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ORO O LATTA: QUESTO È IL PROBLEMA

Abbiamo deciso di premiare con opportuni segni del nostro apprezzamento le opere letterarie e cinematografiche che hanno attratto il nostro interesse. Questa rubrica viene aggiornata quando ci pare e il nostro giudizio è inappellabile.

I TRIGOTTI

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Abbiamo il piacere di conferire l’aquila d’oro a questa fondamentale opera teologica di Don Nicola Bux:

CON I SACRAMENTI NON SI SCHERZA

Recens.N.Bux-Sacramenti copia

Segue una recensione di Emilio Biagini:

 

BUX N. (2016) Con i sacramenti non si scherza, Siena, Cantagalli, Prefazione di Vittorio Messori

 

In questo volume, rigoroso e impregnato di una profonda fede e di un grande amore per la Chiesa e i sacramenti, colpisce anzitutto l’importante post scriptum all’ottima prefazione di Vittorio Messori, pieno di sacrosanta indignazione per l’ultima sconcezza del grande eresiarca Hans Küng, Morire felici? a sostegno dell’eutanasia. Il teologo svizzero, che pretende di essere chiamato cattolico, vorrebbe dimostrare che suicidio ed eutanasia sarebbero “biblici”, anzi “evangelici”, e Messori giustamente si chiede “che ce ne facciamo di preti così? Chi, accanto al suo letto di morte, vorrebbe un professore di teologia nella prestigiosa università di Tübingen e non lo scambierebbe volentieri col più oscuro e magari indotto dei preti, ancora consapevole, però, del valore tanto misterioso quanto efficace, nel senso vero, del sacramento?”

La risposta è ovvia, infatti “non è lecito che per un sacerdote demonio si perdano le anime dei fedeli. Non sarà mai lecito, per nascondere le piaghe nel corpo apostolico, permettere la sopravvivenza in esso di corpi incancreniti che col loro aspetto ripugnante allontanano e col loro fetore demoniaco avvelenano.” È con queste severe parole che Gesù ammonisce gli Apostoli ne L’Evangelo come mi è stato rivelato (Cap. 265.6) della grande veggente Maria Valtorta. E cos’è un prete che raccomanda l’omicidio se non un sacerdote demonio?

La lettura del testo di Don Nicola Bux si rivela ricchissima di frutti spirituali. Se da una parte illustra con ammirevole rigore teologico il significato dei sacramenti, dall’altra pone in rilievo, con sommo dispiacere, le infelici deviazioni dalla sana pratica liturgica, e quindi dalla retta dottrina, poiché lex orandi, lex credendi. L’improvvida svolta postconciliare, esaltando l’uomo, ha portato la Chiesa a voltare le spalle al soprannaturale, ad “andare incontro al mondo” nel modo più facile, rinunciando a consacrarlo, ciò che sarebbe invece il compito primario del cristiano e soprattutto del sacerdote.

Si è invece protestanticamente esaltata la “parola” più del sacramento, dimenticando che anche la parola richiede una iniziazione. Solo il Verbo fatto carne che si può toccare nei sacramenti permette di comprendere soprannaturalmente la parola scritta, mentre lo studio della “parola”, presa a sé stante, non è che un arido esercizio accademico.

I sacramenti, infatti, non sono simboli, come vorrebbe il protestantesimo, ma realtà che contengono la potenza efficace della persona divino-umana di Gesù Cristo, presente in corpo, sangue, anima e divinità. Peggio, non solo ci si è illusi che l’efficacia della “parola” prescindesse dai sacramenti, ma si è data la priorità alle attività pastorali o sociali, catechistiche, caritative, ben visibili e tali da guadagnare la lode del mondo, lasciando poco tempo per la confessione.

Purtroppo manca oggi la fede nell’efficacia dei sacramenti, così che la catechesi è divenuta sterile, come una dottrina gnostica, adatta ai sapienti e agli intelligenti che restano nelle tenebre del loro orgoglio, e non ai piccoli, che sono gli unici in grado di capire. Nei sacramenti è Dio che agisce, ma se non si crede alla Sua Presenza non si crede neppure alla sua azione, che viene così annullata. Tutti i sacramenti dipendono dal grande sacramento dell’eucaristia, che è il sacramento della presenza.

