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L’ecologismo affonda le radici nelle idee di Thomas Robert Malthus (Dorking, Surrey, 1766-1834). “Le teorie di Malthus erano accurate e ben documentate; le sue argomentazioni erano giuste allora, e sono tuttora corrette”, si legge ne “I limiti dello sviluppo” (Meadows et al. 1972), la “bibbia” dei partigiani della “crescita zero”, del pianeta “verde”, dell’ambientalismo esagitato del massonico Club di Roma. Malthus (1992) concepisce l’uomo come un essere meramente materiale. La sua teoria corrispose ad un preciso bisogno di autodifesa dei ceti privilegiati britannici in un momento in cui si sentivano gravemente minacciati dal dilagare delle rivoluzioni.

 

Il “Saggio sulla popolazione” di Malthus, pubblicato a Londra nel 1798, apparve infatti proprio mentre divampava la rivoluzione francese. Le colonie americane si erano già staccate dalla “madrepatria”. Abituati a vincere tutte le guerre, gli aristocratici britannici si erano visti sconfitti dai ribelli guidati da Washigton ed avevano perduto una parte importantissima dell’impero: era stato umiliato (solo momentaneamente) l’orgoglio militare e nazionalistico, scosso il potere economico, messo in discussione il mito della casa regnante ereditaria, a cui peraltro proprio gli inglesi per primi avevano assestato gravissimi colpi, a suon di scure di carnefice (Maria Stuarda nel 1587 e Carlo I nel 1649), quando ciò rientrava nei loro interessi. Sulla Repubblica Stellata si appuntavano le speranze di riscatto di tutti gli insoddisfatti dell’antico regime.

Ogni nave dai neonati Stati Uniti recava, magari esagerate ma per questo ancor più allettanti, notizie di terre sconfinate, di prospettive di avanzamento impensabili in Europa, di fortune rapidamente accumulate: tutte voci che attiravano un fiume di emigranti. Lo scoppio della rivoluzione francese, con la sua spaventosa carica di odio e di violenza, rappresentò una scossa ancor più grave, anche per la maggior vicinanza geografica. Il malcontento popolare in Gran Bretagna cresceva, soprattutto per il prezzo del grano mantenuto artificialmente alto dalle leggi protezionistiche note come Corn Laws, che favorivano i magnati terrieri. I circoli dirigenti, ovviamente massonici, di Londra, avevano bisogno di un’ideologia contraria alla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti. Si trattava, per le privilegiate èlites britanniche, di giustificare le diseguaglianze sociali e lo sfruttamento coloniale come semplici conseguenze di “leggi naturali”.

Ed ecco spuntare, con Malthus, il desiderato paravento ideologico. La povertà, egli scrive nel “Saggio sulla popolazione”, è ineluttabile, e dipende da una causa duplice. Da una parte la fertilità umana, che non ha limiti, e, in determinati intervalli di tempo, farebbe crescere la popolazione in progressione geometrica (come 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, ecc.) o, come si direbbe con terminologia più moderna, in funzione esponenziale. Dall’altra le risorse che, nei medesimi intervalli di tempo, aumenterebbero secondo una semplice progressione aritmetica (come 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, ecc.), e quindi molto più lentamente. La scarsità di risorse dovrebbe inevitabilmente imporre freni all’aumento della popolazione. I poveri sarebbero poveri semplicemente a causa del loro eccessivo numero.

Il libro ebbe un’immediato successo, quale appunto poteva essergli assicurato dall’interessato favore dei circoli dominanti. Ma la tesi fa acqua da tutte le parti. I calcoli sono approssimativi e basati su statistiche incomplete ed inesatte. Il ragionamento è condotto in modo semplicistico e impreciso, e non tiene affatto conto dei balzi qualitativi che le innovazioni riescono ad imprimere alla produzione di beni e servizi. Lo sviluppo è un processo di cambiamento strutturale innovativo, e non è un semplice concetto o un “discorso” (secondo una terminologia in voga tra i geografi “umani” e gli “scienziati sociali” affondati nella palude postmoderna).

Lo sviluppo è anzitutto un fatto, e un fatto qualitativo: ogni innovazione cambia strutturalmente il sistema, e questo non è più lo stesso sistema e non obbedisce più alle regole del precedente. La teoria malthusiana parla esclusivamente di crescita, ignorando le innovazioni: è una teoria antisviluppo, così come la teoria dello sviluppo è alternativa e inconciliabilmente opposta al malthusianesimo. Eppure al tempo di Malthus si era già accumulato un immenso numero di innovazioni che avevano radicalmente cambiato il modo di vivere e ampliato le capacità di sostentamento del territorio: avrebbe dovuto essergli chiaro che per nutrire un maggior numero di persone non era semplicemente questione di coltivare un’altro pezzo di terra sempre con gli stessi metodi, fino all’esaurimento di tutte le nuove terre, come egli presume. E proprio nella sua epoca era in pieno svolgimento quella rivoluzione agricola che stava sensibilmente espandendo le capacità produttive. Quando egli scrisse il suo trattato, la popolazione britannica ammontava a meno di 12 milioni. Oggi è quintuplicata e il paese è uno dei più ricchi del globo, meta desiderata per gli immigranti.

