dietro Marta a chiamarle, ed ella adempì al suo compito dicendo loro che un’inferma desiderava vederle; si lasciarono persuadere solo a fatica: erano Suor Luigia Giacinta e Suor Teresa Cherubina del Volto Santo, sorella di Mamma Rosa. Maria chiese loro un “breve” fatto nel loro monastero per il figlio di un’amica che stava per nascere. Il “breve” era una reliquia da appuntare alla camicina del neonato. Le due suore si resero subito conto di aver di fronte la “Portavoce” e, piene di gioia, andarono ad informarne la Superiora, che era all’epoca proprio Madre Teresa Maria, la quale inviò il “breve” richiesto e dei buonissimi biscottini, particolarmente ben accetti in quel triste periodo di penuria postbellica. Di lì cominciò la preziosa corrispondenza fra queste due anime elette. Madre Teresa Maria non dubitò mai del carattere soprannaturale dell’Opera e fu per Maria e per Marta una preziosa guida spirituale.

Fra i pochi ecclesiastici che capirono, oltre Madre Teresa Maria, vi fu Monsignor Carinci, col quale la Valtorta intrattenne un elevato scambio epistolare, e che la visitò tre volte, nel 1948, nel 1952 e infine nel 1958, quando era ormai nel suo “smemoramento”. Il Padre francescano Sisto Rozzo, professore all’università di Washington, nel 1968, disse a Marta: “Vorrei essere papa per cinque minuti per approvare incondizionatamente tutti gli scritti di Maria Valtorta, editi e inediti.” Il 4 febbraio 1976 Padre Escobar, traduttore in spagnolo dell’Opera, di ritorno dalla Terrasanta, di passaggio per Viareggio, disse a Marta che Maria aveva insegnato a tanti, lui compreso, “ad amare Gesù”.

Gravissimi sono stati per Maria i dolori causati dall’intempestiva diffusione degli Scritti. Ma nel cuore di Maria e di Marta c’era la pace divina. Maria era forte e capace, nonostante le sue terribili sofferenze, di confortare gli altri. Il villano rifiuto dell’arcivescovo di Lucca, Torrini, a visitare Maria amareggiò molto le due donne. Monsignor Rocchiccioli, uno dei pochissimi ecclesiastici che conoscesse e stimasse Maria osò chiedere che Torrini, il quale si trovava a Viareggio in visita pastorale, andasse da Maria e questi rispose villanamente che, anzi, avrebbe affrettato la partenza per non doversi recare da lei. Da allora Maria, per evitare che l’afflusso di gente la mettesse ancor più in cattiva luce presso l’Autorità cieca e spietata, Maria ordinò a Marta di tenere lontana la gente, e Marta dovette così far la parte del Cerbero. Torrini avrebbe ben potuto informarsi su di lei e non lo fece; in completa ignoranza su chi fosse Maria e senza aver letto nulla di lei, violò il comandamento della carità contemplato nelle opere di misericordia corporale “visitare gli infermi”, giungendo a minacciare “gravi sanzioni” (per quali colpe?). La più totale mancanza di carità continuò fino alla fine: Maria, oltre ad essere inferma e immobilizzata a letto, versava in crescenti ristrettezze economiche, alle quali la Chiesa avrebbe dovuto sovvenire, dato pure che si trattava di una terziaria francescana e servita. Finché era vissuta la madre, vi era stata la pensione di reversibilità del padre, poi bisognò intaccare i risparmi e affittare stanze ai bagnanti (che stavano fuori tutto il giorno) nell’estate, ma si dovette rinunciare ad affitti per tutto l’anno, troppo invasivi, che avrebbero finito per disturbare la veggente quando scriveva sotto dettatura divina o aveva visioni o si trovava in estasi.

