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LA GRAMAGLIADE

ovvero

EPOPEA DI UNO SPIRITISTA NEMICO DI MARIA VALTORTA

 

CAPITOLO QUARTO

BESTEMMIE SUL GESÙ STORICO

Dodicesima puntata

Sodoma e Gomorra in salsa gramagliesca

    Continuiamo questa penosa rassegna, evitando ogni tanto di commentare qualcuna delle infinite, penose, grottesche amenità che appesantiscono il già pesantissimo fardello di chi legge la prosa gramagliesca.

Troviamo così che (p. 160) “Le figlie di Filippo, dopo aver sentito la Madonna parlare del suo voto verginale, formulano la promessa di castità perpetua davanti a Gesù.” Orrore! La castità perpetua! Per un ammiratore e accanito difensore dell’Iscariota era certo meglio la Maddalena prima della conversione, vero PAG?

Trionfante, il PAG annuncia di aver preso in castagna la Valtorta in un grave anacronismo (ibid.): “Una donna romana al seguito di Gesù esalta l’era costantiniana (…)”. Consultando il testo originale dell’Evangelo non si trova ovviamente alcun cenno a Costantino. Claudia Procula, moglie di Ponzo Pilato, dice infatti (Cap. 371.3): “Il suo Regno merita di essere fondato perché è regno di virtù. Ben venga, in opposizione alle laide onde che coprono i regni attuali e che schifo mi fanno. Roma è grande, ma il Rabbi è ben più grande di Roma. Noi abbiamo le aquile sulle nostre insegne e la superba sigla. Ma sulle sue saranno i Geni e il santo suo Nome. Grande sarà, veramente grande Roma, e la Terra, quando metteranno quel Nome sulle loro insegne e il suo segno sarà sui labari e sui templi, sugli archi e le colonne”.

Ovviamente nessun cenno all’era costantiniana, frutto malato delle frenesie gramagliesche. L’idea che un giorno Roma potesse accettare il divino messaggio del Redentore poteva benissimo accendere profeticamente l’immaginazione di una matrona conquistata dalla dottrina del Cristo. Più tardi la missione di Pietro a Roma dev’essere stata facilitata dalla protezione di matrone romane convertite come Claudia Procula. Solo così si spiega che i cristiani nell’Urbe fossero già tanto numerosi quando Nerone scatenò la prima grande persecuzione, nella quale trovò la morte e la gloria eterna San Pietro.

Altro motteggio gramagliesco (ibid.) a proposito della conversione di un esseno (Cap. 381.6-10), che il PAG dichiara essere “puro romanzo di fantasia”. Se lo dice lui… Certo il fatto che un esseno avesse bisogno di conversione turba i sonni dei sommi, brillanti, rampanti esegeti scientificamente scientifici che, fabulando del più e del meno, hanno confezionato la storiella che il Cristianesimo sarebbe derivato dalla setta essena. Idea assurda: gli esseni negavano il libero arbitrio, precorrendo le cloacali illuminazioni di Martin Lutero.

Subito dopo troviamo il poliedrico PAG intento a motteggiare in argomento geografico. “Ero qui che l’aspettavo!” esclamò l’amico geografo togliendo la sicura al kalashnikov. Blatera infatti l’inossidabile PAG (ibid.): “Gesù assicura Bartolomeo che al fondo delle acque del Mar Morto, sotto uno spesso strato di sabbia, vi sono i resti quasi intatti delle città punite dalla pioggia di fuoco; godeva ovviamente di un raro fiuto archeologico.” Sorvolando sull’ennesimo stucchevole sarcasmo senza il quale il PAG non sarebbe il PAG, e sorvoliamo pure sul fatto che Dio non ha bisogno di fiuto archeologico perché è onnisciente, il kalashnikov geografico apre il fuoco.

Sulla difficoltà di provare l’asserzione riguardo ai resti delle città peccatrici non vi sono dubbi. L’elevatissima salsedine (28%) e la torbidità dell’acqua pongono problemi gravissimi ad eventuali esplorazioni subacquee, sia con equipaggio umano sia con robot, per non parlare di eventuali scavi archeologici sul fondo. Inoltre la grave tensione politica della regione non favorisce certo le ricerche. Di prosciugare il Mar Morto non se ne parla, sia per difficoltà tecniche sia perché costituisce una zona con caratteristiche uniche e una considerevole attrazione turistica. Infine, indagini su Sodoma e Gomorra difficilmente sarebbero gradite a certi piccoli ma violenti gruppi di pressione facilmente immaginabili e dalla sensibilità particolarmente delicata, gagliardamente sostenuti da speculatori e damazze dei salotti buoni progressisti.