Nonostante la precarietà dell’analisi di sostegno, Malthus si lancia in affermazioni recise ed assolute. Per lui, l’uomo non è che un animale, sul quale si può intervenire brutalmente e senza pietà. Nell’edizione definitiva del suo trattato, scrive: “Siamo obbligati (…….) a ripudiare il diritto di proteggere i poveri. A questo fine dovrei proporre un regolamento da applicare (…….) che nessun bambino nato (…….) a due anni di distanza dalla data legge possa ricevere alcuna assistenza. — L’infante è, in termini di paragone, di poco valore per la società, in quanto altri ne prenderanno immediatamente il posto. Tutti i bambini nati, oltre il numero stabilito per mantenere il livello desiderato, sono destinati a perire, a meno che non venga fatto loro spazio con la morte di adulti. Dobbiamo facilitare, invece di sforzarci stupidamente e vanamente ad impedirle, le tendenze della natura a prevedere questa mortalità, invece di raccomandare l’igiene ai poveri, dovremmo incoraggiare abitudini differenti. — Nelle nostre città dobbiamo fare strade più piccole, case più affollate e sollecitare il ritorno della peste”. È interessante notare che questo singolare individuo così attento ai valori della carità cristiana era un “reverendo” sacerdote della Chiesa di Stato anglicana.

Grazie alle sue tesi di comodo nate per puntellare le élites britanniche, Malthus ricevette una prestigiosa cattedra presso il collegio della Compagnia delle Indie a Haileybury, che formava i futuri amministratori dell’impero britannico. Malthus vi insegnò Storia ed Economia politica, ed ebbe così occasione di incontrare, nel 1809 David Ricardo, azionista e membro del consiglio direttivo della Compagnia, i cui “Principi di economia politica e tassazione” divennero uno dei testi di riferimento della scuola liberista britannica. Il pensiero di Ricardo è fortemente influenzato da Malthus, specie nelle parti che trattano del saggio di profitto medio e della rendita. Fu in nome della dottrina del libero scambio che la Compagnia delle Indie si impadronì del monopolio sul commercio dell’oppio che scaricò sulla Cina per ottenerne il té a basso prezzo, scatenando le relative guerre dell’oppio. I principi dell’economia politica furono applicati con rigore ferreo anche in occasione della Grande Carestia in Irlanda, la cui popolazione andava “sfoltita” per far posto alla pastorizia commerciale. Lo “sfoltimento” ebbe pieno successo: oltre un milione di morti e un esodo di milioni di irlandesi, specie verso il Nord America.

Malthus esercitò la sua nefasta influenza anche su Darwin, giustamente considerato non solo il principale esponente dell’evoluzionismo, ma anche il fondatore dell’ecologia (sebbene questo termine non ricorra mai nelle sue opere, mentre fu inventato da un suo seguace, il tedesco Haeckel): infatti, dato il potenziale teoricamente illimitato di accrescimento della specie umana sottolineato da Malthus, come pure di tutte le altre specie, si poneva il problema di che cosa limitasse in realtà questa crescita.

Darwin, attento lettore dell’opera malthusiana, credette di aver trovato la risposta nel concetto di “lotta per la vita”, ben presto esteso anche ai rapporti umani (darwinismo sociale), col quale si poteva giustificare — e in effetti si giustificò — qualunque diseguaglianza e sopraffazione. La cupa, sinistra e disperata cappa di pessimismo malthusiano non fece che estendersi sempre più nelle scienze naturali e sociali, ed oggi, lungi dall’essersi dissipata, incombe peggio che mai. Anche l’emergere del neopaganesimo che idolatra la natura e demonizza l’uomo rientra in questo ripiegarsi in questa tetra visione che porta alla staticità sociale.

Nel 1994, per la prima volta una “sacerdotessa pagana” di una setta che si richiama ai druidi, è stata nominata “cappellana” in una università britannica, quella di Leeds. Frattanto, un sondaggio tenutosi nel 1993 ha rivelato che solo un ragazzo inglese su sei è in grado di recitare per intero il “Padre Nostro”. Il principe Filippo di Edimburgo, in un seminario su “Ecologia e religione”, tenutosi a Washington il 18 maggio 1990, raccomandò l’abbandono del Cristianesimo e il ritorno alle religioni pagane, più “rispettose della natura”, fra le quali consigliò “i culti degli indiani d’America, dei polinesiani, degli aborigeni australiani”.

