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ORO O O LATTA: QUESTO È IL PROBLEMA
Abbiamo deciso di premiare con opportuni segni del nostro apprezzamento le opere letterarie e cinematografiche che hanno attratto il nostro interesse. Questa rubrica viene aggiornata quando ci pare e il nostro giudizio è inappellabile.

I TRIGOTTI

-Figura_aquila

And the winner is …….

Ecco il vincitore della prossima Aquila d’oro:

Una fondamentale opera filosofica coraggiosamente controcorrente:

PiIERO VASSALLO (2014) PENSIERI TEOLOGICAMENTE SCORRETTI, Genova, Edizioni Radio Spada

Segue una recensione ad opera di Emilio Biagini:

 

Recens.Piero Vassallo-Pensieri teologicamente scorretti copia

VASSALLO P. (2015) Pensieri teologicamente scorretti, Milano, Radio Spada

Questa importante opera di Piero Vassallo dimostra come la distanza tra cattolicesimo ed ebraismo non può essere colmata dalla melassa buonista e conciliarista, ma piuttosto da una disamina attenta della complessità ebraica.

Indiscutibile anzitutto è la radice ebraica del Cristianesimo: i fedeli cristiani e gli ebrei credenti sono segretamente uniti nell’attesa dei tempi ultimi, mentre le ideologie anticristiane messe in circolazione da intellettuali ebrei della diaspora erano paradossalmente radicate non nell’ebraismo ma nell’antiebraismo: come il comunismo, la psicanalisi freudiana e la gnosi francofortese. Questi anticristiani erano sì ebrei ma niente affatto ortodossi, ben lontani dal vero ebraismo.

La complessità ebraica richiede un’analisi altrettanto complessa dei rapporti del mondo ebraico con il resto del mondo, analisi che l’autore svolge con profonda competenza. Anzitutto vi è l’insorgere della spinosa questione palestinese, legata alla disintegrazione dell’Impero ottomano e alle insensate decisioni di francesi e inglesi che avevano preso il posto dei turchi sconfitti, con in più l’aggravante dell’ossessione petrolifera anglo-americana. E tutto ciò non facilita certo il dialogo fra cristiani ed ebrei.

Col caso Mortara, il bambino ebreo divenuto prete cattolico, la setta massonica si è scatenata per attaccare la Chiesa, cinicamente distorcendo la verità per scavare un solco tra cattolici ed ebrei: vera opera di “colui che divide”. L’autore dimostra invece come non vi fosse, da parte della Chiesa, alcun desiderio di far torto agli ebrei. Il piccolo si era trovato in punto di morte, e una serva cattolica lo aveva battezzato: un atto irreversibile, che, data l’efficacia soprannaturale del Sacramento, rese indispensabile accoglierlo in seno alla Chiesa. Alla maggiore età, il giovane era stato lasciato libero di scegliere se restare cattolico o rientrare nell’ebraismo, ma fu egli stesso a decidere irrevocabilmente per la Chiesa, al punto di voler diventare sacerdote.

Un’altra semina di zizzania è la spuria teologia gnostica, incompatibile sia con l’ebraismo ortodosso sia con il cristianesimo, e affine alla dialettica nichilista di Hegel. Anche questa la dobbiamo ad ebrei dissidenti e non certo ad ebrei credenti. L’anarchismo elucubrato dagli ultimi utopisti atei e le fantasticherie della teologia deragliata dei progressisti hanno entrambe radice nel modernismo. Non a caso, la leggenda nera di Pio XII “papa di Hitler” nasce negli anni del postconcilio, a sottolineare una presunta cesura tra la Chiesa “cattiva” antecedente al Concilio e quella “buona” scaturita dal Concilio stesso, in cui dovrebbe attuarsi la disintegrazione morale e il capovolgimento delle gerarchie sociali. La diffamazione di Pio XII ha alimentato l’eresia che tormenta sia il mondo cattolico che quello ebraico, per opporre il politicamente corretto all’ortodossia profana e democratica, in modo da convincere i cattolici dubbiosi che ogni resistenza alla sovversione morale del postmoderno (aborto legale e “matrimonio” pederastico), sia destinata a naufragare nel nazismo e nel crimine. Fin troppo semplice per l’autore, demolire questa leggenda nera, sulla scorta di una seria documentazione storica.

Il delitto “umanitario” per far nascere il mondo nuovo parte dalla rivoluzione francese, che mira a sterminare gli “impuri”, avviando l’umanità sui sentieri violenti della purificazione “umanitaria” all’insegna della macelleria. I delitti nazisti sono gli unici ad occupare costantemente la prima pagina, facendo dimenticare quelli perpetrati dai sovietici e dagli “liberatori” anglo-americani. Il pensiero moderno è ancora prigioniero del solco dialettico dei macellai rivoluzionari in quanto l’autorità morale che la tragedia dell’olocausto ha conferito agli ebrei serve agli ebrei apostati per giustificare il comunismo. Solgenitsin ha dimostrato l’incompatibilità tra il comunismo ateo e l’autentico ebraismo che si basa sul riconoscimento dell’unico Dio. La partecipazione degli ebrei ai crimini staliniani fu esclusivamente opera di ebrei apostati, mentre quelli ortodossi furono aspramente perseguitati.

