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LA GRAMAGLIADE

ovvero

EPOPEA DI UNO SPIRITISTA NEMICO DI MARIA VALTORTA

 

CAPITOLO QUARTO

BESTEMMIE SUL GESÙ STORICO

Sesta puntata

Gramaglia, campione di immaginazione morbosa

E poi che scandalo! (ibid.): “Maria Valtorta si fece dare (sic!) da Gesù un appellativo significativo: ‘il mio piccolo Giovanni’; nella figura di questo giovane apostolo, pieno di semplice e cara amorosità, ella identificò sempre se stessa (…). Le continue scene sdolcinate e morbose che descrivono le effusioni tra Gesù e il discepolo prediletto sono quasi sempre la proiezione del desiderio di abbracci e baci da parte della scrittrice.”

Commento dell’AP: “Questa monotona ripetizione della medesima solfa pseudopsicologica non dice nulla sulla Valtorta ma rivela invece molto della morbosa immaginazione fabulatrice del PAG.”

Neppure i bambini si salvano (pp. 147-149): “Anche con i bambini Gesù non riesce a fare miracoli senza metterseli sul cuore e baciarli. Quasi tutte le scene hanno una evidente funzione di compensazione affettiva (…). Moltissimi racconti sono creati per dare soddisfazione al desiderio della paternità-maternità [Malignità dell’AP: “Almeno si decida; cosa desiderava questa poliedrica Valtorta: essere padre o madre?”] di avere un figlio bambino.” [Altra malignità dell’AP: “Perfino il PAG si è accorto che i figli sono bambini, almeno finché non crescono.”]

Eureka! Finalmente si è deciso! La Valtorta non vuol più essere padre. Si accontenta di essere madre (p. 150 corsivo nel testo): “L’ossessione-desiderio della maternità si riflette nei vari ritorni di Gesù alla grotta di Betlemme, sia con i suoi discepoli sia con la Madonna; l’espediente serviva alla Valtorta per raccontare sempre di nuovo da capo e compiacersi nella descrizione di un bambino appena nato da contemplare e da accarezzare. In altre scene Gesù e la Madonna coccolano qualche neonato, tenendo la guancia appoggiata alla sua testolina e sbrodolandosi in un fiume di diminutivi vezzeggiativi, come tortorina, rosellina, agnellino. Giovanna di Cusa adotta due orfanelli vagabondi, portatile da Gesù, cadendo in ginocchio per stringerseli al seno e baciandoli lungo le gotine smunte, mentre il marito li carezza e li prende in braccio; la moglie di Pietro adora il suo Margziam adottato: “Porfirea stringe a sé Margziam non cedendo a nessuno il compito da far sentire al giovinetto che è molto amato.”

Commento dell’AP: “Ma che disgusto, per l’austero PAG, tutte queste smancerie! L’unico bacio che incontra la Sua austera approvazione dev’essere quello del Suo amato San Giuda Iscariota al ‘ridicolo schizofrenico’ Gesù.”

Ma il “ridicolo schizofrenico” non cessa di stupire l’austero PAG con il potere di miracolo (p. 151): “Non solo Gesù può rendere prolifiche le donne sterili [chissà come mai?] ma ai suoi tempi [brutti tempi di superstizione, evidentemente, dato che credevano perfino all’avvento del Messia] per ottenere fecondità queste andavano già a bere l’acqua del rio della grotta di Betlemme e a prendere per tre giorni la terra del luogo dove era nato il Battista [nella nostra illuminata epoca scientifica, con un po’ di fecondazione eterologa il gioco era fatto, e sarebbero avanzati tanti begli embrioni da vendere alle industrie dei prodotti di bellezza]; il rituale contro la sterilità è così descritto, dopo che una donna di nome Sella (cioè Maria Valtorta [acuta deduzione del PAG]) spasima per baciare almeno una volta un figlio: “Gesù dice: Io sono la Vita, Donna, ti sia fatto ciò che chiedi. E posa per un attimo la mano sul capo di Sella.”

Ed ecco il severo giudizio del PAG abbattersi sulle melense morbosità della povera paranoica nonché schizofrenica veggente (ibid.): “Vi sono scene estremamente morbose e melense nella loro apparente semplicità infantile. Ecco ad esempio come la Valtorta proietta sullo stesso comportamento di Gesù l’ossessione per la mancata maternità e il desiderio di contatto fisico.” E l’instancabile PAG cita gli esempi di un bambino che vuole manifestare il suo amore a Gesù che finge di dormire, e di tre bambini salvati e tolti ai ladroni.

Malignità dell’AP: “Per soddisfare i gusti letterari dell’austero PAG, i tre pargoletti avrebbero dovuto prendere Gesù a calci negli stinchi e a pernacchie?”

Almeno un po’ di rispetto per il Crocifisso? Macché! Il PAG argomenta che (ibid.): “persino sulla croce l’avidità con cui Gesù si tende verso la spugna è interpretata e commentata come il gesto ‘di un infante affamato che cerca il capezzolo materno’. Infine, ci assicura la Valtorta, l’ultimo grido di Gesù moribondo fu, indovinate un po’!: Mamma.” Veramente è solo la prima parte della parola che il Redentore crocifisso riesce a pronunciare prima di spirare. Nelle sue fabulazioni da incubo, neppure davanti alla croce il PAG riesce a trattenere il malsano sarcasmo che scaturisce dal suo odio per le cose sacre.

Ed ecco il PAG, in uno dei suoi slanci di sfavillante originalità, arpeggiare sull’avidità infantile (p. 152): “Il 28 aprile 1946 vediamo trasposta sul tema dell’infanzia spirituale l’avidità di un bambino, desideroso di poter suggere dalla inesausta mammella dei meriti di Cristo la prima poppata rigenerante del battesimo in attesa che venga porta anche la divina mammella per la ulteriore crescita soprannaturale.”

Al PAG non deve piacere il latte, soprattutto quello spirituale, sul quale effonde il suo laido sarcasmo.

Ancora peggio va il 9 giugno 1946 (ibid.): “con un paragone anatomico impreciso, la preghiera viene presentata come uno ‘stato fetale’; l’uomo, pregando, si troverebbe nel seno di Dio e uniformerebbe i propri palpiti d’amore di creatura ai palpiti d’amore del Dio-mamma, quasi che uno stesso sangue d’amore imprima il moto ai due cuori distanti, sincronizzando i loro movimenti.” Attendiamo con impazienza che il tuttologo PAG, dall’alto della sua erudizione (anche anatomica?), ci spieghi cosa c’è d’impreciso.

 (continua)


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