Oltre a diffondere incautamente i dettati, contravvenendo all’esplicita proibizione di Cristo che aveva più di una volta perentoriamente ordinato che venissero fatti conoscere, e con cautela, solo dopo la morte della “Portavoce”, Padre Migliorini, nel ricordino funebre di una certa Antonina del Bo, fatto stampare da lui, fece inserire una frase che altro non era se non un dettato a Maria, sotto il quale, con somma imprudenza, il Padre aveva scritto: “Dettato da Voce Celeste al suo ‘Portavoce’ di Viareggio”, con sotto la firma: “R. Migliorini, O.S.M. Diret. Sp. del Portavoce”. Mancava solo nome e cognome di Maria. La poveretta, che avrebbe dovuto restare celata al mondo, per ordine ripetutamente e sempre più severamente espresso, di Gesù, fu così esposta alla curiosità e alla malignità del mondo. Rimane aperta la questione del perché Padre Migliorini si comportò così? Forse per la vanità di apparire direttore spirituale di una persona eccezionale?

Di grave pregiudizio alla fama di Maria fu il caso di una certa Dora Barsotti della Pieve di Camaiore, la quale asserviva di avere rivelazioni angeliche. Cercava di farsi ricevere da Maria che non volle mai incontrarla: diceva che non le piaceva il suo sguardo. La malafede della Barsotti apparve evidente quando questa mentì, adducendo una scusa, per ottenere un certificato medico di buona salute mentale. Maria era contraria a che Padre Migliorini si occupasse della Dora. perché rischiava di esporsi a pubblicità e richiami disciplinari dei superiori, essendosi già esposto con l’intempestiva diffusione degli Scritti. Ma P. Migliorini non diede ascolto a Maria e si recò dall’impostora: vi rimase contuso in seguito ad uno scoppio di violenza che lo fece precipitare da una scala durante un esorcismo. Evidente dalla Dora aveva incontrato il demonio; avrebbe dovuto essere Maria a fare da guida spirituale al Padre Migliorini, non il contrario.

Il diavolo, astutissimo, cercava di indurre Maria a scrivere sotto la sua dettatura, ma lei gli resistette sempre: non prendeva la penna, ma uno dei suoi lavori a mano e pronunciava l’esorcismo di Leone X. La Marta Diciotti non ricorda l’altra tentazione diabolica alla quale Maria fu soggetta, quando era perseguitata dal clero e in ristrettezze economiche: quella di pubblicare l’Opera col proprio nome, traendone lucro e fama, presentandosi come scrittrice a pieno titolo e quindi esente dalle accuse di “isterismo” e “imbroglio” che le venivano mosse. Consentendo graziosamente ai fedeli di leggere l’Opera purché non la considerino ispirata, e quindi accettandola semplicemente come opera della sola Maria Valtorta, la conferenze episcopale italiana presieduta, allora da Tettamanzi, è praticamente venuta incontro al suggerimento diabolico. Inoltre, poiché Maria afferma chiaramente ad ogni occasione che l’Opera è ispirata, e che il suo contributo si limita ad essere quello della “penna che scrive”, la gentile concessione della conferenza episcopale contraddicie la veggente e la dà platealmente della bugiarda. Va pure ricordato, a questo proposito, che Cristo ha istituito la Cattedra di Pietro Suo Vicario e Roccia sulla quale si fonda la Chiesa, poi gli apostoli, cioè i vescovi, e infine i discepoli, ossia i presbiteri; ma non ha mai istituto né le conferenze episcopali né l’Indice dei libri proibiti, ora felicemente abolito e privo di ogni valore vincolante, eccetto nelle nostalgie di qualche vecchio burocrate di curia.

Maria fu lasciata dai Serviti senza il Corpo di Cristo anche per cento giorni, sebbene fosse una terziaria del loro Ordine e un’inferma. Scoraggiante il disinteresse dell’Ordine Servita, di cui molti speravano di trarre vantaggio economico sfruttando l’Opera, ma non volevano compromettersi sostenendola. Maria Santissima apparve a Maria in abito servita e piangente. Dopo la morte della veggente arrivarono in pellegrinaggio alla casa dove aveva vissuto membri di tutti gli Ordini, mai Serviti.