Il bombardamento ideologico più massiccio, risponde a ben precisi interessi costituiti, ed esercita gravissimi condizionamenti che esercita sui processi di sviluppo. La martellante propaganda terroristica condotta dagli ecologisti mira non solo a disumanizzare l’uomo, ridotto a livello puramente animale o subanimale (conseguenza logica ed inevitabile dell’ateismo), ma anche a scardinare le varie sovranità nazionali per sostituirvi un controllo sovranazionale che, sotto il pretesto della tutela ambientale, sarà in grado di decidere quali tecnologie adottare, a quali aziende sarà permesso di sopravvivere e quali dovranno essere chiuse, dove sarà lecito abitare e dove sarà proibito, chi sterilizzare e chi potrà invece avere figli, e quanti potrà averne.

Queste sono le inevitabili conseguenze di un’ideologia che considera l’uomo “un cancro”, sulla linea del pessimismo materialista di marca malthusiana. È sottinteso che i manovratori del terrore ecologista contano di ascendere ai massimi vertici del totalitarismo prossimo venturo, accedendo così a posizioni di privilegio ancora più elevate di quelle di cui già godono, rispetto al resto del mondo che sarà sempre più impoverito dal blocco dello sviluppo economico. Da tempo, tuttavia, fra i membri più avvertiti del movimento ecologista, cominciano a serpeggiare seri dubbi (Lomborg 2001).

Il movimento dei “verdi” si può dire nasca ufficialmente come movimento di massa il 22 aprile 1970, quando negli Stati Uniti fu festeggiata la Earth Day (Giornata della Terra), sulla linea di una riscoperta neognostica di presunti valori paganeggianti (venerazione della “Madre Terra”, delle fonti, degli alberi) travestiti da preoccupazioni per la salute e l’ambiente e da subito indirizzati ad attaccare la tradizione giudaico-cristiana, “colpevole” di aver sancito il dominio dell’uomo sulla natura. In parallelo la medesima tradizione veniva accusata di essere responsabile addirittura del razzismo, per aver presentato il bene come luce e il male come tenebra.

In chiave evoluzionistica, propugnavano la sterilizzazione obbligatoria perché un controllo delle nascite semplicemente volontario avrebbe “eliminato dal patrimonio genetico” le persone “responsabili”, lasciando gli altri a proliferare come conigli. Paludati accademici come Marcuse soffiavano sul fuoco. Ne nasceva, in menti immature e influenzabili, uno spirito di generale ribellione, un’ansia di sconvolgere e rinnovare, che è da sempre il combustibile delle rivoluzioni per gli ignari seguaci. Per altri, il movimento era una buona scusa per sfogare istinti violenti. Ecco quindi nascere, da una parte, movimenti “pacifisti” e buonisti dediti a campagne per “salvare gli alberi”, dall’altra gruppi violenti di ecoterroristi, Black Bloc e quant’altro. Grande era (ed è) la confusione ideologica, ma i promotori di simili movimenti, al contrario, sapevano (e sanno) bene dove vogliono arrivare.

Principale finanziatore della “Giornata delle Terra” fu Robert O. Anderson, allora presidente di una delle principali compagnie petrolifere, la Atlantic Richfield Oil Corporation (ARCO), impegnata nello sfruttamento dei giacimenti del Mare del Nord. Costui era anche proprietario del giornale londinese London Observer e presidente dello Aspen Institute for Humanistic Studies (un’organizzazione per “studi umanistici” fondata ad Aspen, nel Colorado, nel 1948). Egli contribuì con 200.000 dollari per l’organizzazione della “Giornata della Terra” e altrettanto all’associazione ecologista Friends of the Earth (Amici della Terra). Tra i fondatori dello Aspen Institute va ricordato in particolare il rettore dell’università di Chicago Robert M. Hutchins, “amico di Bertrand Russell e malthusiano convinto. Hutchins fu direttore della programmazione alla Ford Foundation alla quale fece finanziare agli inizi degli anni ’50 un progetto di ricerca sugli allucinogeni come l’LSD e la mescalina. Questo studio contribuì a creare il movimento della controcultura nel decennio successivo” (Gaspari, Rossi & Fiocchi 1991).

Non si può naturalmente affermare, in mancanza di prove, che questo effetto negativo sulla gioventù sia stato intenzionale. Quello che è certo, però, è che una simile controcultura, profondamente ostile al Cristianesimo, e il diffondersi della droga che la accompagnò (e tuttora l’accompagna), non furono estranei alla creazione, fra gli studenti universitari e delle medie superiori, di un clima eversivo, che si incanalò massicciamente nella contestazione ambientalista. Va anche sottolineato che la diffusione della droga è funzionale, in sé e per sé, dato il suo carattere distruttivo, proprio al contenimento del “cancro” della terra, cioè della popolazione umana, tanto auspicato nelle sinistre elucubrazioni di Malthus e dai malthusiani.

La spinta impressa dalle lobbies finanziarie e petrolifere mondiali al movimento ecologista non tardò a fare effetto. Quello che era ancora un semplice movimento di opinione ancora poco conosciuto dall’opinione pubblica mondiale, divenne dall’oggi al domani un movimento di piazza con frange violente di carattere anarcoide. Perduravano tuttora le agitazioni iniziate nel Sessantotto, per cui motivi di protesta eterogenei e confusi finirono per confluire e rafforzarsi a vicenda: si creò in molti giovani l’illusione di poter essere attori di un cambiamento globale e benefico. La guerra del Vietnam fornì altro combustibile al fuoco della contestazione. Non per questo, chi soffiava sul fuoco perdeva di vista gli obiettivi iniziali: dato l’odore petrolifero emanante dai dollari, non può stupire che sia stata presa di mira fin dall’inizio l’energia nucleare.

Gli “Amici della Terra” fissarono il loro quartier generale a Londra, e qui organizzarono, nel 1971, la prima dimostrazione internazionale contro le centrali nucleari, cui dovevano seguire moltissime altre piazzate, anche violente. Sotto il nuovo presidente dell’Istituto Aspen, Joseph Slater, altro pezzo da novanta nel mondo della finanza mondiale (era direttore della Fondazione Ford), si precisarono i fini del movimento ecologista mondiale: bando alle centrali nucleari, riduzione delle attività economiche, specie dell’agricoltura intensiva e dei programmi di costruzione di grandi arterie di comunicazione, e soprattutto crescita zero della popolazione mondiale da ottenersi con tutti i mezzi, dalla sterilizzazione di massa all’aborto, imponendo il blocco della crescita demografica come precondizione per ottenere aiuti, ossia ricattando i paesi poveri. Ciò ha spinto molti di essi a falsificare i dati della natalità al fine di qualificarsi per gli aiuti, andati poi spesso non alle popolazioni ma ai satrapi locali.

Dopo la crisi petrolifera del 1973 erano stati formulati in diversi paesi dei piani per lo sviluppo nucleare, ma la massicia campagna propagandistica montata in tutto il mondo dai movimenti ecologisti riuscì nell’intento di bloccare tali progetti alternativi al petrolio.

Se alla lobby petrolifera si vuole assegnare una data di nascita precisa si può prendere il 17 settembre 1928, quando Sir Henri Deterding (1866-1939), direttore della Shell (e finanziatore di Hitler) invitò nel suo castello di Achnacarry, nella Scozia settentrionale, Walter C. Teagle della Esso e Sir John Cadman della British Petroleum per giungere ad un accordo per la formazione di un oligopolio: come i gangster di Chicago, ma su scala globale, si divisero le sfere d’influenza in tutto il pianeta, decisero di schiacciare ogni forma di concorrenza esterna, di fissare di comune accordo i prezzi dei prodotti petroliferi, di sfruttare sempre di comune accordo il petrolio sovietico. Il programma fu realizzato alla lettera e senza il minimo scrupolo. Alla commercializzazione del petrolio sovietico non fu estraneo il sostegno del grande capitalismo occidentale all’URSS, sostegno che fu per lunghi anni decisivo alla stessa sopravvivenza del regime comunista moscovita e dei suoi gulag, dove perirono, o furono ridotte a livello subumano, decine di milioni di persone.

Quanto allo schiacciamento della concorrenza, ne fece le spese l’Italia con l’assassinio di Enrico Mattei, il fondatore della compagnia petrolifera nazionale ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) nel 1962, e l’ENEA, la cui ridicola ritirata con la coda fra le gambe in seguito ad una coperta quanto persuasiva campagna ostile dei petrolieri stranieri e dei loro ecologisti fu segnata dalla trasformazione del significato della sigla (da Ente Nazionale per l’Energia Atomica a Ente Nazionale per le Energie Alternative, e infine a Ente Nazionale per l’Energia e l’Ambiente). La Esso, fortemente presente in Italia, appoggiò dapprima con donazioni i partiti di centro al governo, in seguito fu assai generosa con quelli di centro-sinistra dal 1962, anno dell’assassinio di Mattei, in poi. In questo modo nacque e difese i propri interessi con le unghie e coi denti il sinistro impero delle “sette sorelle”: la Royal Dutch Shell (un colosso anglo-olandese nato nel 1907 dalla fusione di due preesistenti società), la British Petroleum (BP, nata nel 1909 come Anglo Persian Gulf Company), più altre cinque statunitensi.

Inizialmente tutto il petrolio venduto negli USA era controllato dalla famiglia Rockefeller, che aveva fondato nel 1870 la Standard Oil; dopo una condanna per reato di monopolio nel 1911, la società venne frazionata e dopo varie vicende nacquero la Exxon (Esso in Italia), la Mobil, la Chevron, la Texaco e la Gulf Oil (singolare perché è l’unica grande compagnia petrolifera statunitense non controllata in qualche modo dai Rockefeller). I consigli d’amministrazione di tutte e sette le “sorelle” sono da sempre zeppi di manager impegnati al tempo stesso con funzioni direttive nei vari movimenti ecologisti.

La struttura di comando del movimento ecologista è in pratica formata dai magnati finanziari (un vero fiume di dollari è arrivato dalla famiglia Rockefeller attraverso le banche e fondazioni che essa controlla), dai vertici delle grandi compagnie petrolifere e dalle più rappresentative figure della “nobiltà” europea, fra cui spicca in modo particolare il principe consorte di Elisabetta II: Sua Altezza Reale Filippo, Duca di Edimburgo. L’altolocato nobiluomo fu iniziato alla massoneria dal Maestro della loggia “Marina”, con il numero 2612. Avrebbe voluto diventare Gran Maestro della Gran Loggia Madre d’Inghilterra, ma la carica andò invece a Edoardo Duca di Kent, a causa dell’opposizione dello zio Lord Mountbatten, probabilmente preoccupato delle figuracce che l’eccentrico principe consorte (accanito ecologista, ma sostenitore della caccia alla volpe), avrebbe fatto, e fatto fare, all’austera massoneria britannica. Sulle gaffes di Filippo di Edimburgo esiste infatti una vastissima documentazione. In un’intervista ad una rete televisiva statunitense si lamentò che l’appannaggio reale fosse di “soli” 700 milioni di sterline l’anno, e quando l’intervistatore accennò all’aumento dei disoccupati in Gran Bretagna, replicò che non capiva di che avessero da lamentarsi i britannici, dato che prima si lagnavano di non avere mai tempo libero. Filippo superò se stesso quando, in una dichiarazione alla Deutsche Presse Agentur, l’8 agosto 1988, espresse in termini elegiaci il suo compiacimento per le morti causate dall’AIDS (un chiodo fisso degli ambientalisti): “Se rinascessi, mi piacerebbe essere un virus letale come quello dell’AIDS, per contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione” (Engdhal et al. 1991).

Il World Wildlife Fund (WWF, Fondo mondiale per la natura) dichiara di avere un bilancio annuale dell’ordine delle decine di milioni di dollari: è stato fondato nel 1961 dal duca di Edimburgo e dal principe Bernardo d’Olanda: la difesa della natura è diventata il pretesto per imporre ai paesi poveri sterilizzazione, aborto e progetti di sviluppo a basso contenuto tecnologico. Gli ispettori del WWF, incaricati dalla Banca Mondiale, visitano le aree interessate a progetti infrastrutturali (dighe, ferrovie, strade, canali, centrali nucleari, acciaierie, progetti per l’agricoltura e l’allevamento intensivi), e consigliano di finanziare solo quelli a bassa tecnologia (denominati “progetti a tecnologie appropriate” o “a basso impatto ambientale”), i quali non fanno che aggravare il sottosviluppo (Engdhal et al. 1991).

Il quotidiano britannico Guardian ha riferito (4/9/1990) che, a partire dal febbraio 1987, il WWF aveva stipulato col governo dello Zimbabwe un accordo per la protezione del rinoceronte nero: mezzi di trasporto e sorveglianza, nonché armi, vennero poste a disposizione dello Stato africano, che “protesse” il rinoceronte dando la caccia ai bracconieri: ne furono uccisi diverse decine. I bracconieri erano uomini e il rinoceronte solo un animale, ma per gli ecologisti, e i materialisti in genere, l’uomo — e specialmente la vita altrui — vale meno degli animali. Analoghi sono i fini di Greenpeace (Pace verde), fondata nel 1970 in funzione eminentemente antinucleare: tra i suoi principali sostenitori si trovano il solito duca di Edimburgo, la famiglia reale svedese, quella olandese, e varie fondazioni private; analoghi anche i bilanci multimilionari (in dollari) che hanno permesso all’associazione di dotarsi di 35 sedi in 22 paesi, di una vera e propria flotta e di sofisticatissime attrezzature di comunicazione, spionaggio e propaganda.

Particolarmente scandaloso fu il caso del documentario “Sopravvivere nell’estremo Nord”, prodotto nel 1989, in cui Greenpeace si proponeva di mettere sotto accusa i cacciatori di foche: venne alla luce che le sevizie erano state inflitte agli animali da agenti della stessa Greenpeace; il perché di ciò sarà subito chiaro considerando che la distruzione del commercio di pellicce consegnerebbe il monopolio di tale comparto economico (che ha un vasto e ricco mercato nelle regioni temperate fredde) ai produttori di pellicce sintetiche. E con quali materie prime vengono prodotte le pellicce sintetiche? Ma col petrolio, naturalmente. Massiccio è il sostegno dei mass media alle campagne ecologiste, secondo schieramenti trasversali che ignorano le differenziazioni politiche.

Esemplare a questo proposito è la storia del fondatore della CNN, la televisione più influente degli Stati Uniti, egregiamente ricostruita da Gaspari, Rossi & Fiocchi (1991). Si tratta di Ted Turner, nato a Dallas. Costui iniziò la sua scalata al potere stipulando un contratto per l’utilizzazione di un satellite televisivo, allo scopo di creare una rete televisiva mondiale. Dopo una classica educazione puritana di stampo calvinista, egli l’ha apertamente ripudiata, dichiarando: “Sono cresciuto terrorizzato dalla dannazione eterna, e sono stato salvato sette o otto volte. Ma ogni volta che mi allontano dalla salvezza mi sento meglio (…….). Il Cristianesimo è la religione dei perdenti”. Il legame “sentimentale” di Turner con l’attrice Jane Fonda (nota per i suoi film milionari e “osé” contro il “capitalismo”) è andato sviluppandosi in parallelo con il suo impegno ambientalista, che lo ha portato a diventare il rumoroso portavoce di una lobby malthusiana e mondialista.

