LA GRAMAGLIADE
ovvero
EPOPEA DI UNO SPIRITISTA NEMICO DI MARIA VALTORTA
PROLOGO SECONDO LI CANONI DE LO CLASSICO POETARE
(Forse invece dei canoni
servirebbero cannoni e mitragliatrici,
ma le munizioni costano)
Cantami, o Diva, l’ira del Gramaglia
quando intravvide all’ultimo orizzonte
ciò che a lui parve squallida canaglia
che vaneggiava aver col Cielo un ponte,
fabulando di luce come un faro
con dettati e vision, scritte e già pronte.
“Oh! perché mai, destin cinico e baro,”
il Gramaglia gettò alto lamento
“con i miei tavolin – quanto m’è amaro! –
io non lucro nessun emolumento?”
E così pieno di funesta rabbia,
con nera invidia si gettò al cimento.
Seppellir la voleva nella sabbia,
ma, in loco eterno, altro è decretato,
così a lungo grattò sulla sua scabbia
e rimase alla fine scorbacchiato.
Eruditus theologus cum amicis suis
(continua)
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