Regna quindi la superficialità, si omette ciò che porterebbe a interrogarsi seriamente sulla vita, sulla responsabilità, sul peccato. Nel caso dei divorziati risposati non si cerca di capire perché il matrimonio precedente è fallito, e se vi sono colpe da espiare. È la via più comoda e demagogica: quella della deresponsabilizzazione. Ma gridare: “liberi tutti, liberi tutti”, compete ad irresponsabili bambini che giocano, non a pastori di anime.

Ma si va pure al di là di ciò. Si disobbedisce apertamente. Nelle intenzioni di Paolo VI, chiaramente espresse in una lettera dalla segretaria di stato al consiglio che doveva eseguire il testo conciliare, i messali dovevano essere bilingui: latino e lingua volgare. Successivamente lo stesso Pontefice insistette perché si procedesse con cautela, ma non fu ascoltato, né sull’impostazione bilingue né sulle traduzioni che snaturavano il significato originario.

Le “traduzioni” divennero interpretazioni incontrollate. La congregazione per la dottrina della fede cercò di intervenire nel 1974, stabilendo che “il significato da intendersi per esse [traduzioni] è, nella mente della Chiesa, quello espresso dall’originale testo latino”. Invece di obbedire, i “traduttori” traditori fecero scomparire il testo latino, impedendo così a preti e studiosi di fare confronti e di capire l’autentico significato del testo tradotto. Non venne purtroppo adottata alcuna misura disciplinare e i “traduttori” restarono al loro posto a far danno.

Ad esempio, un’orazione del messale antico recita: Deus, qui nocentis mundi crimina per aquas abluens, regenerationis speciem in ipsa diluvii signasti (Dio, che astergendo con le acque i delitti di un mondo peccatore, nella inondazione stessa del diluvio hai prefigurato la rinascita); nel messale attuale è deformata così: Deus, qui regenerationis speciem in ipsa diluvii effusione signasti (Dio, che nella inondazione stessa del diluvio hai prefigurato la rinascita).

Niente più espressioni sul peccato, scomparsi i pericoli e le insidie del diavolo e del mondo. Il cristiano attuale va avvolto nella bambagia dell’ottimismo a oltranza propagandato da papa Roncalli. Del resto, non fu lo stesso “papa buono”, frettolosamente santificato per venire incontro al mondo, a disobbedire all’ordine espresso della Santa Vergine di divulgare il terzo segreto di Fatima, con la speciosa giustificazione che non riguardava gli anni del suo pontificato?

Come se il pastore universale, responsabile della Chiesa di tutte le epoche e di tutte le contrade, potesse preoccuparsi solo degli anni del suo pontificato. E poi? Aprés moi la deluge, come disse Luigi XV; e infatti il diluvio non mancò di arrivare, sia sotto il successore al trono di Francia Luigi XVI, sia sotto Paolo VI, che dovette tristemente riconoscere che il fumo di satana era entrato nel tempio. Un simile ottimismo dissennato non può che produrre cristiani altrettanto dissennati, non formati, incapaci di capire che il paradiso si conquista lottando, e che la via larga e facile non può che condurre nell’abisso.

L’autore passa poi ad esaminare i diversi sacramenti, rilevando il triste degrado che troppi cattivi preti e prelati hanno causato, travisandone le funzioni, mettendo in ombra il peccato, esaltando l’uomo. Si comincia col battesimo, del quale viene colpevolmente trascurata la funzione purificatrice perché si sorvola sul fatto che, fin dalla nascita, l’uomo porta il peso del peccato originale, ed è quindi sotto l’influsso di satana.

Il lavacro del battesimo serve anzitutto a purificare, distruggendo la sporcizia del maligno. L’acqua indica il sepolcro dal quale si risorge grazie a Gesù, il quale, quando immerse il suo corpo nel Giordano, santificò per sempre tutte le acque, trasferendo ad esse una forza spirituale, per cui le acque consacrate dallo Spirito lavano l’uomo da ogni peccato.

Per far comprendere il fatto fondamentale che col battesimo si entra a far parte della Chiesa e si esercita il sacerdozio battesimale grazie al sigillo indelebile che esso produce, dopo il Concilio Vaticano II, è stata incoraggiata la celebrazione comunitaria del battesimo, ma col tasso demografico vicino a zero, il rifiuto di taluni sacerdoti a celebrare battesimi singoli è ideologico e ingiustificato. Costringendo le famiglie ad aspettare, questi preti instillano l’idea che non sia necessario fare il battesimo.

