Maria Valtorta ha subito ignobili persecuzioni da parte di una gerarchia insensibile e avida, che pretendeva di spacciare la rivelazione da lei avuta come opera semplicemente umana, in modo da poterla sfruttare commercialmente. I capi Serviti di allora progettavano persino di trarne dei film. La grande veggente fu denunciata al Sant’Uffizio, che non si è mai mosso senza una denuncia, da un Servita d’alto rango, il cui nome è ignoto. Maria Valtorta lo conosceva, perché dal suo letto di paralitica tutto sapeva grazie al Divino Maestro, ma, caritatevolmente, lo tacque nel suo epistolario con Madre Teresa Maria, che rappresenta una delle più importanti raccolte di documenti di quanto la Valtorta ebbe a soffrire proprio a causa del clero. L’alto gerarca era stufo di essere supplicato da un giovane confratello che cercava di intercedere per la veggente, paralizzata, malata, perseguitata e in ristrettezze finanziarie. Tentata dal diavolo di pubblicare a proprio nome, ciò che avrebbe risolto i problemi economici di lei, e avrebbe acquietato i farisei che la perseguitavano, Maria Valtorta, eroicamente, resistette. La conseguenza della vile denuncia fu la vergognosa messa dell’Opera valtortiana all’Indice. Si sa per certo che i prelati del Sant’Uffizio si pentirono della messa all’Indice subito dopo, e l’Indice stesso venne immediatamente abolito, sia pure con una curiale piroetta salvafaccia che pretendeva che conservasse ugualmente un qualche valore. Ma se valeva ancora, perché abolirlo? Dov’è finito il sì-sì-no-no, al di fuori del quale vi è solo opera del demonio?







Sabina Fulloni
Gioia del Colle. Il restauro di un castello svevo nelle foto di Arthur Haseloff
(Traduzione dal tedesco di Emilio Biagini)
Nel 1905 il medievalista Arthur Haselhoff (Fig. 1)[1] fu inviato, per volere del Kaiser Guglielmo da Berlino a Roma, con l’incarico di organizzare un reparto di storia dell’arte e di compiere ricerche sui castelli svevi dell’Italia meridionale, operando in qualità di terzo segretario dell’Istituto Storico Reale Prussiano, fondato nel 1888 e presieduto dal 1903 da Fridolin Kehr. Nell’ambito di tale progetto, Haseloff compì tra il 1904 e il 1911 sette lunghi viaggi nel Mezzogiorno d’Italia. Uno dei suoi obiettivi era il castello di Gioia del Colle, che egli visitò più volte, come tutte le costruzioni di maggiore complessità, per completare e controllare le sue descrizioni (Fig. 2). Il carteggio con Kehr (1907-1911) documenta quattro escursioni a Gioia del Colle. I risultati della sua ricerca sono esposti in una relazione inedita inviata al Kaiser. Questa descrizione era accompagnata da fotografie che vengono alla luce per la prima volta dopo quasi 100 anni. L’ordine cronologico originario è tuttavia sconosciuto. Nel 1907 il castello era in condizioni precarie, l’occasione per un’indagine più ravvicinata del sito si presentò inaspettatamente nello stesso anno, come Haseloff riferì per lettera a Kehr: “Ho parlato di recente del castello di Gioia col marchese Luca Resta, che lo farà rimettere in ordine da Pantaleo. Si presenterà così l’occasione di studiare con grande accuratezza questo castello.”[2]
Giornale di arte delle costruzioni – Con le pagine aggiuntive – Cronaca artistica e mercato d’arte – Nuova Serie – Anno ventesimo – Lipsia – Editrice di E. A. Seemann – 1909 [Purtroppo le foto qui riprodotte sono di qualità scadente, forse perché hanno sofferto nel passaggio dalla pagina originale alla fotocopia. N.d.T.]
