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LA GRAMAGLIADE

ovvero

EPOPEA DI UNO SPIRITISTA NEMICO DI MARIA VALTORTA

 

CAPITOLO PRIMO

COME SI DISTORCE UN’AUTOBIOGRAFIA

Seconda puntata

 

Povera Valtorta, che “rivelava già da bambina una psicologia non equilibrata” (p. 14)! I miseri ignoranti come me si chiedono quali siano i sintomi di una psicologia squilibrata, e Lei, con ammirevole tempestività, spiega al mondo in impaziente attesa che lo squilibrio della Valtorta si palesa nella “sua incredibile incapacità di comprendere la struttura della matematica, del calcolo e della geometria, il che le impedì appunto di conseguire diplomi” (ibid.). Verissimo: posso attestare che tutti i miei compagni di scuola bocciati in matematica erano completamente suonati; un paio di loro sono perfino diventati grandi esperti di parapsicologia e tengono sedute spiritiche nel manicomio che li ospita.

Inoltre, leggendo l’Autobiografia (p. 84) con un po’ di attenzione, ho fatto l’orrenda scoperta: Ella, esimio Gramaglia si è sbagliato; non so come sia potuto accadere a un genio come lei, ma è così. Infatti la Valtorta scrive: “Feci in un anno le tre tecniche… e fu una solenne bocciatura nella matematica, geometria e computisteria. Per tutto il resto voti massimi… Mi ero sciupata fino ad ammalarmi, distrutta di fatiche e di lacrime senza scopo… (…) Che è servita quella povera licenza sciupata da voti bassi nelle materie esatte?” Sembra proprio, dunque, che la Valtorta, sia pure con voti bassi, il diploma lo abbia conseguito. Non si abbatta, egregio investigatore della psiche umana, anche Napoleone commetteva errori. Infatti è finito a Sant’Elena. Speriamo che Ella non finisca alla Capraia.

Però stia un po’ attento, perché Ella, egregio Professore Don Gramaglia, ammirevole psicoanalista, se non ha certo problemi col calcolo infinitesimale e con la fisica teorica, ne ha forse qualcuno con le diottrie, che Le provocano ogni tanto qualche piccola svista, come quella di parlare di “analisi spietata e feroce della grettezza della madre” (p. 15). Non si riesce proprio a immaginare la Valtorta spietata e feroce, quando sappiamo che amò di amore soprannaturale sua madre, ne minimizzò sempre le colpe, confermate invece dalle numerose testimonianze indipendenti di donne che conobbero bene la grande veggente, raccolte dal professor Albo Centoni, e riuscì infine, con le sue preghiere, a strapparla all’inferno, dove per ben due volte stava per precipitare. Capisco che questi sono piccoli dettagli che ad un genio possono sfuggire, comunque, caro Gramaglia, si sforzi di assicurarsi che il cervello sia acceso e collegato alla penna, quando si mette a scrivere, onde evitare clamorosi capitomboli.

Ecco, per esempio, poteva risparmiarsi di asserire con tanta sicurezza che la Valtorta avrebbe dimostrato “un’enorme capacità fabulatrice e immaginativa” (p. 16). Ma come la mettiamo con le mitiche “facoltà medianiche”? Se uno ha facoltà medianiche non ha bisogno di “fabulare” per conto suo: si limita a descrivere quello che gli viene dettato dai cosiddetti “spiriti”. Se “fabula”, cioè inventa (cerchiamo di usare parole comuni alla portata dei poveretti come me e i miei ventidue lettori e mezzo), se inventa, dunque, vuol dire che è capace di inventare e non ha bisogno di ispirazioni dall’al di là per inventarsi le sue invenzioni. Oppure inventa comunicazioni medianiche? O media comunicazioni inventate? Sia più chiaro, egregio Professore Don Pier Angelo Gramaglia, perché i pochi neuroni ancora attivi nel mio povero cervello e, immagino, in quelli dei ventidue lettori e mezzo di cui sopra, sono già surriscaldati nel tentativo di seguire i Suoi sottilissimi ragionamenti.

