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La satira può accordarsi con l’amore cristiano? Era un dubbio che mi metteva a disagio. Mi addormentavo pensandoci e mi pareva che il mio impulso a scrivere, la mia “ispirazione”, fossero impediti dallo scrupolo.

Una notte che, contrariamente a quanto dicono i racconti a proposito del mitico momento cruciale, era buia ma non particolarmente tempestosa, mi apparve in sogno un uomo di aspetto piacevole, sereno ma con un tocco di velata malinconia. Vestiva una toga romana e calzava eleganti sandali, pure di tipo romano. Era come avvolto da una tenuissima nebbia e mi guardava intento. Mi voltai a chiamare mio marito, che (eccezionalmente, in quel particolare sogno) non era con me, ma l’apparizione, come se mi leggesse nel pensiero, mi fermò:

— Lascialo dormire. Dorme così bene, perché ha la coscienza sgombra e non ha paura.

— In effetti mio marito dorme come un ghiro. Gli altri, e un altro in particolare, perdono le notti per cercare di scavargli la fossa, e lui dorme il sonno del giusto, aspettando che siano loro a cadere nella fossa. (Era infatti l’epoca di De Bello Sardonico).

— È l’atteggiamento migliore. La calma disorienta l’avversario, e il tempo che passa lo fiacca. Al tempo va lasciato il compito di sciogliere i nodi. Ho sempre fatto così, almeno da quando le delusioni della guerra civile mi hanno insegnato a prendere la vita con filosofia.

— Ma chi sei?