L’ostilità dell’ebreo apostata Marx verso l’ordine costituito è radicata nella negazione pessimistica e nel disprezzo verso il creato. L’ateismo per lui si attua mediante l’annientamento dell’istituto familiare, che inevitabilmente conduce al caos, e quindi non stupisce trovare tra gli ex marxisti di oggi una tendenza a favorire il regresso all’anarchia primordiale. Secondo maestri postmoderni come Gershom Sholem, la mistica sarebbe una ripresa di esperienze mitiche e costituirebbe il nuovo orizzonte della modernità. Il moderno dopo Marx è una teologia panteistica e nichilistica e, come acutamente osserva l’autore, “non è dunque un caso che l’ultimo intellettuale di sinistra, il crepuscolare Eugenio Scalfari, abbia dichiarato, in una delle patetiche omelie domenicali pubblicate sul quotidiano Repubblica, che i maestri della modernità sono Leopardi, Schopenhauer e Nietzsche.” Ne La questione ebraica, Marx vede nell’era cristiana l’epoca nella quale si compirà la natura plutocratica e perversa della religione ebraica, portando all’autoestraniazione dell’uomo da sé e dalla natura. In tal modo Marx apre la strada alla totale negazione e devastazione dell’ebraismo tradizionale da parte degli apostati che imperverseranno nel Novecento, versando fiumi di inchiostro per screditare la morale, correndo dietro a una illusoria felicità, fino a scardinare il principio di realtà al punto di considerare di poter scegliere il proprio sesso.

Questa devastazione è stretta parente dell’odio antisemita. Luteranesimo e hitlerismo hanno comuni radici esoteriche. Ebrei apostati collaborarono in gran numero con i nazisti, come Hjalmar Schacht, l’autore del miracolo economico vantato da Hitler e migliaia di militanti nelle SS, fra cui Reinhold Heydrich. L’antisemitismo coincide con la radice neopagana dei sistemi della menzogna. I nazisti non odiavano solo gli ebrei, ma Dio stesso. Sarebbe una follia cercare nel Nuovo Testamento l’istigazione a perseguitare gli ebrei. Estremamente bizzarro appare il tentativo di von Harnack che definisce la finalità teologica del razzismo, cioè spezzare l’unità della Bibbia, staccando l’Antico Testamento dal Nuovo, fornendo così un alibi alla delirante teoria di Houston Stewart Chamberlain, secondo cui Gesù era ariano e non ebreo.

L’autore esamina le fonti penultime dell’antisemitismo: le elucubrazioni di von Harnack a lode della dottrina eretica di Marcione, le furenti pagine di Marx sulla questione ebraica, le invettive di Freud contro Mosé, il delirio mistico delle società teosofiche e antroposofiche, tutte idee deliranti che mostrano una evidente ed antica radice anticattolica. Negli ambienti dell’eterodossia ebraica sono diffusi principi ateologici marcionitici che stanno a monte dell’antisemitismo. Secondo Ernst Bloch, uno dei più virulenti filosofi ebraici eterodossi, l’apparente antisemitismo di Marcione sarebbe più vicino alla spiritualità messianica di tutta la successiva economia di salvezza, giungendo alla mistica dell’Antitesi, fondamento dell’ideologia postmoderna, per cui la volontà del Dio sconosciuto è anti-legge, anti-giustizia, anti-creatore, anti-reggitore del mondo. Il “dio” che demistifica l’Antico Testamento sarebbe “Acher”, altro. Altro da creazione, da ordine, da legge, da vita. Una divinità antagonista che si manifesta agli uomini per condurli all’ebbrezza dissolutoria e alla morte.

Nel delirio postmoderno si distingue specialmente Jacob Taubes, “il più rigoroso maestro dell’estremismo berlinese”, la cui tracotanza atea lo pone come “primo nella classe del delirio postmoderno”, intento a sdoganare quanto vi sarebbe di “valido” nel ripugnante Hitler-pensiero: l’avversione, di matrice luterana, al diritto romano e il furore, di matrice gnostica, contro il Dio della Bibbia, aprendo “due nuove vie di impostura”: il Vangelo come dichiarazione di guerra a Roma e lo stravolgimento dell’Epistola ai Romani per far apparire un san Paolo immaginario, “banditore dell’empietà e dell’avversione al Dio della Bibbia”.