Tuttavia si possono svolgere alcune considerazioni geologiche non prive di un certo interesse, partendo dalla domanda che è la chiave di tutta la questione: come mai il Mar Morto è morto, mentre il lago di Genezaret è vivo? In altre parole: come mai il lago di Genezaret è pieno di normalissima acqua dolce, mentre il Mar Morto ha una salsedine tale (8 volte maggiore di quella media degli oceani) da risultare del tutto inadatto alla vita? Un’altra domanda, legata alla prima: come mai la moglie di Lot, attardatasi a guardare la catastrofe, venne istantaneamente trasformata in una “statua di sale”? Chiediamoci ancora: in quali condizioni un corpo umano può fare una fine del genere? La risposta non è impossibile: se dal cielo piovesse un’enorme quantità di sale incandescente.

L’elevatissima salsedine del Mar Morto fa sospettare che nella crosta terrestre della zona esistesse un diapiro o “cupola salifera”, e forse anche più di uno. Diapiri sono stati scoperti in Europa, Nordafrica, Persia, e sono il risultato della chiusura della Tetide, un braccio oceanico orientato est-ovest che, tra il Permiano e il Miocene separava l’Eurasia dall’Africa. La Tetide cominciò a chiudersi nel Miocene, così che bracci di mare rimasti isolati formarono laghi salati che evaporando diedero luogo a diapiri salini che possono avere diametri da qualche centinaio di metri a qualche chilometro e profondità dell’ordine di vari chilometri: sono enormi masse di sale che tendono a salire verso la superficie facendosi strada tra i sedimenti sovrastanti per spinte idrostatiche, data la bassa densità della salgemma che li costituisce rispetto alle altre rocce.

Lo sconvolgimento tellurico che colpì la regione di Sodoma (inclusa Gomorra ed altre città vicine) viene così descritto da Gesù (Evangelo, Cap. 388.2): la pressione provocata da un terremoto fece fuoruscire bitume attraverso crepacci apertisi nella crosta terrestre e delle folgori lo incendiarono, facendolo ricadere al suolo come massa incandescente. È esattamente questa l’ipotesi formulata dal geologo Frederick Clapp e più accreditata al giorno d’oggi. Si ritiene generalmente che vi fosse in zona un lago sotterraneo di idrocarburi. L’area è attraversata da un linea di faglia legata alla tettonica distensiva della regione, e il gas naturale venne espulso attraverso crepacci dal terremoto; seguì una tremenda esplosione, che proiettò verso l’alto enormi quantità di zolfo, petrolio, asfalto e salgemma diapirica, formando una miscela salata incandescente che ricadde, insieme a vapori sulfurei, bruciando tutto ciò che incontrava.

Non vi è perciò nulla di strano se una città che si trovi a breve distanza da una simile eruzione sia annientata con tutti gli abitanti e che, nella fossa tettonica dove avviene tutto questo, le acque piovane accolgano percentuali elevatissime di sale, formando un lago dalla salsedine decisamente anormale e non spiegabile in base alle condizioni climatiche. Quindi l’affermazione che le città distrutte siano in fondo al Mar Morto coperte dalla sabbia del fondo, accumulatasi in seguito all’erosione delle rive, e rimaste pressoché intatte, perché conservate dal sale, è assolutamente plausibile. Non è difficile poi immaginare che un corpo umano, come quello della moglie di Lot, verrebbe istantaneamente bruciato dalla pioggia di zolfo e sale incandescente, e trasformato in una sorta di “statua”. Se il PAG ha dubbi in proposito, potrebbe dimostrare il suo amore per la scienza offrendosi volontario per un opportuno esperimento consistente nel sottoporlo a una doccia del genere.

“Uah, uah, uah! Questo è vieto concordismo!”, mi pare di sentire gli sghignazzi di tutti i teologi progressisti, prontamente colpiti da una violenta crisi di orticaria al solo pensiero che tra i fatti della Bibbia e la verità ci possa essere qualche remoto rapporto.

(continua)


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