Peggio, si è instaurato l’uso di compiere i riti battesimali fuori del battistero, preoccupati di far sedere comodamente la gente, piuttosto che far vedere la vasca di immersione, la quale rende l’idea del sepolcro di Cristo in cui scendiamo per poi risalire, risorti. Al contrario, il battesimo si dovrebbe fare nel battistero, un ambiente a sé stante, non essendo possibile, per chi è ancora soggetto al demonio, avvicinarsi dove si celebra l’eucaristia.

Riguardo alla cresima, l’autore si trattiene dall’entrare nel dibattito sull’istituzione diretta o indiretta di alcuni sacramenti, limitandosi a rilevare che la cresima “sarebbe tra questi ultimi”. Ma l’ipotesi dell’istituzione “indiretta” non convince: possibile che il Dio incarnato non avesse ben chiaro tutto ciò che era necessario alla Chiesa e dovesse aspettare la faticosa rielaborazione umana del Suo insegnamento? La preziosa rivelazione “privata” a Maria Valtorta dimostra che Gesù ammaestrava i discepoli su tutti i Sacramenti, insegnando espressamente che sarebbero stati sette (L’Evangelo come mi è stato rivelato, Cap. 259.6).

La confermazione va considerata in stretta unità col battesimo: sulla persona di Gesù Cristo, che risaliva dalle acque del Giordano dopo il battesimo di Giovanni, discese lo Spirito Santo per guidarlo nella missione pubblica. Anche qui, purtroppo, il modernismo postconciliare ha provocato disastri. L’autore si domanda infatti se ha ancora senso dire che la cresima fa diventare soldati di Cristo. Anche questo sacramento risente di una pastorale divorziata dalla dottrina, che, propugnando l’idea che la cresima sarebbe il “sacramento della maturità”, cerca di rinviarla ad età più adulta.Il fatto che la confermazione rafforzi il battezzato e lo renda maturo per la battaglia della fede ha fatto equivocare la maturità della fede con la maturità psichica. Anche qui considerazioni puramente umane prevalgono sulla fede nel segreto operare dello Spirito Santo sull’anima.

Venendo a parlare dell’eucaristia, l’autore riferisce un’illuminante esperienza: il racconto di un amico missionario in Uganda. “Un giorno una donna molto ammalata, passando dalla missione, chiese di poter essere battezzata. E così la battezzammo con il nome di Caterina. Dopo due anni mi chiamò: stava per morire. Non era mai venuta al catechismo, in questi anni, perciò ero perplesso. Le chiesi: ‘Cos’è l’eucaristia?’. Lei mi rispose: ‘Il cuore di Dio!’ Non avevo mai sentito tale definizione. Di ritorno alla missione, padre Bresciani mi chiese perché avevo dato la comunione a Caterina, che mai aveva frequentato il catechismo. Gli riferii la sua risposta. Padre Penso, dottore in teologia con tesi di laurea sul Sacro Cuore, esclamò: ‘Ma questa è la definizione dell’eucaristia di sant’Alberto Magno!’. Allora rivolgendomi a padre Bresciani esclamai: ‘E tu volevi che negassi la comunione a sant’Alberto Magno?’. Il cuore di Cristo è realmente la forma umana del cuore di Dio, di Dio che è amore”.

L’eucaristia rinnova il sacrificio di Cristo sulla croce, e Padre Pio vi si preparava scrupolosamente. Quando gli domandavano: “Perché soffrite tanto nella consacrazione?”, egli rispondeva: ‘Perché è proprio lì che avviene una nuova e ammirabile distruzione e creazione”. Ecco dunque il tremendo mistero della consacrazione che detiene le ultime ore di Cristo in croce. A chi gli chiedeva: “Come dobbiamo ascoltare la santa messa?”, il santo rispondeva: “Come vi assistettero la santissima Vergine e le pie donne. Come assistette san Giovanni al sacrificio eucaristico e a quello cruento sulla croce”. E ancora: “Che benefici riceviamo ascoltandola?”. “Non si possono enumerare. Li vedrete in paradiso”.

Nei canti, nelle preghiere e nei formulari per l’adorazione eucaristica si trova oggi questa espressione: “Gesù Cristo è presente nel pane consacrato”. È un’idea luterana. Ma Cristo non ha detto di essere presente nel pane e neppure “questo pane è il mio corpo”, ma ha detto: “questo è il mio corpo”, dove questo indica il passaggio dal pane che ha preso nelle mani, al corpo, perché in quel momento viene consacrato: la sostanza del pane si converte nella sostanza del corpo. Sotto le apparenze del pane sta il corpo di Cristo. Non è più pane ma Cristo.