Nel 1985 ha fondato e finanziato un’associazione “per un mondo migliore” (Better World Society, o BWS), che ha dato vita al progetto “Televisione come forza mondiale”. Nella direzione della BWS sedevano, nei primi anni Novanta: l’ambasciatore Zhou Boping (vice presidente dell’Associazione per la pianificazione familiare del partito comunista cinese e responsabile del programma di sterilizzazione forzata in Cina), la dottoressa Julia Anderson (già segretario generale della Federazione internazionale per la pianificazione familiare, International Planned Parenthood Federation), il dottor M.S. Swaminathan (presidente dell’Unione internazionale per la conservazione della natura, International Union for the Conservation of Nature), Maurice Strong (presidente della compagnia petrolifera Petro-Canada e funzionario della Banca Mondiale, già vicepresidente del WWF e presidente della Federazione mondiale delle associazioni delle Nazioni Unite, World Federation of United Nations Association), Jimmy Carter (ex presidente degli Stati Uniti), Georgii Arbatov (ex direttore dell’Istituto USA-Canada dell’URSS), la signora Gro Harlem Brundtland (ex primo ministro norvegese, le cui plateali gesta a favore dei preservativi l’hanno portata, come vedremo, a vilipendere il Papa mentre questi era ospite della Norvegia), William Colby (ex direttore della CIA). Ted Turner è stato il maggior sostenitore del referendum “Grosso Verde” (Big Green), promosso dagli ecologisti californiani (e da costoro sonoramente perso), ed ha lanciato il progetto di sostituire i dieci Comandamenti della Legge mosaica con una grottesca parodia ambientalista.

Molto spesso i paladini dell’ecologismo sono i maggiori inquinatori. Ad esempio, nessuna delle organizzazioni ecologiste che parlarono scandalizzate di “azione criminale” in occasione della nube di diossina uscita dall’impianto Icmesa di Seveso il 10 luglio 1970, parve ricordarsi del fatto che il dottor Luc Hoffman, proprietario della Icmesa, affiliata alla multinazionale chimica Hoffman-Laroche, era vicepresidente onorario del WWF. Ai primi del 1990 Hoffman ricevette dal principe Bernardo d’Olanda, presidente del WWF olandese, la carica di comandante dell’Ordine dell’Arca d’Oro, una delle massime onorificenze ambientaliste, per la “dedizione e la straordinaria generosità a favore della conservazione della natura e per il ruolo svolto nell’ambito delle più influenti organizzazioni ecologiste del mondo”. Russell Train, cofondatore del WWF e dal 1977 direttore per il settore “ambiente, salute e sicurezza” della multinazionale chimica Union Carbide, nel 1978 è stato eletto presidente del WWF.

La Union Carbide è proprietaria della fabbrica di Bophal, in India, che emise, il 2 dicembre 1984, una nube tossica tale da avvelenare 170.000 persone, delle quali 2.600 morirono. Train, che in precedenza si era più volte espresso a favore di una riduzione della popolazione, ha definito “ottimo” il programma ambientale della Union Carbide. Evidentemente le nubi tossiche migliorano l’ambiente riducendo la popolazione. Il 24 marzo 1989 la petroliera “Exxon Valdez” si arenò nella baia Principe Guglielmo, in Alaska, riversando in mare 40.000 tonnellate di greggio che contaminò 1600 chilometri di costa, uccidendo 36.000 uccelli migratori e distruggendo i salmoni di una delle più pescose zone del mondo. Proprietaria della petroliera arenata era la multinazionale Exxon, una delle “sette sorelle”, e presidente della Exxon, e contemporaneamente del WWF statunitense, era Eugene McBrayer, il che spiega come mai il WWF, invece di denunciare l’accaduto come ennesima prova dei pericoli per l’ambiente, sia rimasto particolarmente tranquillo in tanto disastro. Non è necessario entrare in una disamina di altri gruppi ecologisti, più o meno simili fra loro quanto a finalità e linee di comportamento, né dei successivi sviluppi dell’ecologismo, che ha monotonamente continuato a macinare i medesimi temi.

Quali sarebbero i risultati se questo genere di ambientalismo avesse successo fino in fondo? Nient’altro che un semplice ulteriore inasprimento di quello che già sta accadendo: (1) immenso arricchimento delle lobbies finanziarie e petrolifere, essenzialmente britanniche e statunitensi che sostengono il movimento; (2) stagnazione demografica ed economica dei paesi poveri e quindi mantenimento degli equilibri politici ed economici esistenti; (3) predominio dell’area economica anglosassone nordatlantica (che controlla immense riserve di petrolio sia nei propri territori che nel resto del mondo) sulla Germania, la Francia, la Spagna, l’Italia, e sull’Europa non anglosassone in genere, tutti paesi che non hanno altrettanta disponibilità petrolifera e ai quali converrebbe sviluppare le centrali nucleari intrinsecamente sicure di cui si accennerà fra breve.

