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In tanto splendore di comodi, pace, sicurezza, un solo punto oscuro: la Chiesa cattolica, il grande “nemico dell’umanità” che pretende che l’uomo non possa essere Dio, ma che vi sia un vero ed unico Dio trascendente. I cattolici sono inorriditi dal materialismo che bandisce Dio dal mondo, e al tempo stesso scimmiotta la religione cattolica, adottandone le espressioni di adorazione e distorcendole ad onore non di Dio ma di Felsemburg. Costui si rivela per quello che è, ossia l’anticristo, e non esita ad ordinare lo sterminio dei cattolici, a cominciare da Roma, la quale, su suo ordine, viene rasa al suolo. Più tardi, anche l’ultima traccia del Papato e della
Chiesa, ormai ridotti alla clandestinità, vengono scoperti e sterminati.


Ma, nel momento in cui la strage sta per compiersi, nell’attimo in cui gli ultimi giusti stanno per scomparire dal mondo, che senso ha che l’umanità continui a vivere? Che senso ha che continuino a nascere nuove vite umane, se la luce della Verità è spenta, e nessuno più si salverà? Che senso ha lasciar vivere l’umanità se è tanto abbrutita da non vedere più il bene? Che senso ha lasciare in vita l’umanità solo per popolare sempre più l’inferno? I giusti, sia pure pochi, tenevano in vita il mondo, erano la protezione contro la fine, allo stesso modo in cui pochi giusti avrebbero significato la salvezza di Sodoma e Gomorra. Ma tutto il mondo, ormai, è corrotto, i giusti perseguitati sono tutti morti o stanno per morire sotto le bombe dei filantropici propugnatori dell’ultralaicismo “umanitario”. A questo punto gli esseri immondi e blasfemi hanno finito di segare il ramo su cui stavano seduti e sprofondano nell’abisso. Arriva inevitabile il Giudizio universale e passa la gloria di questo mondo. Così, con l’Apocalisse, si conclude il libro.
Significativa è la scelta del nome per l’anticristo: Felsemburg altro non vuol dire, in tedesco, che “fortezza sulla roccia”, con evidente richiamo all’inno di Martin Lutero “Ein feste Burg ist unser Gott” (Una salda fortezza è il nostro Dio). L’autore addita così nella famigerata “riforma” protestante la radice del processo che, attraverso la secolarizzazione, l’illuminismo, le rivoluzioni, il nazionalismo, le ideologie, conduce al brillante “mondo moderno”, ossia al laicismo ateo e alla blasfema “deificazione” dell’uomo.
Pure significativo è che la fine venga annunciata da una serie di fenomeni strani e inquietanti. Una persona in punto di morte vede arrivare dal cielo un qualcosa di indistinto, spaventoso e terribile, che gli altri scambiano per l’avvicinarsi di un comune temporale. Il tempo impazzisce: cataclismi si abbattono sulla terra distruggendo intere città, il caldo è insopportabile: segni già profetizzati nei primi secoli, come testimoniato da Sant’Agostino nel De civitate Dei (XVIII, 23): “Iudicii signum: tellus sudore madescet” (Segno del Giudizio: la terra è madida di sudore).
Questo è un libro veramente profetico, opera di un autore vissuto tra il 1871 e il 1914, ed appartenente per nascita ai circoli più esclusivi dell’Inghilterra, in quanto figlio dell’arcivescovo anglicano di Canterbury. Con grande scandalo della famiglia e della “buona” società, Robert Hugh Benson si convertì al cattolicesimo, evidentemente dopo aver visto bene e da vicino dove andasse a parare il laicismo massonico delle classi dominanti, non solo britanniche.
Purtroppo, questo romanzo magnifico è danneggiato, nella versione italiana, da una traduzione penosa, a cominciare dal titolo, che non avrebbe dovuto essere “Il padrone …….”, ma “Il signore del mondo”. Oltre ad essere più aderente all’originale, avrebbe reso meglio l’idea dell’anticristo, che, imitando e scimmiottando Dio, si presenta appunto come il “Signore” (Lord, mentre “padrone” sarebbe la corretta traduzione di master, vocabolo che l’autore non ha usato).
Il Galles (Wales) è divenuto “Vallese” (cantone svizzero, assolutamente fuori luogo) (p. 11). Si parla di “colline di Surrey” (p. 16), ma il Surrey non è una città ma una contea e si sarebbe dovuto dire “colline del Surrey”. La parola sentence (frase) diventa “sentenza” (p. 62), così che abbiamo personaggi che, invece di parlare normalmente, pronunciano sentenze. Esilarante, se non fosse un’immagine blasfema, è il Papa “con un zucchino in testa” (p. 138); e perché non un pomodoro? Le vie sono “strette e ottuse” (p. 146), mentre le balaustre sono diventate “i balaustri” (p. 150). La relazione data al Papa sugli avvenimenti diventa “l’avviso che aveva dato al Papa degli avvenimenti” (p. 186).
Ancora una volta si conferma che, per produrre una traduzione decente, non basta sapere più o meno approssimativamente la lingua straniera, ma è pure indispensabile possedere una solida cultura generale ed essere capaci di scrivere in italiano, ossia raggiungere un livello di preparazione che la scuola e l’università italiana, dopo il famigerato Sessantotto, il “ventisette politico”, il “vietato vietare”, la “fantasia al potere”, ed altre consimili forme di demenza senile, non sono più in grado di offrire, e che di questo passo, grazie alla non meno famigerata “riforma” Berlinguer-De Mauro e alle demenziali farneticazioni dei “generi”, saranno in grado di offrire sempre meno.

EMILIO BIAGINI


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