La liturgia odierna insiste sull’evento (umano, transitorio), a scapito della permanenza del sacro (divino, eterno), così che il rito avviene e non dura, e il segno massimo della permanenza del divino, il tabernacolo, è stato rimosso dall’altare, sebbene sant’Ambrogio affermi: “Che cosa è l’altare di Cristo se non l’immagine del corpo di Cristo?” La medesima tendenza ad abbassare il divino all’umano si riscontra nell’acritica mescolanza dell’intenzione del celebrante con quella della Chiesa, che finisce per diluire la mediazione sacerdotale ministeriale nell’intercessione dei fedeli, quasi che il sacerdozio fosse inutile.

Peggio ancora, osserva l’autore, “Si è assolutizzata la messa col popolo: ma, se popolo vuol dire una massa di persone, si salverebbero solo le messe domenicali, laddove fosse alta la frequenza. Col presupposto del popolo, la messa si dovrebbe celebrare raramente, visto che alle messe feriali vi sono poche persone. Non si salverebbero nemmeno le comunità monastiche. Ma poiché la Chiesa è un corpo mistico, essa vive anche in un solo fedele e in un solo sacerdote.”

Anche i gesti sono importanti: i diavoli godono del fatto che gli uomini d’oggi attribuiscano scarsa importanza alla posizione del corpo nella preghiera, scrive il grande autore cristiano C.S. Lewis nelle Screwtape letters (Lettere di Berlicche). E infatti ne risulta un gravissimo degrado. Nel rito romano antico, i fedeli si inginocchiano alla balaustra, dove è distesa una tovaglia che rappresenta la mensa, e attendono in raccoglimento di ricevere la comunione. Nel nuovo rito si arriva, in una chiesa, a togliere i banchi, vergognosamente sostituiti da tavoli, come in un ristorante, apparecchiati per quattro, a cui fare sedere i bambini per il “pasto” della prima comunione. Come potranno capire il significato spirituale dell’eucaristia?

Col decreto Quam Singulari del 10 agosto 1910, san Pio X stabilì l’ammissione alla prima comunione a sette anni, affinché, nel cuore puro dei piccoli, Gesù entrasse prima possibile. La decisione serviva anche a contrastare il modernismo: l’ideologia che confonde la maturità di fede con quella psichica e che oggi si ripropone procrastinando di anni le tappe dell’iniziazione cristiana, così che si espongono i ragazzi, più a lungo privati della grazia della confessione, al rischio del peccato, anche mortale, in un mondo ove le tentazioni abbondano.

Ma l’ottimismo verso il mondo, il cui esponente massimo fu Giovanni XXIII, col suo delirante assunto “la Chiesa non ha più nemici”, ha abbagliato i pastori, salvo dover poi fare i conti con la marea di adolescenti, che precocemente fanno esperienze sessuali spesso devianti e perverse, o soccombono alla droga. L’ottimismo verso il mondo è diametralmente opposto alla retta dottrina, che, a ragione, ha sempre identificato il mondo come il regno di satana, colui che è, appunto, “il principe di questo mondo”.

Non a tutti è permesso fare la comunione: chi non è battezzato, chi è catecumeno e si sta preparando all’iniziazione; chi ha peccato gravemente e non si è accostato alla confessione non può accostarsi all’eucaristia. I battezzati divorziati che siano conviventi o risposati continuano ad appartenere alla Chiesa, ma l’amore tra essa e Cristo non consente che si accostino all’eucaristia. Quanto ai pubblici peccatori, è scandaloso che vi siano preti e prelati disposti a dare la comunione a chi non ha alcuna intenzione di cambiar vita. Non è nel potere di un ministro sacro, fosse pure cardinale o papa, amministrare la comunione a un pubblico peccatore, specie se ha attaccato la Chiesa e la fede. È il caso della comunione impartita dal card. Angelo Bagnasco a Vladimir Luxuria, che sbandiera, anche nel nome che si è scelto, la sua devozione al peccato.