Maria ebbe enormi sofferenze fisiche e morali: prima a causa dell’erinni, poi per la guerra e lo sfollamento obbligatorio a S. Andrea di Còmpito (frazione del comune di Capannori, in provincia di Lucca), “periodo di grandissima penitenza, preparatoria ad altissimi favori celesti”, quando per quaranta spaventosi giorni si credette abbandonata perché Dio non le parlava più. A questo proposito, Marta Diciotti distingue giustamente la dolente aridità spirituale dei mistici dall’aridità spirituale che viene dalla consuetudine, dall’affidarsi ottusamente alle regole, alla forma. senza accorgersi di venir meno alla sostanza. È la traquillità arida propria di coloro che pensano di essere nel giusto e affondano nella superbia: pericolo di tutti i cristiani che si illudono di avere qualche merito proprio. L’aridità dei mistici è invece feconda: infatti la sofferenza dei quaranta giorni di “notte dello spirito” a S. Andrea di Còmpito maturarono e resero più “brava” Maria, come ebbe a osservare Padre Migliorini.

Alle sofferenze di Maria contribuirono moltissimo le incomprensioni contro gli Scritti, che il demonio odia, e che certo si compiace quando certi scribacchini trinciano giudizi senza aver letto l’Opera (“non ricordo se erano dieci o dodici volumi, diedi uno sguardo a tutto”). Gran parte del Prevangelo fu scritto nelle terribili condizioni dello sfollamento a S. Andrea di Còmpito, anche durante il passaggio del fronte, fra le cannonate: pagine sublimi, e quale scrittore avrebbe la possibilità di concentrarsi in quelle condizioni? Eppure c’è chi ha parlato di cultura eccezionale, di consultazioni enciclopediche, di memoria fuori del comune. O addirittura di scopiazzature e di raffazzonamenti di una mentecatta. O di “vita di Gesù malamente romanzata”. Ignoranza, invidia o malafede? Frequenti erano stati gli attacchi satanici, pieni di odio, contro l’Opera divina e contro la persona di Maria Valtorta, la quale esortava Marta a perdonare i cattivi chierici, ma a non dimenticare. Maria soffriva per la reazione maligna e ottusa agli Scritti, per la mancata approvazione ecclesiastica e la mancata pubblicazione, che impediva di far giungere il messaggio valtortiano alle anime, che si perdevano per il vergognoso ritardo, come disse Cristo stesso alla sua “Portavoce”. Marta Diciotti fu testimone indignata di tutto il male che il clero fece a Maria. La dicevano pazza e invasata, ma Marta attesta che era perfettamente sana, piena di intelligenza, di arguzia e di carità. Marta rimaneva dolorosamente colpita dagli attacchi e dal fatto che Maria non avesse avuto assolutamente nulla dalla vita.

La prova del divorante odio e dell’immenso terrore del demonio verso gli scritti valtortiani la diede Monsignor Galileo Arinci di Montecatini Terme, grande esorcista, il quale riferì a Marta di aver posto alcuni volumi dell’Opera addosso a una persona posseduta che stava esorcizzando, e il diavolo, per bocca della sua vittima, si mise ad urlare: “Levatemeli, che mi bruciano!” Non vi potrebbe essere più convincente dimostrazione dell’origine divina degli Scritti e della natura diabolica dell’opposizione ad essi.

Dopo il 1958, con la morte di Pio XII, la situazione, già persecutoria, si deteriorò gravemente e in parallelo, sia per Maria Valtorta che per Padre Pio. Sotto il “papa buono” l’Opera fu messa all’Indice e si collocarono microfoni nel confessionale di Padre Pio per spiarlo. Il Signore aveva detto a Maria: “Gli Scritti subiranno la mia stessa sorte: dovranno passare per la morte e la sepoltura per giungere alla resurrezione.” Era l’antica sfida di Cristo ai dottori della Legge: alla loro onestà e alla loro capacità di distinguere il bene dal male. Anche allora alcuni pochissimi (Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea, più tardi Gamaliele) capirono, tutti gli altri no, e fu la rovina loro e del popolo da loro così mal guidato. Attraverso Maria il Maestro chiedeva quanto gli era dovuto: che i suoi lo riconoscessero, ma “in propria venit et sui eum non receperunt” (Giovanni 1, 10).