Giustamente Giovanni Paolo II, nella sua riflessione sull’Olocausto del 1997, attribuisce a Marcione l’origine dell’odio antisemita, consentendo finalmente di vedere “la profonda solidarietà della persecuzione antiebraica e della guerra al Cristianesimo”. Purtroppo, lamenta l’autore, molti intellettuali cattolici tradizionalisti non hanno capito che il perdono chiesto dal grande Papa agli ebrei non è soltanto un atto di pacificazione, ma anche “il fondamento dell’argine che il magistero sta costruendo contro l’insorgenza dell’errore nazicomunista” (p. 114). In America, invece, “studiosi ebraici di fede ortodossa hanno recepito il messaggio del Papa, iniziando studi approfonditi sulla nefasta influenza marcionitica nella cultura contemporanea” (ibidem). Non altrettanto avvertiti sono, finora, gli intellettuali cattolici, ai quali sfugge l’opportunità di colmare le lacune che li separano al tempo stesso dal Magistero e dalla cultura ebraica seriamente aggiornata.

L’angoscia per la feroce persecuzione nazista ispirò ad alcuni intellettuali dell’eterodossia ebraica un drastico rifiuto del Dio dell’Antico Testamento: secondo Simon Weil, in sintonia con Nietzsche, l’onnipotenza divina non sarebbe che il prodotto dell’immaginazione umana. Dichiaratamente estranea alla teologia ortodossa della sinagoga, la Weil scindeva il Dio veterotestamentario potente ma non buono e il padre, buono ma impotente, di Gesù. Hannah Arendt osserva che la Bibbia non parla del sadismo e per questo Tertulliano e san Tommaso d’Aquino annoverano la contemplazione dei dannati all’inferno tra i piaceri dei santi in paradiso, e dimostra così di ignorare che, mentre nell’aldiquà è dovere dei cristiani pregare per la salvezza dei peccatori, la prospettiva muta completamente nell’aldilà. Lassù i beati, perfettamente conformati alla volontà di Dio, non possono che rallegrarsi della giustizia divina; e non dice forse una delle beatitudini (Matteo 5, 6): “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”?

L’influsso di Nietzsche, che aveva dichiarato guerra alla ragione, si fa sentire anche nell’epiteto “fascista” scagliato da Herbert Marcuse al principio di non contraddizione. La rivolta nietzschiana nega la giustizia, e la Arendt fa propria questa negazione, ritenendo che tutti i peccati in un modo o nell’altro non sono che il risultato della debolezza umana, ma escludendo da questa indulgenza proprio il “malvagio” Dio dell’Antico Testamento che punisce i peccatori. Così, il male in ogni sua forma è giustificato, mentre unica condannata è la giustizia divina.

Un nodo particolarmente difficile nei rapporti tra Chiesa e sinagoga è il dogma trinitario, sul quale non è possibile transigere, né vale baloccarsi con l’idea delle “tre grandi religioni monoteiste” che parrebbero essere dopotutto non tanto in disaccordo. Questa ambiguità dell’ecumenismo non facilita certo la comprensione tra la Chiesa e la sinagoga. Accusa di antisemitismo ad alcuni principi tradizionali della dottrina cattolica e accuse immotivate a figure cattoliche che hanno eroicamente contrastato l’antisemitismo, il tutto accompagnato da silenzio pavido o accettazione da parte dei più stolti fra gli esponenti cattolici, di tesi teologiche giudicate aberranti proprio dagli studiosi ebrei, completano un quadro non proprio confortante dello stato attuale della teologia cattolica.

Questa nuova e profonda opera di Piero Vassallo è di fondamentale importanza per comprendere la vera natura tutt’altro che compatta dell’ebraismo, e la presenza nel suo seno di correnti eterodosse ostili al cristianesimo e nocive all’ebraismo stesso, che ne viene gravemente stravolto. Molto più vicino al Cristianesimo è l’ebraismo autentico, quello ortodosso, fedele all’Antico Testamento, che è sempre e comunque infallibile Parola di Dio e radice inestirpabile del Nuovo Testamento e quindi del cristianesimo. Veramente radicate nella cultura biblica vivente sono in particolare le minoranze costituite in Israele dagli ebrei messianici che riconoscono in Gesù l’atteso Messia, e a questo riconoscimento sono giunti non grazie ad alcuna azione di proselitismo cristiano, ma semplicemente meditando senza preconcetti le profezie dell’Antico Testamento, ed è questa la vera strada della comprensione tra Chiesa e sinagoga.

Su questo illuminante saggio vi è da rilevare, dal punto di vista critico, un errore nella citazione dalla Marsigliese: non “qu’un sang impur arrose nos sillons” (p. 71), ma “abreuve nos sillons”, quindi non “annaffi” ma “abbeveri i nostri solchi”, che è espressione, se possibile, ancor più demoniaca e degna della macelleria rivoluzionaria. Inoltre, sul piano del libro come oggetto, è un vero peccato che un’opera di questa importanza sia stampata così male.

EMILIO BIAGINI

 


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