Paul Schubring
GIOIA DEL COLLE
(traduzione dal tedesco di Emilio Biagini)
Fra i castelli di caccia e le fortezze degli Hohenstaufen, che al tempo di Federico II furono costruiti o ristrutturati in Puglia – si tratta nell’insieme di 20 castelli – fino ad ora veniva considerato più significativo e grandioso Castel del Monte, edificato presso Andria sugli ultimi contrafforti delle Murge. Questa preminenza rimarrà sempre allo splendido ottagono che come una corona riposa sul cuscino di montagne. La localizzazione solitaria, lontana da tutti gli insediamenti civili, ha protetto il castello da ricostruzioni e aggiunte posticce – ma non dai saccheggiatori, che per secoli utilizzarono la potente struttura architettonica come cava di pietra, ed ha strappato e portato via tutto ciò che era trasportabile, non solo l’intero paramento, ma anche le lastre marmoree delle pareti, larghe parti dei pavimenti, dei caminetti, del pozzo, e così via. Così in Castel del Monte si possono solo formulare ipotesi sulla destinazione dei singoli spazi, dove l’imperatore Federico viveva – non vi sono purtroppo documenti su Castel del Monte –, e quali spazi fossero destinati agli ospiti e alla servitù. Parecchio si potrà chiarire dal confronto di Castel del Monte con altri castelli, ad esempio l’interno del castello di Bari offre informazioni dettagliate e siamo in attesa della monografia complessiva sui castelli dell’Italia meridionale del Dott. Haselhoff.
La “Dea di Taranto”:
un’immagine cultuale dalla Magna Grecia
(Traduzione dal tedesco di Emilio Biagini)
475-450 a.C. – Scoperta nel 1911 nell’Italia meridionale. – Come luogo di rinvenimento fu indicata Taranto, ma anche Locri. – Marmo. Altezza 151 cm
La solenne statua, nella quale la postura dello stile severo incipiente si congiunge con la ricchezza decorativa dell’abito e la vivacità dell’arte tardo arcaica, ha dato ampio motivo di discussione. Persino il luogo di ritrovamento è oggetto di disputa. Con una certa sicurezza si può ritenere che si trattasse di un’immagine cultuale (ossia destinata al culto). Del medesimo tipo è uno stampo in terracotta proveniente da Taranto, usato per la produzione di statuette di una dea in trono, statuette che venivano consacrate nel santuario della dea. La statuetta regge nella mano destra una coppa per le offerte, mentre l’oggetto della destra non è riconoscibile. È possibile quindi che anche questa statua tenesse in mano una coppa per le offerte.

È un vero peccato non avere potuto condividere questo magnifico post che dovrebbe far meditare tutti i ritardati che ragliavano: “Mettiti la mascherina”, “Copriti il naso”, ecc., se avessero qualcosa nella scatola cranica, a parte le ragnatele.
Voglio coglier l’okkasione
del bel bunker di cartone
per trovare un’espressione
dell’intera situazione:
“No, non c’è korrelazione”,
disse allegro il gran koglione
“il regime ci vuol bene,
ci vaccina e ci sostiene;
L’Irminsul, l’albero cosmico, o “asse del mondo”, era adorato nella Germania settentrionale pagana. Quando, nel 772, Carlo Magno conquistò la fortezza sassone di Eresburg, distrusse ogni simbolo pagano e fece abbattere l’albero sacro. Non per questo cessarono le credenze e i riti stregoneschi e satanici collegati all’adorazione delle forze naturali, ostili alla Verità cristiana. L’ideologia ambientalista, profondamente pagana e antiumana, mira a colpevolizzare l’uomo come elemento “disturbatore” della realtà “naturale”, si riveste di gergo pseudoscientifico (vedi le farneticazioni sull’“impronta ecologica”), e tende a far rivivere il mito dell’albero indispensabile e benefico.
IL VERO MOTIVO DELLA RIVELAZIONE PRIVATA A MARIA VALTORTA
Nel 1947, in una pagina (riportata nella corrispondenza tra Maria Valtorta e Mons. Carinci), e destinata al Santo Padre, il quale probabilmente non l’ebbe mai, Cristo esortava il Papa ad usare l'”Evangelo come mi è stato rivelato” per controbattere le ideologie atee dilaganti: l’Opera, “resa completa e gradevole, era pensata in modo da raggiungere quelle anime che non avrebbero in alcun altro modo letto i Vangeli”. In altre parole, si trattava di un prezioso strumento per avvicinare alla Verità evangelica coloro che ne sarebbero altrimenti rimasti per sempre lontani.
“Ordunque, quali vantaggi offre la teoria dell’evoluzionismo?”