Il fatto che vi siano agguerriti gruppi ecologisti anche nei paesi occidentali non anglosassoni più gravemente penalizzati dall’ecologismo non stupisce affatto: anche tali paesi hanno i loro magnati petroliferi, ai quali importa poco se i loro interessi coincidono o meno con quelli nazionali. Né stupisce che gli ecologisti contrastino la costruzione di centrali nucleari anche nei paesi anglosassoni: una volta scatenato il movimento non era certo possibile dire che le centrali francesi erano pericolose ma quelle britanniche e statunitensi no. Inoltre, si tratta di gruppi d’interesse ovviamente multinazionali, che se hanno particolare forza nei paesi anglosassoni (e nei paesi Bassi e in quelli scandinavi), non sono affatto movimenti in qualche modo votati all’interesse di particolari paesi, ma solo di élites transnazionali (petrolifere e, di riflesso, dell’industria automobilistica e di quella chimica).

L’industria nucleare sembra abbia a sua volta cercato di influenzare il movimento ecologista, cosa forse non troppo difficile, visto il carattere eminentemente emotivo del ragionare di estremisti del genere, ed ecco quindi balzare fuori la campagna contro l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera, di cui si dà la colpa ai combustibili fossili. Si ha quindi la netta sensazione di due lobbies che cercano di tirare il movimento ecologista dalla propria parte, ma con la lobby petrolifera decisamente più forte, ciò che ovviamente può solo favorire i paesi anglosassoni e quelli produttori di petrolio. Il movimento ecologista finisce così per fare al tempo stesso propaganda contro ogni forma di sviluppo, ciò che fa il gioco di chi mira a mummificare la situazione politica, sociale ed economica esistente, cioè molti industriali che hanno investito enormi capitali in tecnologie più che mature: e ancora una volta l’esempio più ovvio è quello dell’industria automobilistica e del suo indotto, che è vastissimo (industria della gomma, della plastica, dei componenti elettromeccanici, della costruzione di garages, servizi come le pompe di benzina e i negozi di accessori).

Dei membri fondatori degli “Amici della Terra” molti provenivano dai Planetary Citizens (Cittadini planetari) e dai World Federalists (Federalisti mondiali), due associazioni di orientamento massonico, raggruppanti la crema finanziaria del mondo anglosassone, e il cui obiettivo è l’unione del mondo sotto un unico governo. All’idea del governo mondiale si lavora da tempo, senza contare le anticipazioni dell’utopia illuminista come nel libercolo Zum ewigen Frieden (Per la pace eterna), del 1795, nel quale il “grande” Immanuel Kant favoleggiò appunto di un governo mondiale unificato che avrebbe dovuto porre fine a tutte le guerre. Il cristiano (almeno quello che prende la sua Fede sul serio e non si fa fuorviare da utopie laiciste), sa bene, in base a tutta la Rivelazione, che la pace verrà solo in prospettiva escatologica, ossia alla fine dei tempi, col giudizio universale, mentre, al contrario, non solo ci saranno guerre, persecuzioni e disastri finché durerà la storia umana, ma verso la fine è profetizzato l’avvento dell’Anticristo. In linea con la gnosi, invece, l’illuminismo respinge la Rivelazione cristiana e sostiene che l’umanità può raggiungere la pace con le sue sole forze, unendosi in un abbraccio fraterno che, a ben guardare, non è altro se non la fratellanza massonica. Non è difficile comprendere quale tipo di governo mondiale scaturirebbe dall’ambientalismo estremista: una dittatura dominata dall’alta finanza, a scapito dell’autentica imprenditoria e dell’umanità nel suo insieme.

Chi siano i paladini di un simile “nuovo ordine” mondiale si comprende da uno sguardo alle cariche da essi ricoperte e al tipo di progetti ai quali si dedicano (vedi Engdhal et al. 1991). Norman Cousins era contemporaneamente fondatore del “Federalisti mondiali”, membro della direzione degli “Amici della Terra”, membro dell’Istituto Aspen e direttore della rivista Saturday Review. Douglas Dillon, un potente banchiere di Wall Street, fondò nel 1961, su consiglio di Bertrand Russell, l’Istituto per l’Ordine Mondiale (Institute for World Order, o IWO), per la realizzazione del governo mondiale. L’IWO assunse l’iniziativa del progetto “Mobilitazione per la sopravvivenza” (Mobilization for Survival), con l’obiettivo dichiarato di combattere la diffusione dell’energia nucleare e limitare la crescita della popolazione. Nel 1980 il presidente statunitense Jimmy Carter presentò lo studio Global 2000, che prevedeva misure drastiche per la riduzione della popolazione dei paesi in via di sviluppo. Nel 1989, l’allora ministro degli Esteri sovietico Eduard A. Sheverdnadze si espresse alle Nazioni Unite per la trasformazione del Programma ambientale dell’ONU in un Consiglio ambientale con potere decisionale in materia di ambiente, scavalcando le varie sovranità nazionali.

