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Il sogno di poter creare artificialmente l’intelligenza è strettamente connesso all’interpretazione materialista della vita propagandata dal darwinismo. Come per l’ambientalismo, anche di fronte a tale prospettiva i miscredenti tremano di fronte a pericoli inesistenti. Il fisico Stephen Hawking, ad esempio, ha affermato più volte che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe segnare la fine del genere umano. Essa “potrebbe decollare per conto proprio e ridisegnarsi a velocità crescente. Gli uomini, limitati dalla lenta evoluzione biologica [sic !?!] potrebbero non riuscire a competere.” Aiuto! Aiuto! come nella fantascienza, il computer scappato di mano divora gli uomini.”

Calma, ragazzi. Il prof. Emilio Gagliardo (1930-2008) era noto per i suoi contributi alla teoria delle equazioni differenziali alle derivate parziali paraboliche, alla interpolazione fra spazi di Banach e alla teoria degli spazi di Sobolev. Nel 1971 ebbi occasione di incontrarlo alla Oregon State University, dove lavorava al centro di calcolo appunto per i suoi studi sull’“intelligenza artificiale”. Poi evidentemente dovette rendersi conto che era impossibile risolvere il problema e nell’Appendice al suo ultimo testo di analisi, i matematici Tagliasco & Vincenzi, dimostrano che, mentre l’analisi infinitesimale è ampiamente compatibile con le capacità dei cervelli umani, è invece incompatibile con quelle, assai più limitate, dei computer. Questi non sono macchine miracolose; non esistono infatti macchine miracolose. I calcolatori non sono che dei pallottolieri automatici, capaci di trattare solo funzioni relative a numeri interi. Ora, la nanotecnologia permetterebbe oggi di costruire calcolatori meccanici, in pratica dei pallottolieri, altrettanto efficienti quanto quelli elettronici. Con la logica dei calcolatori, cioè dei pallottolieri, non è possibile simulare la logica dell’analisi infinitesimale: gli autori citati dimostrano che, se l’integrazione indefinita è computabile, si danno casi in cui non lo è la derivazione, e viceversa: questo distrugge la rete dei concetti analitici perché l’integrazione indefinita e la derivazione sono effettivamente operazioni opposte, ma il computer non è in grado di rilevare ciò, e in tal modo smentisce il teorema fondamentale dell’analisi matematica. A uscirne con le ossa rotte, naturalmente è il computer, non il teorema.

Se il computer non è in grado di competere con la mente umana neppure in quello che dovrebbe essere il suo campo di elezione, figuriamoci se può essere capace di emulare il mondo vivente e tanto meno l’intelligenza. Non a caso, Federico Faggin, inventore del primo microchip e dei sistemi touch screen, si è dichiarato assolutamente scettico sulla cosiddetta “intelligenza artificiale”. La cellula vivente è un sistema molto più complesso di un microprocessore, una forma di vita così semplice ha una capacità di elaborazione che neppure gli ingegneri più bravi riuscirebbero a emulare con i più potenti computer. Assurdo pensare che riescano ad emulare il cervello che è un sistema dinamico basato sulla meccanica quantistica degli atomi e delle molecole, che elabora le informazioni in un modo che ancora non conosciamo. Anche Roberto Cingolani e Giorgio Metta, due scienziati dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, nel libro  Umani e umanoidi. Vivere con i robot, osservano che questi sono macchine e non potranno mai avere manifestazioni tipiche del sistema biochimico umano, tanto meno l’autocoscienza.

Insomma, il pomposo pallottoliere elettronico fa davvero una magra figura. Ecco un immaginario dialogo che lo vede protagonista.

UOMO – Quanto fa due per due?

COMPUTER – Quattro.

UOMO – Come stai oggi?

COMPUTER – Quattro.

UOMO – Cos’è la vita?

COMPUTER – Quattro.

UOMO – Cosa c’è dopo la morte?

COMPUTER – Quattro.

UOMO – Quanti sprovveduti credono davvero nell’evoluzionismo?

COMPUTER – Quattro.

UOMO – Be’, ho da fare. Ti saluto, intelligentone.

COMPUTER – Quattro.


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