“Permette ai biologi di affermare di possedere una teoria unificatrice che abbracci tutta la biologia e quindi ne aumenti il prestigio scientifico, permette di giustificare l’ambientalismo, la teoria dei generi, l’aborto, l’eutanasia, permette di togliere credibilità alla Bibbia, giustifica la competizione per l’esistenza e la guerra, puntella l’idea di superiorità delle nazioni anglosassoni su tutte le altre… Infatti solo gli anglosassoni hanno diritto di esistere e comandare tutti gli altri, bombardarli, massacrarli e civilizzare i superstiti (se ce ne sono) …”
Una stanza tipo ufficio. Scrivania, poltrona, telefono.
Personaggi:
Il MAESTRO;
il TIRAPIEDI.
TIRAPIEDI (entra con le braccia alzate in segno di grande disperazione) — Maestro, maestro, una catastrofe.
MAESTRO — Che c’è?
TIRAPIEDI — È morto, è morto.
MAESTRO — Chi è morto?
TIRAPIEDI — Che disastro, è morto, è morto.
MAESTRO — Ma chi è morto, accidenti?
TIRAPIEDI — Il marxismo, maestro, è morto.
MAESTRO — Morto? Ma se due minuti fa stava benissimo.
TIRAPIEDI — Eppure è lungo stecchito.
MAESTRO — Ma se la teoria della transizione funzionava così bene.
TIRAPIEDI — Lo so, però all’improvviso la transizione è andata storta.
MAESTRO — Vuol dire che invece di transìre dal capitalismo al socialismo…
TIRAPIEDI — Abbiamo transìto alla rovescia, dannazione.
MAESTRO (facendo l’atto di tirare il collo a qualcuno) — Ci dev’essere un traditore. Bisogna scovarlo.
TIRAPIEDI (torcendosi le mani) — Proprio ora che avevo il concorso. A chi la daranno la mia poltrona, adesso?
(squilla il telefono)
MAESTRO — Pronto. Ah, è lei, Eminenza.
TIRAPIEDI — Chi è?
MAESTRO — È l’Eminenza.
TIRAPIEDI — Ah…
MAESTRO — Si, ho sentito, Eminenza… Me l’hanno appena comunicato, Eminenza… Chi penserà adesso ai poveri, Eminenza?… Mah? Anche noi siamo preoccupati, Eminenza… Grazie della telefonata, Eminenza… Lei è molto buono, Eminenza… Grazie, Eminenza… La sua solidarietà ci rinfranca, Eminenza… (depone la cornetta) Era l’Eminenza… l’Arci-Vescovo, il Vescovo dell’Arci.
TIRAPIEDI — E adesso?
MAESTRO — Bisognerebbe avere notizie più precise.
TIRAPIEDI — Io so tutto.
MAESTRO — Cosa ne vuol sapere? Non sono io il Maestro? Ci diamo delle arie? Ohi, giovanotto…
TIRAPIEDI — Ma io ho assistito all’incidente.
MAESTRO — Che incidente?
TIRAPIEDI — Gli è caduto un muro in testa.
MAESTRO — Un muro?
TIRAPIEDI — Era il muro che doveva servire a tener dentro i polli, e invece…
MAESTRO — Ha sofferto molto?
TIRAPIEDI — Non credo. È stato tutto così all’improvviso.
MAESTRO — Dove l’hanno portato?
TIRAPIEDI — All’obitorio.
MAESTRO — Mi viene un’idea. Io sono uno specialista di obitori.
(compone un numero telefonico)
TIRAPIEDI — Lei è grande, maestro.
MAESTRO — Pronto, obitorio… mi passi il dottor Dinamo… Dottor Dinamo, c’è da lei un ospite molto rosso… In che posizione?… Orizzontale, credo… Sì?… L’ha visto?… Cosa dice, è molto brutto?… Ma no, ma no, è tutta questione di abitudine… Senta, noi abbiamo un problema… Tutti hanno problemi, sì… Però noi ne abbiamo uno molto grosso… Dovremmo organizzare il funerale… Ma non un funerale qualsiasi, lei m’intende?… Un funerale con sorpresa…
TIRAPIEDI — Devo preparare la lista degli invitati?