i sovietici, del resto, sono stati gli inventori del concetto di sovranità limitata delle nazioni, come si vide a Berlino Est nel 1953, a Budapest, schiacciata dai carri armati nel 1956, nella Primavera di Praga del 1968, nell’insurrezione di Poznam del 1970, e in altre occasioni di “aiuto fraterno”. Il 24 gennaio 1989, il segretario generale del Commonwealth britannico, Sir Shridath Ramphal, in una conferenza a Cambridge dal titolo “Ordine del giorno verde e mondiale” dichiarò: “Oggi dobbiamo prepararci all’idea di un governo mondiale e non restare intrappolati nella nozione di sovranità nazionale”. Ramphal, autorevole membro della Commissione Brundtland, non esprimeva certo considerazioni estemporanee e personali, ma un ben preciso disegno.

La Commissione Brundtland prende il nome dalla signora Brundtland, primo ministro norvegese, abortista e decisamente avversa alla crescita della popolazione: lo scopo della Commissione (la cui intitolazione esatta è Commission on Environment and Development, “Commissione per l’ambiente e lo sviluppo”) è di creare un ordine mondiale “rispettoso dell’ambiente”. La Brundtland manifestò apertamente il suo disprezzo per il Cattolicesimo in occasione di una visita di Giovanni Paolo II, chiedendo provocatoriamente al Santo Padre di aiutarla nella propaganda per l’uso di anticoncezionali (Gaspari, Rossi & Fiocchi 1991).

Un paio di episodi rigorosamente autentici indicano i livelli raggiunti dalla paranoia ecologista. Nelle Isole Britanniche si è giunti ad impedire l’estensione del canale navigabile di Basingstoke attraverso il tunnel di Greywell perché il tunnel era diventato un prolifico centro di riproduzione di pipistrelli. In Francia, nel 1992 da tre anni una poiana (Buteo buteo) aggrediva a colpi di becco gli abitanti di un villaggio: Mezière-sur-Issoire, una località di 900 anime presso Limoges. Si erano già verificati quindici casi di ferimenti, anche gravi. Il rapace — che ha una apertura alare di metri 1,2, becco micidiale e artigli terrificanti — in base ad una legge approvata nel 1976, appartiene a una specie protetta, e guai a chi osasse ucciderlo. L’incauto cacciatore andrebbe incontro a severissime pene pecuniarie, in taluni casi addirittura alla prigione. Si tratta di una legge insensatamente rigida, che non prevede eccezioni, anche per specie tutt’altro che minacciate di estinzione (nella sola Francia le poiane sono circa 60.000, solitamente di nutrono di topi e di rettili e non attaccano l’uomo). Sotto l’arcigna tutela dei “verdi” e delle guardie forestali, gli abitanti del paesino, invece di poter sparare alla bestiaccia, hanno dovuto ricorrere a vie legali: il sindaco (che era stato a sua volta ferito) si è rivolto ad una società ambientalista locale, che ha mandato alcuni ornitologi. Con l’assistenza dei gendarmi e delle guardie forestali, e non senza aver avvisato, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, il ministero dell’Ambiente, unico competente in materia, gli “esperti” hanno teso invano trappole su trappole per tentare di catturare vivo il rapace. L’idea, hanno spiegato, era quella di cercare di capire se la poiana soffre di turbe fisiche o psichiche, di curarla e di educarla. Non è chiaro in che modo intendessero farlo: forse psicanalizzando la poiana per capire se aveva subìto traumi quando era nell’uovo?

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

ENGDAHL E., FILIPPONI G., GASPARI A., PRINZI G., ROSSI C., SCHAUERHAMMER R., GALLIANO SPERI M. & TENNENBAUM J. (1991) Lo sviluppo dell’Europa ed il pericolo del movimento ambientalista, Roma, Vita Nova

GASPARI A., ROSSI C. & FIOCCHI H.C. (1991) L’imbroglio ecologico: non ci sono limiti allo sviluppo, Roma, Vita Nova LOMBORG B. (2001) The skeptical environmentalist, Cambridge, Cambridge University Press

MALTHUS T.R. (1992) An essay on the principle of population. or, a view of its past and present effects on human happiness. with an inquiry into our prospects respecting the future removal or mitigation of the evils which it occasions, selected and introduced by Donald Winch using the text of the 1803 edition as prepared by Patricia James for the Royal Economic Society, 1990, showing the additions and corrections made in the 1806, 1807, 1817, and 1826 editions, cur. Winch D. & James P., Cambridge, Cambridge University Press (edizione originale 1798)

MEADOWS D.H. et al. (1972) The limits to growth: a report for the Club of Rome’s project on the predicament of mankind, New York, Universe Books RICARDO D. (1973) On the principles of political economy and taxation, London, Dent (edizione originale 1823)


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