Secondo la tradizione condivisa d’oriente e d’occidente, l’eucaristia si riceve nella bocca, dopo un atto di riverenza, un inchino profondo o in ginocchio. Ma non di rado, i fedeli che vogliono riceverla così sono oggetto di bruschi dinieghi, anche scandalosi, da parte di sacerdoti noncuranti d’avere nelle mani le sacre specie. Eppure il modo di riceverla in piedi e sulla mano, è solo un indulto, ossia un permesso a tempo, concesso per “sanare” l’abuso commesso in alcune diocesi francesi e tedesche. Dopo di che la pessima pratica si diffuse ovunque, col rischio di dispersione di frammenti. Ma il Signore è presente nell’eucaristia non secondo il modo della quantità, ma secondo quello della sostanza: in una goccia di vino e in un frammento di ostia egli è presente, per cui non c’è differenza tra particole e frammenti.

Un altro abuso è il modo in cui, per malinteso pauperismo, la processione del Corpus Domini è spesso priva di ogni decoro, con un clero dal comportamento sciatto e indecoroso. Una processione senza adorazione tradisce la crisi della fede nella presenza reale. È forse il caso di aggiungere che nella messa anche il gesto di battersi il petto al Confiteor viene spesso banalizzato, sostituito dal sacerdote con un semplice e piuttosto lezioso appoggiare della mano aperta sul petto, come se avesse paura di farsi la bua, diluendo l’idea del peccato e del dolore che il cristiano deve provarne. Anche qui un piccolo segno di tradimento della lotta cristiana contro il male.

Gravissimo, poi è lo stato della confessione. Si è perduto il timor di Dio, ossia la corretta percezione di vivere sapendo costantemente di essere sotto lo sguardo di Dio, preoccupandosi perciò di piacere a lui piuttosto che agli uomini. Dio è giudice delle azioni dell’uomo, non per coglierlo in fallo, ma come un padre che desidera il bene del figlio. Il timor di Dio è l’atteggiamento del figlio che vuol corrispondere all’amore del padre. Di tutto ciò si è persa nozione. Si offende il Signore, con lo scarso timor di Dio, il falso pentimento, la carente confessione, e quindi la bestemmia contro lo Spirito Santo, che è il peccato commesso dall’uomo rivendicante il presunto “diritto” di perseverare nel male. In tutto ciò è primaria la responsabilità dei sacerdoti, ai quali compete guidare il gregge, non assecondarlo. E invece troppi consacrati preferiscono assecondare il gregge: è tanto più comodo, fino a giungere all’orrore supremo della omoeresia.

Ed ecco come il Divino Maestro della grande veggente Maria Valtorta ammonisce su tali comportamenti: “Vorreste solo parole di misericordia. Potete dire di meritarla? Non è misericordia anche la voce severa che vi parla di castigo incitandovi a pentirvi? E vi pentite forse? Questo desiderio di sentire solo promesse di bontà, questa smania di avere da Dio solo carezze è la deviazione della religione. Avete reso epicureismo anche questa sublime cosa che è la religione del Dio vero. Da essa volete godimento. Non volete dare ad essa sforzo. Volete adagiarvi in una comoda transazione fra il comandato e quello che a voi piace. E pretendereste che Dio venisse a questo adattamento. (…) La grande, la più grande misericordia di Dio non la capite più. E chiamate durezza, spavento, minaccia quello che è amore, consiglio, invito al ravvedimento per avere grazie. Volete parole di misericordia. (…) Ma voi rimarreste amari come tossico al labbro di Dio. Le parole di misericordia, le visioni tutto amore che da un anno vi sono elargite [ossia la rivelazione privata alla stessa Maria Valtorta], per ultima prova di elevazione delle vostre paganizzanti anime verso Dio, servono a che? A molti per diletto, ad alcuni per rovina, ad una minoranza di una esiguità spaventosa per santificazione. Continua il destino del Cristo: di essere segno di contraddizione per molti. (…) Ora, se non sapessi come vi ho creati, Io mi chiederei se avete un’anima. Perché le vostre opere sono da più di bruti. (…) Parla la Bontà e non capite. Parla la Giustizia e la trovate ingiusta. Avete paura e non vi correggete. Stolti o delinquenti? Folli o indemoniati? Ognuno si esamini. Ed è per questi che il Figlio del Padre fu mandato a morire?” (Maria Valtorta, Quaderni 1945-1950, 20 marzo 1945).

