Vietato anche ridere. Il Grande Fratello non tollera che i sudditi ridano.
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Con profonda soddisfazione annunciamo
una fondamentale scoperta scientifica,
illustrata nel diagramma qui sopra,
con immagini di vari colleghi,
paladini del relativismo,
che non mancheranno
di riconoscersi.
Ecco infatti (squilli di trombe e standing ovation):
IL CICLO DELL’IDIOZIA UNIVERSITARIA.
L’epocale scoperta del suddetto ciclo rappresenta
un rivoluzionario progresso scientifico:
risolve infatti un problema che
che da tempo turba e affatica
le menti degli scienziati:
perché almeno 4/5
dei cattedratici
Secondo le misure al radiocarbonio, la Sindone è medievale, il Corano fu scritto prima che nascesse Maometto, una chiocciola appena morta risale a cinquemila anni fa, un corno da bere vichingo è del secolo ventunesimo d.C. Domanda: chissà di che epoca è il cervello di chi fa queste misure?
A che serve una testa vuota? A fare il relativista.
Antropologia dei generi? Chissà che ne dicono le suocere?
Che c’è di peggio di una primavera silenziosa? Un ambientalista che blatera.
Qualcosa di ambientalisticamente insostenibile? Un politicante che blocca qualunque iniziativa.
MENU DEL BAR “TEMPI GRAMI” – VIA DELLA SFIGA, 17
Insalata alla Bergoglio: frullato di indietristi e sgranarosari con sangue di Giuda.
Panino “Tempi grami”: due fettine di pane stantio con lo scontrino in mezzo.
Cocktail Monti: acqua sporca, colorante, spruzzo di fiele, agitato non mescolato.
Caffè Fornero alla lacrima: fondi neri riciclati di caffè, spine di scorfano, lacrime di coccodrillo.
— Voglio due paia di guanti — disse il distinto cliente, entrando nell’elegante negozio di confezioni.
— Subito, signore, — rispose premuroso il commesso — abbiamo anche, in offerta, una grande varietà di calzini. —
— Non mi servono, — affermò orgogliosamente il cliente — ai piedi metto i guanti. Sono un evoluzionista darwiniano, cosa crede? —
ORAZIA
Salve, sono un prete cattolico. Noi non ci sposiamo (finora). Ma questo non vuol dire che non troviamo modo di esercitarci sul lato A e soprattutto su quello B. Nostro compito è assistere i poveretti, costruire ponti non muri perché entrino tanti bei negroni muscolosi e appetitosi, e predicare la misericordia per tutti senza condannare mai nessuno perché perfino Giuda Iscariota potrebbe essersi salvato. Gli unici da condannare sono gli sgranarosari e certi nostri colleghi che insistono coi dubia, con le lagne latine e col Vangelo, mentre non si sa cosa abbia detto quello là, dato che non c’erano registratori.
PERCHÉ SCRIVIAMO?
Sembra una domanda superflua perché è abbastanza chiaro il motivo per cui moltissima gente scrive, e quelli che scrivono sono talmente tanti che ci sono più scrittori che lettori. C’entrano desideri diversi: sfogarsi, raggiungere la “gloria”, dare una lezione a qualcuno che ci è antipatico, eccetera eccetera.
Sarebbe assurdo negare che queste ragioni non abbiano qualche peso nel nostro caso, ma c’è una ragione incomparabilmente più profonda e importante: vogliamo diffondere, nei limiti dei nostri minuscoli poteri, la verità.
Chi non sa fare un aforisma farebbe bene a rinunciare a scrivere.
Il libro più bello è quello che non si ha il coraggio di scrivere perché rivelerebbe troppo di noi stessi.
Si deve scrivere anzitutto per il proprio piacere. Se poi si vendono tanti libri e arride il successo da parte di pubblico e critica, bene. Se no, tanto peggio per il pubblico e la critica.
FINCIPIT
(FINTI INCIPIT DI OPERE FAMOSE E IMPORTANTI
E DI ALTRE MENO FAMOSE ED IMPORTANTI)
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Complimenti alla forestale per l’ottima segnaletica.
DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
E poi dicevano che le foreste erano scomparse.
DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia
Victoria non poteva più fingere con se stessa: ormai pesava più di cento chili.
MARIA CRISTINA ALVONI, Gli occhi della dama
La satira può accordarsi con l’amore cristiano? Era un dubbio che mi metteva a disagio. Mi addormentavo pensandoci e mi pareva che il mio impulso a scrivere, la mia “ispirazione”, fossero impediti dallo scrupolo.
Una notte che, contrariamente a quanto dicono i racconti a proposito del mitico momento cruciale, era buia ma non particolarmente tempestosa, mi apparve in sogno un uomo di aspetto piacevole, sereno ma con un tocco di velata malinconia. Vestiva una toga romana e calzava eleganti sandali, pure di tipo romano. Era come avvolto da una tenuissima nebbia e mi guardava intento. Mi voltai a chiamare mio marito, che (eccezionalmente, in quel particolare sogno) non era con me, ma l’apparizione, come se mi leggesse nel pensiero, mi fermò: