Immaginiamo un luogo perfettamente paradisiaco, dove non vi siano più né dolore, né malattie, né pericoli, né ansietà, dove tutti i nostri desideri siano realizzati, dove ritroviamo le persone care, ritroviamo gli animali che amiamo, ritroviamo in perfetto ordine tutte le nostre cose a cui teniamo, comprese quelle che si erano rotte; un luogo dove non manchi nulla alla più perfetta felicità immaginabile. Questo sarebbe il paradiso? No, sarebbe il paradiso solo in senso umano, ma non il vero paradiso. Perché? Perché tutto il bene che troveremmo in esso è esprimibile in parole, è intellettualmente accessibile all’immaginazione, perché riusciamo a pensarlo. Il vero paradiso è inesprimibile a parole, al di là dell’immaginazione, così come inesprimibile è la Maestà Divina, fonte unica della visione beatifica.
Anche l’immagine del luogo perfetto, tuttavia, è tutt’altro che vana, ed ha una sua utilità. Gli artisti del Medioevo saggiamente rappresentavano il paradiso come uno stupendo giardino, per dare qualche consistenza visibile a ciò che tentavano di rappresentare: non vi era infatti altro modo. Nel rappresentare il premio minore, quello che riusciamo ad immaginare, e che pure esiste e ci verrà dato, si prepara la mente a intuire, al di là delle immagini possibili, l’esistenza del premio infinitamente maggiore.
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