La penitenza cura lo spirito, l’unzione degli infermi si curva sull’infermità del corpo; ma bisogna curare anche l’anima. La tripartizione biblica: spirito-anima-corpo, è fatta propria da buona parte della patristica. È quanto insegna il Divino Maestro a Maria Valtorta nel Libro di Azaria, che contiene dettati alla veggente da parte del suo angelo custode: “L’uomo ha difficoltà a controllare il suo io che è una trinità di forze e sensazioni, che reagiscono diversamente a ciò che le colpisce. L’io superiore, quello spirituale, ha volontà continua di amore e perdono per imitare Cristo. L’io morale reagisce con più forza, giudica severamente e si indurisce. La parte materiale urla e vuole reagire con violenza. Nell’uomo sono nascosti un dio e una belva.”

Il Risorto consegna le chiavi agli apostoli e mediante lo Spirito Santo trasmette alla sua Chiesa il potere di perdonare i peccatori, attingendo al tesoro della misericordia aperto con la risurrezione. Quindi per un cristiano non ha senso dire, come i protestanti: mi confesso direttamente a Dio. Il Signore “ascolta le confessioni” attraverso i ministri della Chiesa. Interlocutore di Dio è il singolo uomo, perché il Figlio è diventato uomo con l’incarnazione. L’abolizione del confessionale è stato un grave danno: molti non si confessano, e non solo gli anziani, perché manca la grata e quindi non si sentono a loro agio.

L’unzione degli infermi era meglio chiamata in passato Estrema unzione. Anche qui il timore di spaventare la gente ha prevalso. Nelle citate Lettere di Berlicche di Lewis, il diavolo si vanta che parenti e medici siano stati indotti a mentire ai moribondi perché coltivino false speranze e giungano impreparati al passo estremo. Evidentemente anche i preti hanno accolto i suggerimenti diabolici, dimenticando che ignoranza, povertà, malattie, guerre, fame, vizi d’ogni genere sono il retaggio dell’infelice umanità in seguito al peccato originale che, per alcuni teologi (meglio sarebbe dire eresiarchi) è una favola.

Gesù è venuto, perché i malati hanno bisogno del medico; così, al sacramento della penitenza ha aggiunto l’altro sacramento di guarigione, che è l’unzione degli infermi: serve a rafforzare e confortare il malato nel corpo e a purificare l’anima, recuperando la lontananza da Dio, ben sapendo che l’essere umano non ha un corpo ma è anche un corpo. I sacramenti vanno visti anche nella loro interazione: il fatto che si amministrino insieme penitenza, unzione e comunione, significa che gli elementi del rito si integrano e completano. Non vanno considerati solo a sé stanti, ma come la forza divina di Gesù Cristo presente, che si prende cura dell’uomo, lo lava, lo nutre, lo guarisce, lo perdona: e cioè lo ama.

Riguardo all’ordine sacro, l’autore sottolinea il bisogno di opporre al relativismo liturgico il sacro, e al soggettivismo del capriccio l’oggettività dello ius divinum. L’ordine non significa che il ministro sia premunito da peccati, errori o debolezza. L’indefettibilità si ha solo nell’amministrazione dei sacramenti, perché il sacramento dell’ordine comunica una potestà sacra che è quella di Cristo, il cui sacrificio è quello del Verbo. Non offriamo animali o vittime umane, ma noi stessi fatti preghiera. Noi offriamo al Signore la parola fatta carne, che diventa preghiera eucaristica. Paradossalmente non ne vogliono sentir parlare proprio quelli che plaudono, in nome del dialogo, alle religioni che continuano a fare sacrifici animali, prefigurando in modo rudimentale quello che il cristianesimo ha perfezionato e che chiama, nel canone romano, “l’unico perfetto sacrificio”. dal quale consegue l’annuncio trasformatore del mondo che va sempre al di là del nostro operato.

 I protestanti, che non riconoscono l’istituzione divina dell’ordine, consacrano preti le donne e da poco lo fanno pure gli anglicani, ma simili ordinazioni sono invalide. Nell’alleanza, Dio è lo sposo del popolo suo, che è sempre donna, e la donna rappresenta la Chiesa. Quando il sacerdote celebra l’eucaristia, sacramento della nuova alleanza agisce nella persona di Cristo; Gesù stesso agisce attraverso di lui. Se al posto dello sposo c’è una donna, abbiamo un atto teologicamente contro natura. Non si tratta di un’abitudine che possa essere cambiata. È la stessa struttura ontologica della rivelazione cristiana e della Chiesa che verrebbe distrutta, la rivelazione della Genesi: “maschio e femmina Dio li creò”.