Una scossa tremenda e profondamente ingiusta fu la messa all’Indice dell’Opera, che Marta Diciotti sentì alla radio mentre era in cucina; andò da Maria che era nel suo “smemoramento” da quattro anni; la scosse e le comunicò la notizia; Maria si voltò, la guardò con lo sguardo profondo di chi vive già in un’altra dimensione e rispose: “Lo sapevo”. E ripiombò nel suo silenzio. Evidentemente nel suo “smemoramento” restava lucida e ricettiva di comunicazioni che non erano di questo mondo, dalle quali doveva trarre la certezza che l’Opera avrebbe finito per trionfare. La gratuita malvagità di quella messa all’Indice scosse invece profondamente l’anima semplice di Marta.

Ma pochi giorni dopo la messa all’Indice dell’Opera, proprio Marta fece un sogno premonitore: sognò di stare cercando, fra i quaderni, un dettato che rassicurava che l’Opera si sarebbe salvata, quando i volumi presero a crescere, spargendosi ovunque ma invece di aggravarla col loro peso diventavano sempre più leggeri. A un tratto entrò un prete, bello e ben vestito, forse troppo, e ammiccava ghignando: “Ce l’abbiamo fatta, eh?” Marta, nel sogno sentì che in quel prete qualcosa non andava e cominciò a farsi il segno della Croce. Ogni volta che si segnava, il “prete” diventava sempre più rosso, finché fuggì in totale confusione e terrore. Marta si svegliò spaventata per lo sguardo assassino dell’apparizione demoniaca in abito clericale.

Il Padre Bonaventura Raschi, francescano conventuale, venne appositamente da Firenze, dove si trovava ospite dei signori Penco che erano fra i primi estimatori e diffusori dell’Opera, e celebrò la Messa nella camera di Maria ventidue ore prima della morte di lei. Marta gli aveva parlato della paura che le suscitava la minaccia del diavolo a Maria: “Ti aspetterò nell’ora della morte: tutti ti crederanno indemoniata”. Il Padre Raschi, esorcista famoso, aveva rassicurato Marta dicendo: “Il demonio non potrà mai niente su quest’anima”, perché Cristo non l’avrebbe permesso. Dopo la Messa, il Padre disse che Maria aveva compreso e seguito tutto il rito. Lo “smemoramento” era ben lungi dall’essere prova di decadenza mentale: era, al contrario, il risultato di un supremo atto di offerta.

Secondo Marta, le lettere distrutte dell’epistolario con Madre Teresa Maria erano molto intime e riguardavano la Passione terribile sofferta dalla “Portavoce”, e probabilmente anche dettati terribili sui peccati dell’umanità e sui castighi incombenti. Maria chiese una sola grazia al Signore: di non darle segni esterni, né in vita né in morte. Alla riesumazione del 1973, Padre Berti restò deluso che non vi fossero segni straordinari, come la salma intatta, mentre Marta non si aspettava nulla, perché Maria stessa aveva detto testualmente proprio a lei: “Io ho chiesto al Signore che non mi faccia trovare dei segni esterni, né in vita né in morte”.

Questo spiega non solo la mancanza di stigmate, sebbene provasse tutti i dolori della Passione, ma anche il fatto che il cadavere non restò incorrotto, ciò che molto probabilmente avrebbe reso meno ardua l’apertura della causa di beatificazione. Per i suoi dolori, Maria non voleva calmanti: aveva fatto la sua offerta e vi si atteneva. Mons. Rocchiccioli voleva portare Maria a Lourdes a proprie spese, ma lei rifiutò. Portava il cilicio e la sua generosità senza limiti la portava ad offrirsi di soffrire pene indicibili per la guarigione di altri, finché il Signore le proibì di continuare con i sacrifici e le mortificazioni, dicendo: “No, ora basta, tu hai fatto abbastanza. Le tue sofferenze sono troppe, come i tuoi mali. Ed ora tu servi a Me.”

