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“Perché continuo a comprarlo?” aveva detto”Kon-Tiki” aprendolo “basta già la radio a gonfiarci la testa, e per giunta parlano d’infliggerci la televisione; ma tant’è, quante cose si continuano a fare per abitudine.”

Frontoni e la dottoressa Aléo, terminati i salamelecchi al grand’uomo, attendevano di ricevere vitali istruzioni dalle quali sarebbero dipesi i gloriosi destini della scienza medica. I due schiavi avevano annuito alla brillante battuta. Nessuno aveva fretta di precipitarsi al lavoro. “Kon-Tiki” era di buon umore: finiti gli esami, che lo annoiavano tanto, per tre mesi non se ne sarebbe più parlato.

“Forse sarà meglio che vada a dare un’occhiata all’autoclave,” osservò la dottoressa Aléo, visto che, almeno per quella mattina, non ci sarebbero state sconvolgenti novità scientifiche “preferisco che l’istituto non salti in aria finché ci sono dentro.”

“Oh perbacco”, esclamò il barone.

“Che c’è?” domandarono a una voce i due assistenti.

“Quel Donati che abbiamo bocciato ieri ha pensato bene di togliersi dal mondo. Volevamo espellerlo dall’internato, ma ora non ce ne sarà più bisogno.”

“Donati?” ripeté la Aléo, impallidendo. Non capiva che avesse fatto il poveretto da meritare tanto disprezzo.

“Donati?” fece eco Frontoni, che aveva tenuto bordone alla preordinata bocciatura, e ora ne sentiva rimorso.

“Pare che si sia gettato sotto il direttissimo di Bologna.” “Kon-Tiki” sputò lì quell’informazione con la noncuranza che avrebbe potuto avere una vera statua dell’isola di Pasqua.

“Che fegato”, esclamò la Aléo. In realtà pensava al”fegato” dello stesso”Kon-Tiki” nel trattare con tanta noncuranza la tragedia che aveva colpito uno dei loro studenti, e con ogni probabilità proprio a causa della bocciatura.

Ma “Kon-Tiki”, naturalmente, non comprese e continuò con sicurezza, come se quel fatto tragico lo riempisse di soddisfazione:

“Ben altro coraggio ha avuto quello… Be’, è morto, comunque.”

“Cos’ha fatto?” volle sapere la Aléo.

“Presto detto: ha messo le mani addosso a una bambina. Come si poteva tollerare un tipo simile nell’istituto?”

“Nooo!” esclamò d’impulso la dottoressa, dimenticando quanto inopportuno fosse contraddire il gran capo.

“Neanch’io mi sarei aspettato una cosa simile da lui,” ribatté”Kon-Tiki”, senza adirarsi per la differenza di opinione incautamente espressa da uno dei suoi schiavi, tanto soddisfatto era per la conclusione degli esami. E così, per illuminare l’ansioso auditorio, raccontò in breve i “fatti”, ossia quel che gli pareva di ricordare di quanto credeva gli avesse riferito qualcuno che a sua volta parlava per sentito dire. “… e così il padre è arrivato appena in tempo, per salvarla, povera bambina…” concluse con sincera indignazione.

“Rebus sic stantibus…” acconsentì la Aléo, che ci teneva a far sapere di conoscere bene il latino.

“Ma è proprio morto?” volle sapere il dottor Frontoni, che non riusciva a scrollarsi di dosso un fastidioso senso di colpa.

“Per forza”, rispose “Kon-Tiki”. Era convinto che, per ogni caso serio, il primario dell’ospedale fosse moralmente in obbligo di chiedere il suo parere clinico. Fu con una certa stizza che, scorrendo con maggior attenzione l’articolo, vi lesse: “Il giovane Donati Paolo è stato ricoverato con prognosi riservatissima dopo essere stato raccolto esanime allo scalo merci da alcuni ferrovieri. La vittima è stata appena sfiorata dal locomotore e gettata con violenza di lato, finendo di traverso su un binario vicino, sul quale stava per transitare un altro convoglio. Solo l’intervento dei ferrovieri ha quindi impedito che il giovane venisse maciullato, ma le condizioni dell’infortunato permangono critiche.”

“È un miracolo che sia ancora vivo”, osservò Frontoni.

“Kon-Tiki” annuì soddisfatto. Ecco perché non l’avevano interpellato. A che sarebbe giovato il parere, sia pure di un luminare come lui, per un moribondo?

“Sì, è un miracolo, col volo che ha fatto;” confermò “Kon-Tiki”, parlandone come se si trattasse di un’auto in rottamazione “ha una bella lista di danni. Sentite: ‘I sanitari hanno riscontrato la frattura di sette coste dell’emitorace destro e di quattro del sinistro, grave trauma interno, frattura multipla del femore destro, lesioni alla colonna vertebrale. Il ferito non ha ripreso conoscenza’.”

“Sempre accurata la cronaca locale”, osservò Frontoni, con involontario sarcasmo. Avrebbe fatto volentieri a meno di quella notizia, e di tutti quei dettagli. Detestava quell’aria soddisfatta del barone, come se la disgrazia di quel poveretto rappresentasse, per qualche oscuro motivo, un successo per lui.

Anzi, detestava tutto del barone. Frontoni era l’immagine di quel che Paolo avrebbe potuto diventare se la sorte fosse stata differente. Avrebbe potuto ascendere alla prestigiosa posizione di assistente in perenne attesa della promozione, un servo, sfruttato, umiliato, in perenne attesa di un gesto di condiscendenza dall’empireo baronale.

“Chi dei due è stato più sfortunato?” si chiedeva Frontoni.

 


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