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I preti e i prelati postconciliari vogliono andare incontro al mondo col sorriso propiziatorio sulle labbra, non col cipiglio ammonitore, dispensando la medicina della misericordia, e non imbracciando l’arma della severità. L’uomo di mondo, che ha poca voglia di sentirsi ricordare che un giorno dovrà morire, va assecondato, e infatti preti e prelati si guardano bene dal nominare la morte. Meglio discorrere di argomenti più terra terra come “servizio ai fratelli”, “condivisione”, “sviluppo green e sostenibile”, “cambiamento climatico”. Meglio ancora lisciare il pelo al nemico della Chiesa, inserendo nelle “preghiere dei fedeli” una perla che auspichi “un mondo più giusto e fraterno, secondo il disegno dell’architetto divino” (16/2/2025), con una bella lisciata al “grande architetto” dei massoni, nemici irriducibili della Chiesa e della Verità.

La morte è scomoda e fastidiosa, meglio ignorarla. Il Giudizio? Ma quale giudizio? La misericordia divina e infinita e perdona tutto (piccolo particolare: il perdono bisogna chiederlo, umiliandosi; ma questo non è il caso di dirlo, per non guastare l’umore e la digestione dei mondani, mentre è invece consigliabile tenerseli buoni). E gli altri Novissimi, dei quali a quanto pare ce ne sono altri due? Mancano infatti Inferno e Paradiso, ma per arrivarci bisognerebbe fare un discorso serio su Morte e Giudizio: le scomodissime tappe che guastano la digestione di mondani, preti e prelati. Meglio tacere.


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