Un solo segno esteriore ebbe della sua partecipazione alla Passione: un livido sulla schiena che durò anni, fino alla morte, senza mai guarire, segno di uno dei colpi della flagellazione. Niente stigmate e niente salma incorrotta, segni spettacolari di santità da cui la povera “Violetta” rifuggiva. Le bastava Gesù. Ma anche in morte qualche piccolo indizio di miracolo vi fu: la mano destra, con la quale Maria scriveva, era rimasta intatta fino alla sepoltura, mentre quella sinistra e tutto il resto del corpo mostrava segni di disfacimento. Inoltre i capelli di lei, recuperati all’apertura della tomba, erano grigi, ma trattati con formaldeide per pulirli ritornarono biondi: ora, la formaldeide, o formalina, è un composto conservativo e null’altro; come ha potuto far tornare l’aspetto giovanile a capelli vecchi di una morta? come ha potuto recuperare il pigmento originario che non esisteva più? Non è forse un segno di resurrezione? Non sono biondi quei capelli come quelli che Maria avrà alla gloriosa resurrezione della carne, quando tutti avremo la stessa età di Cristo: trentatré anni.

Intorno a Maria si sentivano a volte profumi celestiali, e continuarono di tanto in tanto nella stanza di lei e nella casa anche dopo la sua morte. Calunniosamente si diceva che Maria si profumava. Nel febbraio 1975 Marta chiese un segno che la rassicurasse che stava facendo bene nel suo racconto dei ricordi valtortiani e il segno venne: un fortissimo profumo d’incenso come in chiesa alla benedizione del SS. Sacramento.

Anche la mattina del 24 ottobre 1975 Marta avvertì nella camera di Maria un forte odore d’incenso, che veniva a ondate. Era un momento di tensione fra l’editore Pisani e Padre Berti per la questione delle molte e dotte note che il Padre voleva aggiungere ai Quaderni del 1943. Ma quel medesimo giorno arrivò la lettera di Padre Berti che annunciava la sua rinuncia alle note per non ritardare la pubblicazione del libro.

Madre Teresa Maria rivelò a Marta che Maria aveva fatto, per iscritto, fra i suoi molti atti di offerta anche quello della sua intelligenza (fatto noto solo attraverso Marta), e questo spiega lo “smemoramento” (come accennato sopra, né decadimento né obnubilamento) dei suoi ultimi anni, durante il quale non cessò mai di pregare. Aveva preso a scrivere su ogni pezzo di carta che le capitasse a tiro: “Gesù, confido in te”. Si vedeva immersa in un sole che non era di questo mondo. La beata Anna Maria Taigi (Roma, 1769-1837) aveva la visione continua di un sole, ma continuava ad essere attiva e vedeva in esso, profeticamente, gli eventi futuri, mentre per Maria Valtorta, ormai passiva dopo aver compiuto il suo ministero di sacra scrittrice e profetessa, era solo un segno del Paradiso che l’attendeva.

Quando Maria entrò nel suo “smemoramento”, datole dal Signore, a partire dal 1956, Marta Diciotti si trovò a dover affrontare da sola, senza guida, tutti i problemi della vita pratica: sebbene smarrita, trovò tuttavia conforto e appoggio nella carmelitana Madre Teresa Maria, che era stata amica fedele di Maria.

Sarebbe interessante ora cosa sentire direbbero i soloni del laicismo, i “preti atei” (come li chiama Cristo), i “pastori idoli” (altra espressione di Cristo alla Valtorta), i preti che gareggiano in laicismo e in incredulità coi peggiori e più blasfemi atei e li vincono, di fronte a fatti inspiegabili come quelli che seguono. Dopo cinque mesi di sfollamento a S. Andrea di Còmpito, essendo Viareggio ormai occupata dagli americani, Marta volle andarvi per controllare se la casa fosse ancora in piedi e non fosse stata occupata da qualche abusivo. La porta era stata forzata, ma per il resto tutto era ancora in ordine. Le piante dell’aiuola nel cortile, tuttavia, erano completamente seccate per mancanza di cure. Solo sul terrazzo al piano superiore i gerani nei vasi erano inspiegabilmente freschi e fioriti, come se qualcuno fosse entrato a curarli e inaffiarli amorosamente. Marta ne colse un mazzetto per portarlo a Maria la quale, vedendoli, impallidì visibilmente ma, essendovi altre persone intorno al suo letto, non diede alcuna spiegazione per il suo turbamento. Solo più tardi, quando furono sole, raccontò di aver sognato la madre morta che le diceva: “La casa è salva, gli americani sono venuti, ti ho innaffiato i gerani sul balcone e sono fioriti. Ora me ne posso tornare da dove son venuta.”