Presso i popoli antichi le donne partecipavano attivamente al culto. Solo Israele faceva eccezione. Nulla avrebbe impedito a Gesù, che ha così valorizzato le donne, di istituire sacerdotesse a somiglianza delle vestali romane. Inoltre, nessuno ha “diritto” di ricevere il sacramento dell’ordine. Gesù chiamò quelli che volle, non quelli che lo desideravano, perché solo lui scrutava le anime e sapeva chi era adatto al sacerdozio. Quanto al celibato, esso risale agli inizi stessi del cristianesimo. I padri, interpretando le Scritture, ritenevano che gli apostoli sposati fossero passati a praticare il celibato.

Il sacerdozio è segno della presenza del sacro nel mondo, anche attraverso l’abito. È grave che i sacerdoti abbiano abbandonato l’abito talare e, persino, il clergyman. Contribuiscono così all’eclissi di Dio dal mondo, che ne rimane impoverito. Il mandato sacerdotale è: “andate nel mondo e fate miei soggetti gli uomini”. E non certo: “andate nel mondo e fatevi voi stessi mondo; andate nel mondo e confermatelo nella sua profanità”.

I sacramenti esistono solo nell’ordine soprannaturale, con l’eccezione del matrimonio che è di diritto naturale e diventa sacramento della Nuova Legge se entrambi i coniugi sono stati battezzati. Il Figlio di Dio nasce da una donna, cresce in una famiglia e proclama il carattere religioso del matrimonio e la sua indissolubilità: è Dio stesso che unisce l’uomo e la donna e l’uomo non osi separare ciò che Dio ha unito. La libera scelta degli sposi diventa, nel matrimonio, una consacrazione che li trascende. Gesù dà al matrimonio un fondamento e un significato nuovo: l’alleanza eterna nel suo sangue. Egli è lo sposo della Chiesa e gli sposi partecipano della potenza d’amore di lui.

Il diabolico relativismo si accanito contro il matrimonio, mirando alla dissoluzione dell’uomo, col dibattito sulle coppie di fatto, sulla fecondazione artificiale, sul “matrimonio” tra omosessuali con possibilità di adozione di bambini, e guai a chi osa affermare la sacrosanta verità che il bambino ha bisogno di un padre e di una madre.

Il relativismo porta a non percepire l’ordine naturale come fonte di razionalità, così che oggi la Chiesa è chiamata a difendere la ragione prima della fede; quindi il nesso tra la ragione e la fede, al fine di sanare la separazione mortale tra il pensiero e l’etica; come pure è chiamata a mettere in rilievo l’aspetto razionale della natura umana. Con grande tristezza si deve purtroppo riconoscere che questa battaglia non viene condotta con energia e costanza. Anzi, molti chierici remano contro, come dimostrano le grottesche “veglie contro l’omofobia” in certe parrocchie: tenute non per la difesa della famiglia minacciata, ma per difendere il vizio contro natura da inesistenti minacce “omofobe”.

Terminata la rassegna dei sacramenti, l’autore passa a trattare dei sacramentali, osservando anzitutto che la dedicazione dell’edificio chiesa, segno del santuario celeste, dovrebbe escludere qualsiasi altra utilizzazione. Anche qui si devono lamentare molte mancanze. La consacrazione della chiesa viene spesso vanificata, proprio ad opera dei sacerdoti, con manifestazioni non compatibili col luogo sacro, con atti non sacri (concerti rock, ad esempio) che comportano una profanazione. Si è smarrito il senso della chiesa come luogo offerto a Dio, per la dovuta adorazione. Grazie ai molti preti mondani, oggi pochi sanno cosa voglia dire sacro e santo.

Nel generale disastro postconciliare, si è giunti perfino a dubitare dell’esistenza del demonio, cosa che fa un piacere enorme a satanasso, che così lavora meglio. Quindi gli indemoniati, guariti da Gesù, sarebbero solo degli ammalati psichici. L’esorcismo prima del battesimo dei bambini, o esorcismo semplice, si è trasformato in una preghiera di liberazione; in quello degli adulti in una invocazione, che dovrebbe rafforzare la vita spirituale e, solo secondariamente, liberare dal demonio. Non ci si rivolge più direttamente allo spirito maligno per ordinargli di uscire, ma a Cristo o al Padre. Ma perché cambiare destinatario, se Gesù, per primo, si rivolgeva direttamente agli spiriti maligni, intimando: Taci ed esci da quest’uomo. Fatto sta che il nuovo rito, rispetto all’antico, è molto meno efficace, come attestano numerosi esorcisti.