MAESTRO — Sì, sì, prepari, prepari… No, non intendevo il caro estinto… Stavo parlando col mio collaboratore… Senta, Dinamo… Lei s’intende di elettricità, no?… Appunto… Ora, ha presente l’imbalsamatore?… Quello che lavora per il museo di storia naturale… Vicino al fabbricante di bare… Ecco, ora mi segua… Bisognerebbe fare un’imbalsamazione flessibile… Sì, flessibile… Che possa piegare gambe e braccia… No, non tanto… basta un po’… E poi… e poi entra in scena lei… Vedo che ha già capito… Sì, con un po’ di elettronica e un accumulatore… Lo facciamo muovere come se fosse vivo… Così all’improvviso si alza dalla bara e fa una bella sorpresa a tutti… Chi vuole che se ne accorga?… Malamente si muoveva anche da vivo… La faccia? Ma cadaverica l’ha sempre avuta… Ecco, bravo, una bella mummia meccanica… Domani vengo a vedere… Quanto ci vorrà?… Di tempo, voglio dire… Ah, bene, un paio di giorni… Per la spesa non si preoccupi… Paga il partito… Bene, bene… A presto, allora… Saluti in famiglia… Presenterò… Arrivederla… Ecco fatto.
TIRAPIEDI — Tutto a posto?
MAESTRO — Ancora no.
TIRAPIEDI — Cosa manca?
MAESTRO — Ci vuole il piano di mimetico e la campagna pubblicitaria.
TIRAPIEDI — Che piano mimetico?
MAESTRO — Prima di tutto bisogna cambiare un po’ di nomi, di sigle e di simboli.
TIRAPIEDI — Perché?
MAESTRO — I polli devono credere che tutto sia cambiato. Il nostro morto vivente dovrà gridare demokraaa… demokraaa… Diventiamo democratici, anzi liberaldemokraaaatici. Viva le privatizzazioni, viva il dilagare della grande finanza liberal-masson-giudaic-sionist-amerikansk-bankaria. I dominatori del domani: l’intelligenza artificiale, il superkontrollo per pandemie inesistenti. Tutti kiusi in kasa, tutti senza makkina perké inquina, con la benedizione dei monsignori dell’Arci. Il terrore pandemiko, il terrore klimatiko, qualke guerra qua e là, coi nostri amici nazisti in prima linea. Gente terrorizzata si governa meglio e si distrugge più facilmente. Siamo troppi, siamo troppi, siamo troppi a divorare la sacra Terra. Poi ce ne andremo, noi Maestri, non certo voi Tirapiedi, in vacanza alle Maldive con l’aviogetto quadrireattore del partito, che non inquina, mentre la Panda del comune suddito e le scorregge della mucca Carolina inquinano moltissimo e vanno soppresse.
TIRAPIEDI — Magnifico, e poi?
MAESTRO — Poi, per la pubblicità, bisogna trovare un capro espiatorio.
TIRAPIEDI — Cos’è un capro espiatorio?
MAESTRO — Qualcuno da odiare.
TIRAPIEDI — Ah.
MAESTRO — L’odio è il nostro nutrimento, una gran lente d’ingrandimento.
TIRAPIEDI — Per vedere cosa?
MAESTRO — Non serve a vedere.
TIRAPIEDI — E allora…
MAESTRO — È lo strumento dei nostri magistrati. Serve da specchio ustorio.
TIRAPIEDI — Che cosa?
MAESTRO — Concentra i raggi e brucia, cretino.
TIRAPIEDI — E chi dobbiamo bruciare?
MAESTRO — Qualcuno il cui rogo distolga l’attenzione dal caro estinto e dalla nostra trasformazione demokraaa.
TIRAPIEDI — Per esempio?
MAESTRO — Qualche antipatico non allineato che pretende di entrare in politica senza il nostro permesso. E la gente ci seguirà.
TIRAPIEDI — Dove le attacchiamo il cavo di rimorchio?
MAESTRO — Al naso.
TIRAPIEDI — Il punto più adatto. Lei è un genio, maestro.
MAESTRO — Niente paura. Situazione sotto controllo. Non è successo niente.
TIRAPIEDI — Tutto come prima?
MAESTRO — Certo.
TIRAPIEDI — Allora possiamo stare tranquilli?
MAESTRO — Tranquillissimi.
TIRAPIEDI — Le poltrone sono al sicuro?
MAESTRO — Sicurissime.
TIRAPIEDI — E il mio concorso?
MAESTRO — Niente paura, le dico.
TIRAPIEDI — Che sollievo.
MAESTRO — Plus ça change, plus c’est la même chose.
TIRAPIEDI — Perché parla tedesco?
MAESTRO — È sempre ben tenersi in esercizio.
TIRAPIEDI — E la rima?
MAESTRO — Col funeral, non fine, ma un inizio.
TIRAPIEDI — Lei è immenso, maestro.