Maria lasciò la sua casa di Viareggio solo due volte: per lo sfollamento a S. Andrea di Còmpito; e per le analisi a Pisa, su istanza del dottor Francini, alla fine della sua vita, nel settembre 1961, quando non ve n’era alcuna necessità ed era in pratica già morente; e venne pure brutalmente maltrattata dal radiologo. Maria non avrebbe voluto lasciare la sua casa, dove tanta vita celestiale si era svolta. Marta a quel tempo fece un sogno, nel quale le parve di sentire una voce che diceva: “Maria doveva morire il 16 settembre, il giorno in cui l’avete portata a Pisa, però le preghiere di molti hanno strappato a Dio la grazia che venisse, sì, protratto il suo soffrire come creatura, ma che le fosse data la possibilità di morire nella sua casa.”

Mamma Rosa Quattrini, veggente di San Domenico Piacentino, sorella della suora carmelitana Madre Teresa Cherubina del Volto Santo, annunciò, dopo la morte di Maria, di averla sempre presente in tutte le sue visioni, e rivelò che ella è al più alto grado di beatitudine in Paradiso. Mamma Rosa, pur così diversa da Maria, dato che era quasi analfabeta, aveva lo stesso sguardo profondo di chi ha visto il Paradiso e non poteva mentire. Anche lei, come Maria era perseguitata dal demonio e dai suoi servitorelli umani e, come Maria desiderava morire per congiungersi al suo Salvatore.

Il 19 febbraio 1970, Marta sognò Maria bellissima, che le disse di non installare in casa i termosifoni, per evitare che si pensasse che avevano vissuto nella comodità. Di Padre Berti, dei Pisani e di Madre Teresa Maria, la Valtorta disse, nel sogno, che le erano cari come la pupilla dei suoi occhi e le stavano sul cuore come un bene prezioso, e in particolare il Cavalier Michele Pisani che era veramente un giusto.

Dopo la riesumazione dei resti mortali di Maria e la traslazione dal cimitero di Viareggio alla basilica della SS. Annunziata a Firenze, nel 1973, Marta sognò Maria che guardava le foto delle sue povere ossa sorridendo con compatimento e che disse: “Non vi preoccupate di quei poveri resti. Amate gli Scritti: lì troverete il mio amore per Gesù ed allora amerete anche me.”

Alla fine del 1973, Marta ebbe un altro sogno; con la crisi petrolifera il combustibile per il riscaldamento scarseggiava e faceva freddo in casa; Marta sognò che Maria, splendente di bellezza e di luce, stava caricando il deposito di combustibile. La mattina seguente il necessario rifornimento arrivò.

Il 27 marzo 1975 Marta fece un sogno meraviglioso. Le pareva di essere nella basilica della SS. Annunziata a Firenze, dove Maria è sepolta, e di vedere aprirsi una porta su un giardino celestiale, pieno di luce, di fiori, di persone indescrivibili con parole umane; e qui incontrò Maria, che le promise che sarebbe presto venuta a prenderla.

Il 3 dicembre 1975 Marta sognò nuovamente Maria bellissima, vestita di bianco, che aveva in braccio il Bambino Gesù di due anni e lo posava sul letto accanto a lei.

Nella notte di martedì 8 giugno 1976, Maria apparve a Marta, non in sogno ma in stato di veglia, in uno splendore di paradiso.

Anche dall’aldilà, Maria Valtorta continuò a testimoniare che la morte non è una fine, ma un inizio: “tuis enim fidelibus, Domine, vita mutatur, non tollitur, et dissoluta terrestris huius incolatus domo aeterna in caelis habitatio comparatur”.


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