Ma andiamo avanti. A p. 17 Ella si degna di illuminarci come segue: “Nel 1911 si fecero più forti i dolori spinali: credeva che fossero i reni, invece era la colonna vertebrale.” Ammirevole la Sua acuta diagnosi medica a distanza, e senza bisogno di laurea in medicina. Forse era stato illuminato dagli spiriti. Ma sembra invece che questi dolori non si acutizzassero affatto, per il semplice motivo che cominciarono proprio allora. Scrive infatti Maria Valtorta nell’Autobiografia (pp. 96-97 corsivo nel testo): “Ero tornata da poco in collegio, dopo la Pasqua, ed ero sofferente per una caduta nella palestra di ginnastica, dove ero precipitata dall’alto delle sbarre di sospensione troppo grosse per la mia piccola mano e dove avevo riportato la distorsione di una caviglia e, quel ch’è peggio, una contusione spinale. La prima della serie.”

In devota ammirazione della sua chiaroveggenza, noto che Lei sa perfino quello che la Valtorta pensava. Infatti scrive (pp. 19-20) che Maria “avrebbe accettato di trascorrere parecchi mesi a Reggio Calabria per non doverne più subire le reazioni isteriche” [della madre]. Deve dunque essersi sbagliata la Valtorta, la quale temerariamente si permette di contraddirLa, scrivendo nell’Autobiografia (p. 196): “Io non avevo nulla in contrario a stabilirmi in Calabria. Capivo che con Mario era proprio finita e solo l’idea di tornare a Firenze, dove tutto mi ricordava e Roberto e Mario e tutti i miei dolori passati, mi faceva terrore. A Reggio mi era più facile cercare di superare la rete dei ricordi. Così triste è quella rete che ci si vorrebbe rimbecillire per non ricordare più. E poi a Reggio ero amata dai parenti e difesa. A Firenze sarei ricaduta nella mia solitudine e nella mia miseria di affetti.” Dov’è che si parla di reazioni isteriche? Mi sembra, se non vado errato, che si parli piuttosto di ricordi e di solitudine (dato che la madre le aveva brutalmente impedito di intrattenere rapporti con buoni giovani che avrebbero potuto farla felice) ma, non possedendo le Sue pressoché sovrumane doti di psicologo e tuttologo, non posso certo permettermi, egregio Don e Professore, di contraddirLa.

Dunque Lei conosce i reconditi pensieri di una persona che non ha mai visto (p. 20 corsivo nel testo): “Dopo la seconda tragedia affettiva con Mario, la Valtorta dovette tornare in famiglia a Firenze il 2 agosto 1922. Qui fa conoscenza con il Vangelo di Luca: la lettura mette in moto un processo psichico di sedimentazione fabulatrice che si estrinseca prima in sogni e poi in quella fantasia creatrice che darà origine al grande Poema, per cui va famosa.” Oh meraviglia! Ella, egregio, dunque c’era, Ella aleggiava nell’aria, vedeva e sentiva tutto. Forse grazie a qualche esperimento parapsicologico? Un tavolino ballante Le ha raccontato tutto?

In mancanza di tali supporti più o meno occulti e pressoché extraterrestri, ai poveri profani come il sottoscritto, non resta che accontentarsi di quello che si legge nei documenti. Infatti, nell’Autobiografia (pp. 220-221) la Valtorta scrive: “Non ho mai più saputo separarmi dal Vangelo. Esso è il pane quotidiano del mio spirito. Non ho neppure più bisogno di leggerlo perché lo so a memoria, ma pure me lo rileggo perché ci trovo sempre un nuovo incanto. Quando mi sento tanto male, quando ho molta paura di qualche cosa, mi metto il volumetto dei 4 Vangeli, comperato agli inizi del 1925, sul cuore e non ho più paura di nulla. Mi sembra che Gesù da quelle pagine mi dica: ‘Non temere’ (…) Io non so meditare sui libroni o sui librini di ascetica. Finisce che li leggo come un bel libro e basta.. Ma il Vangelo! (…) Il piccolo librino col Vangelo di S. Luca mi ha scaldato il cuore piano piano come una fiamma di un confortevole focolare.” Nonostante ogni sforzo per raggiungere l’altezza delle Sue sovrumane certezze, devo confessare con vergogna che il mio misero intelletto non mi permette di trovare in questo brano alcun rapporto con la “sedimentazione fabulatrice”, che Ella, esimio tuttologo, col Suo infallibile fiuto parapsicologico, ha potuto diagnosticare.

(continua)


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