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 ORO O O LATTA: QUESTO È IL PROBLEMA

Abbiamo deciso di premiare con opportuni segni del nostro apprezzamento le opere letterarie e cinematografiche che hanno attratto il nostro interesse. Questa rubrica viene aggiornata quando ci pare e il nostro giudizio è inappellabile.

I TRIGOTTI

-Figura_aquila

 And the winner is …….

Ecco il vincitore (anzi, la vincitrice) della prossima Aquila d’oro:

 

Segue una recensione di Emilio Biagini:

 

ADRIANA COMASCHI (2018) Delitto a Palazzo Grimaudi, Chieti, Solfanelli

La nota scrittrice ha prodotto un pregevole giallo storico ambientato nel Piemonte del 1832 e sorretto da una meticolosa ricerca. L’azione è vivace e i caratteri dei personaggi sono energicamente delineati. Notevole la forte figura della protagonista investigatrice, la badessa suor Benedetta, la quale, unica ad avere la testa sul collo, non approva gli intrighi “risorgimentali” e non vi si fa coinvolgere. Risponde a colui che le domanda di “aver fede” nel “radioso destino” della patria, quale si sperava di conseguire mediante la cospirazione massonica della Giovine Italia (p. 150): “Ho fede, Eugenio. Ma in Dio soltanto.”

Lo scioglimento del mistero tende ad una condanna della società aristocratica dell’epoca, prospettando un dorato futuro di “libertà”. Purtroppo la conclusione avvalla le bubbole della Giovine Italia (p. 145 e segg.) del massone Giuseppe Mazzini, uno dei padri del cosiddetto “risorgimento” che finì per trasformare una grande nazione di respiro universale, centro del mondo in quanto centro della Cristianità, in un mediocre staterello sabaudo.

Lo staterello non avrebbe tardato poi a farsi repubblicano, dopo che i Savoia, esattamente secondo una profezia medievale riferita da San Don Bosco (“chi ruba alla Chiesa non passerà la quarta generazione”), avevano malamente perduto, proprio alla quarta generazione, quanto avevano vergognosamente arraffato. Uno staterello nella morsa dell massoneria e servo dello straniero, soprattutto della patria dei “club del fuoco dell’inferno”, l’Inghilterra, ottimisticamente etichettata dalla conclusione (p. 180) “paese più libero” (sic). E purtroppo non si tratta del pregiudizio di un personaggio dalla testa calda, in bocca del quale una simile espressione sarebbe stata perfettamente in carattere con l’epoca, ma proprio del commento finale della stessa autrice.

Vi è una piccola incongruenza a p. 62, riga 22, quando quella che si suppone sia una matita emette improvvisamente “lo stridìo della penna”, e alcuni pochi errori di stampa: p. 108 riga 8 “La venti” invece di “Le venti”; p. 109 riga 23 “una viso” invece di “un viso”; p. 162 riga 7 “semplici lapide” invece di “semplici lapidi”.

All’opera è annessa un’appendice di ricette culinarie e di note storiche e biografiche. Queste ultime sono segnate da un forte preconcetto filorisorgimentale che tralascia alcuni fatti significativi, ad esempio la tattica del settario Giuseppe Mazzini di aizzare sicari assassini per nascondersi poi nell’ombra, proprio come Toni Negri. Parimenti viene passato sotto silenzio il fatto che Silvio Pellico venne perseguitato dai “patrioti” perché Le mie prigioni, lungi dal mostrare l’Austria come l’oppressore, ne sottolinea la clemenza. Per questo vennero fatte circolare, nelle antologie, solo poche pagine dell’opera scelte fuori contesto, mentre l’autore fu ostracizzato dai poteri forti di allora e sarebbe morto di fame se non fosse stato assunto come bibliotecario dalla marchesa Giulia Colbert Falletti di Barolo, di cui è in fase avanzata la causa di beatificazione. Per conoscere quello che Pellico disse veramente, occorre fare riferimento all’edizione curata da San Don Bosco.

In conclusione, nonostante l’inclinazione filorisorgimentale, si tratta di un libro interessante e di piacevole lettura.

EMILIO BIAGINI


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