— Mi chiamo Quinto Orazio Flacco. La mia vita sulla terra si è conclusa appena poco prima che si manifestasse la gloria del grande Re che voi adorate. —
— Pochi lo adorano, — dovetti correggerlo — la maggior parte gli volta le spalle, lo odia e lo bestemmia.
— Lo immaginavamo. Dove sono io, diversi di noi lo hanno detto. Ma non sappiamo tutto e viviamo nell’incertezza su molte cose.
— Ma dove siete?
— Nel limbo, dove ci ha visti il sommo poeta che visitò l’oltretomba sotto la guida del grande Virgilio. Con noi stanno gli “spiriti magni”, come li chiamò quel nobile visitatore. Noi ragioniamo con loro, ascoltiamo Platone e “il maestro di color che sanno”, Aristotele, e il maestro di entrambi, Socrate. E con noi è Cesare, è Augusto, Cicerone, Seneca, e tutti i maggiori filosofi antichi, e Omero, Ettore, Enea. Solo, in un canto, il grande spirito del Saladino. Ma la nostra sapienza si ferma davanti ai misteri. Trinità e Incarnazione: sappiamo che sono cose meravigliose, ma non ci è dato penetrarle. Per noi sono solo nomi. Anche per voi, del resto, finché vivete sulla terra. Solo chi è nella candida rosa dei beati vede e comprende.
— Come fai a conoscere la rosa dei beati?
— L’ho vista, per un attimo. Tutti la vedono quando si presentano al giudice alla fine dell’esistenza terrena.
— E non vi tormenta il pensiero di non potervi salire mai più?
— Non è un tormento. I dannati sono tormentati. Per noi è un rimpianto, la fonte della nostra malinconia, come chi ha perduto l’essere amato e ne ritiene il ricordo come cosa ormai lontana, come una musica che si perde tra le foglie lievi di un bosco incantato.
— Non provate rancore perché altri hanno potuto conoscere il Re, e ascendere con lui al cielo, mentre a voi è stato negato? Non vi dispiace che vi sia toccato nascere troppo presto?
— Noi sappiamo della bontà di Colui che ha creato e governa tutte le cose. Non la comprendiamo, perché le cose più alte ci sono precluse, ma sappiamo che è buono, ed Egli ci ha elargito generosamente molte conoscenze naturali, che ci mantengono sereni. Così sappiamo che, se ci fosse stato dato di conoscerLo, saremmo stati sopraffatti dall’orgoglio e dalla superbia, consci come siamo del nostro superiore intelletto. A chi più ha, più sarà richiesto. Chi è più in alto rischia di rovinare più in basso. Se l’avessimo conosciuto, Egli sarebbe stato per noi pietra d’inciampo e, invece, di essere nella tranquilla pace del limbo, né tristi né lieti, godendo della reciproca compagnia e dei nostri libri, opere del nostro ingegno, saremmo sprofondati nell’abisso ardente del grande demone.
— Voi avete dunque una chiara nozione del bene e del male? Conoscete l’antagonista del grande Re?
— Tutti gli uomini l’hanno, questa conoscenza: è una conoscenza naturale dell’uomo. Il grande Re l’ha elargita a tutti. Anche noi pagani, al lume della semplice ragione, sapevamo benissimo che esiste l’Ottimo Massimo, datore di ogni bene, e che esistono i demoni, che vogliono solo distruzione e male. E sapevamo pure che bene e male non sono astrazioni, ma presuppongono volontà. Solo le persone hanno la volontà, e la dirigono al bene, che è grato al Re, o al male, che il Re punisce. I buoni vanno al premio eterno, i malvagi all’eterno castigo. Oh, sì, noi pagani avevamo una chiara nozione dell’inferno, che chiamavamo Averno, e del luogo del premio, i Campi Elisi.
— E tu, e tutti gli altri nobili spiriti, siete nei Campi Elisi?
— Sì, il limbo è all’incirca come noi immaginavamo i Campi Elisi. Ma quello che non sapevamo era che, ben al di sopra dei nostri Campi Elisi, vi fosse un premio ben più grande, che non possiamo raggiungere. Non potevamo immaginare l’Ottimo Massimo Giove che si faceva uomo per salvare gli uomini dal peccato e condurli alla vita eterna. A questo era impossibile arrivare con il solo lume della ragione. Beati voi che credete nel Re eterno, e avete la speranza di entrare nella sua eterna felicità, e di comprendere ogni cosa.
— Ma il Re eterno, come tu lo chiami, o Cristo Signore, com’è il suo vero Nome, gradisce la satira? È questo il dubbio che mi assale. Sei forse venuto per consigliarmi?
— È il compito più gradito che possa toccarci, questo: soccorrere coloro che hanno bisogno di guida, al lume della ragione, che è vivo in noi. Così Virgilio fu mandato a guidare il sommo Alighieri, ma dovette cedere il campo a Beatrice, alla Fede, quando si trattò di varcare i confini del paradiso. Così io sono stato inviato a te, per dirti (alla luce della ragione, ben diversa dalle tenebre del falso razionalismo negatore) che non devi temere di scrivere satire, tu che hai avuto l’incomparabile fortuna di poter conoscere la vera dottrina del Redentore. Il miele è buono, ma anche il fiele ha la sua funzione. Anche la satira, poiché castiga ridendo i costumi, è gradita al Re dell’universo. Onore e gloria a Lui, fonte del carisma delle belle lettere, come di ogni altro carisma e dono dell’intelletto. Io ti nomino Orazia, perché tu sai usare la satira per difendere la verità. Fallo senza timore.
Quando mi svegliai avevo ben in mente tutta la serie di cose ridicole sulle quali scrivere: gli idoli che gli uomini si sono creati, le incomprensioni e la maleducazione che si annidano nelle famiglie, la disonestà degli speculatori finanziari, le frenesie ambientaliste e gli interessi che vi stanno dietro, le beghe da cortile nelle università e i baroni senza spina dorsale che fanno carriera legando l’asino dove vuole il padrone, i dogmi materialisti come l’evoluzionismo, e tante, tante altre storture.
Ma a che servirebbe lanciare invettive, se non a dare troppa importanza a gente che non ne ha nessuna? Meglio ridere, e lasciare che il tempo si incarichi di denudarli e farli apparire come sono. Presto saranno nudi di fronte a un tribunale che non ammette appello, e quello che ora complottano nel buio sarà gridato dai tetti. La satira anticiperà questa opera del tempo, seppellendoli sotto le risate.

MARIA ANTONIETTA NOVARA BIAGINI


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