La pietà popolare, che l’autore giustamente qualifica come un dono dello Spirito Santo, è guardata con sospetto da molti chierici, sia progressisti che tradizionalisti. Le sue espressioni sono varie: venerazione delle reliquie, visite ai santuari, pellegrinaggi, processioni, via crucis, Rosario, medaglie. Si tratta di espressioni del senso religioso del popolo cristiano, un prolungamento della vita liturgica della Chiesa. Alle origini del cristianesimo, liturgia e pietà popolare si identificavano e concorrevano armonicamente alla celebrazione dell’unico mistero di Cristo, unitariamente considerato, e al sostegno della vita soprannaturale ed etica dei discepoli del Signore.

Venuto meno tale scambio, la pietà popolare si è progressivamente staccata dalla liturgia della Chiesa e ha dovuto reagire da sola alla penetrazione delle ideologie ereticali nel culto. Questo dualismo ha accentuato il distacco tra la “religione dei dotti”, potenzialmente vicina alla liturgia, e la “religione dei semplici”, che risponde alla predilezione manifestata da Cristo nel ringraziare il Padre per aver nascosto le cose divine ai sapienti e agli intelligenti rivelandole invece ai “piccoli”.

La trasmissione, di generazione in generazione, dei gesti di pietà non è altro che lo svolgimento della traditio; anzi, in diversi casi, la fusione è talmente profonda che elementi propri della fede cristiana sono divenuti parte integrante dell’identità culturale di un popolo. Tanto è importante questa identità culturale che non solo ogni individuo, ma anche ogni popolo ha il proprio angelo custode, come rivelato, fra gli altri, anche a Maria Valtorta. Chi odia la tradizione culturale dei popoli cristiani è il demonio, che cerca di distruggerla attraverso la cosiddetta “accoglienza” indiscriminata, oggi gestita da Soros e dai suoi complici laici ed ecclesiastici.

Infine le esequie cristiane, che rischiano seriamente di scivolare nel neo-paganesimo. L’autore riferisce: “In una ‘Lettera al direttore’ di un giornale si legge: Al recente funerale di una nota attrice di teatro si è arrivati al punto che parenti e amici (tutta gente di sedicente cultura!) pretendevano di far commemorare dall’ambone iniziative della defunta in netto contrasto con la dottrina della Chiesa, e di protestare per il fatto che il sacerdote vi si è opposto.” Evidente il tentativo di trasformare il funerale in spettacolo, con l’applauso al passaggio del feretro e la celebrazione dei meriti veri o presunti del defunto al posto della preghiera di suffragio.

Nell’attuale isterismo ambientalista si impone il rispetto della natura per minerali, vegetali e animali, meno che per l’uomo, dal concepimento alla morte; così per il corpo del defunto si ammette l’atto violento della cremazione, per giungere al supremo oltraggio di trasformare i resti del defunto in un diamante, invece di accettare la naturale scomposizione degli elementi minerali di cui il corpo è fatto, per tornare alla madre terra. È vero che la Chiesa la consente, purché non si voglia esprimere ostilità verso di essa o escludere la fede nella risurrezione, ma ci si deve chiedere se tale fede esista ancora.

Il quadro di degrado e tradimento dei chierici che questo libro mette a nudo è dolorosamente conforme a quanto rivelato dal Divino Maestro alla veggente Maria Valtorta: “E in verità vi dico, con dolore di Fondatore eccelso, che all’ultima ora tre quarti della mia Chiesa mi rinnegheranno, e li dovrò recidere dal tronco come rami morti e corrotti da lebbra immonda.” (Maria Valtorta, Quaderni del 1943, 29 ottobre).

Questo libro di don Nicola Bux è una vera miniera di dottrina: andrebbe letto e meditato in ogni seminario, onde contrastare la grande apostasia in atto, che si manifesta in modo tragico anche nella trascuratezza con cui vengono amministrati i sacramenti. Pochi e lievi gli errori di stampa, che si segnalano per opportuna correzione nelle auspicabili edizioni successive: p. 34, prima riga: “concilio di Trento del 4 dicembre 1563” [non 1963]; p. 40, riga 9 dall’alto: ad exequendam constitutionem de sacra liturgia [non “del sacra”]; p. 155, riga 3 dall’alto: “I sacerdoti devono difendere” [non “deve difendere”]; 211, riga 5 dall’alto: “ricorda che la non considerazione” [non “ricorda che La non considerazione”].

EMILIO BIAGINI


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