MANOLA DI TULLIO, Briciole, Tabula Fati, Chieti, 2023, € 10.
Alla voluta modestia del titolo corrisponde uno scavo profondo nella trama esistenziale, fatta di sogni, desideri, urti con la disordinata realtà, che l’Autrice esprime in modo efficacemente simbolico come nascita del vetro: “Sabbia, fuoco, meraviglia. Disordine che splende incurante degli ordini perfetti.”
Il sogno non si lascia carpire, e l’Autrice resta “così, inerme, imbambolata, vinta Fino al prossimo incontro.” (“Sono con il mio sogno”). In “Salita al Corno Grande”, si abbraccia alla roccia e, circondata dall’armonia del cosmo, eleva una preghiera al Signore. Qui il senso cosmico si unisce alla fatica, il silenzio delle cime è grandiosa cornice ai passi nutriti dal dolore. Il silenzio è nelle sue orecchie, in un’altra poesia, ed ella annega “nel suo vuoto”, ingoiando il dolore, ma tutto passa nell’ascoltare il “respiro calmo e regolare” del suo amore che dorme al suo fianco. E, in un’altra lirica ancora, “Il sottotetto”, giunge a chiedersi: “La vita che non vivo è forse una mancata morte?”. Il dolore cosmico è ben espresso nella poesia che apre la raccolta, “Il ponte”, e infatti il ponte che prometteva il transito è inspiegabilmente svanito, così che la poetessa conclude: “Mi arrendo ad un passato che è presente, a un oggi che inerte mi sorprende, a un futuro che ha solo ricordi di semi avvelenati e mai sepolti.”
Si giunge alle soglie di un sentire molto negativo, che sfiora la disperazione di chi si percepisce vuota, disciolta, e identificata col maligno: “Io sono quella a San Michele invisa, sotto un cavolo sterile nata. Fluttuo dal cuore alla croce, mai ferma mai forma mai morta.” E, come un rabdomante, cerca “l’assoluzione in un bicchiere d’acqua pura.” È forse una crisi di identità che le detta: “Sulle spalle a fatica trasporto la pelle altrui. Terra arsa intorno a un buco nero. Tracima la memoria dell’errore. Affondo nella mia dissoluzione.” Anche il fango ci si mette, inghiottendo la lenza nel pozzo, inutile smuoverla, con “livori e rancori che strisciano bassi, così che scivola piano, la lenza in traenza, le mani sudate da mille veleni. E il pozzo ingoiò.” Ma non manca la speranza in un ordine, e perciò in un positivo ricomporsi dei cocci che sconfigga la disarmonia, come nell’ultima lirica, dove i pezzi si lasciano collocare a posto e permettono di comprendere.
È un universo poetico di grande fascino, che richiede attenta e non frettolosa meditazione, quello che Manola Di Tullio ci schiude, e che la mia breve nota non pretende certo di esaurire. Non mi resta che rallegrarmi con l’Autrice, e sperare di poter leggere altre sue future opere.
MARIA ANTONIETTA NOVARA
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