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LA GRAMAGLIADE

ovvero

EPOPEA DI UNO SPIRITISTA NEMICO DI MARIA VALTORTA

 

CAPITOLO QUARTO

BESTEMMIE SUL GESÙ STORICO

Nona puntata

Il Salvatore ridotto a saltimbanco

     Se fare dell’ironia sugli sfondoni gramaglieschi è perfettamente naturale, non altrettanto opportuni sono i pesanti sarcasmi del PAG che pontifica trionfante (pp. 156-157): “Pertanto non è il caso di esaltare la fecondissima scrittrice, facendo notare che non si recò mai in Palestina e che il suo romanzo conterrebbe dettagli sconosciuti alle guide turistiche della Palestina; in fatto di dettagli sarà sempre imbattibile e soprattutto… nessuno potrà mai verificarli!”

Affermazione platealmente contraddetta da innumerevoli scoperte archeologiche di edifici e città riscoperte dopo la morte della veggente, e del tutto ridicolizzata dalle straordinarie descrizioni del cielo notturno con le esatte posizioni di stelle e pianeti, verificate di recente mediante effemeridi computerizzate. Caro PAG, si aggiorni.

Imperterrito, il tuttologo valtortofobo insiste, dando del “saltimbanco” a Gesù (p. 157 corsivo aggiunto): “Tanto più che, nel caso di eventuali discordanze tra le sue visioni e il testo evangelico, Gesù stesso fa sentire la cara Voce e con trovate da saltimbanco (sic!), come nel caso ad esempio di Betania, cerca di mettere d’accordo le varie versioni dei fatti.”

La “trovata da saltimbanco” in cui si esibirebbe il Salvatore sarebbe questa: il Divino Maestro spiega che il versetto di Giovanni (11, 30) “Gesù non era ancora entrato nel villaggio di Betania” e l’Evangelo valtortiano non sono in contraddizione perché egli non era entrato nel villaggio onde evitare l’accorrere dei betaniti, tutti ostili a quelli del Sinedrio che erano convenuti a Betania, poiché avrebbero potuto accendersi dispute e disordini. Rinunciando quindi all’appoggio degli abitanti, il Salvatore era passato alle spalle di Betania per raggiungere la casa di Lazzaro che si trovava all’estremo opposto per chi entrava in Betania da Ensemes. Perciò è giusto quanto scrive Giovanni, che Gesù non era ancora entrato nel villaggio, ed è pure esatto quanto scrive la Valtorta che Egli si era fermato presso la vasca nel giardino di Lazzaro, ma ancora molto lontano dalla casa. Quindi l’incontro del Santo Redentore con Marta è avvenuto all’interno della proprietà di Lazzaro, ma fuori del villaggio, e i betaniti seppero dell’arrivo di Gesù e accorsero solo quando Egli già ordinava di togliere la pietra che chiudeva il sepolcro di Lazzaro. Questa spiegazione, perfettamente logica e veritiera sarebbe dunque la “trovata da saltimbanco”. Che magnifica occasione di tacere vergognosamente sprecata.

Il tuttologo valtortofobo scrive di “discordanze tra le visioni valtortiane e il testo evangelico”, mentre è vero il contrario: l’Opera valtortiana offre soluzioni più che convincenti alle molte questioni dibattute dagli esegeti nel tentativo di accordare fra loro le apparenti divergenze dei Vangeli canonici (ad esempio riguardo all’arresto del Battista: la Valtorta mostra che ve ne furono due). Fra l’altro, nei Vangeli, come in tutta la letteratura antica, non vi sono descrizioni di paesaggio, per cui non si vede proprio come le abbondanti e dettagliate descrizioni valtortiane possano divergere da inesistenti descrizioni dei Vangeli canonici.

E bravo PAG, che crede di prendere in castagna la veggente (ibid.): “A volte sono inventati addirittura dati edilizi, come quando si assicura che a Gerusalemme esistevano più di 500 sinagoghe”. Dati edilizi inventati? Peccato, PAG, che il dato sia confermato dal Talmud di Gerusalemme. E che dire del già ricordato tunnel segreto nelle mura del Tempio?

Dai PAG, già che ci sei, tanto ormai ti conosciamo (ibid. corsivo aggiunto): “Mentre gli evangelisti parlano del deserto di Giudea oltre Efraim, la Valtorta trasforma la zona in una amena distesa di boschi e pascoli fra lieti torrentelli, decorata di vigneti, di ulivi e di frutteti, nonché di mandorli in fiore; ci assicura pure che tale regione è detta ‘deserto’ nei Vangeli solo perché privo di paesi: il che è una semplice imbecillità da mente allucinata, che si picca di capacità letterarie solo perché riesce a trasformare un deserto in paradiso terrestre”. Anzitutto complimenti per lo stile raffinato e misurato che sempre distingue le sfuriate gramagliesche. Un fatto è chiaro: se la Valtorta scrive qualcosa che il PAG si aspetta, allora ha copiato da qualcuno, altrimenti deve aver lavorato di fantasia con la sua mente allucinata.

Eh no, eh no, Valtorta, al PAG non la si fa, perché Lui SA. Eccolo infatti che tuona (ibid.): “Ella ha sempre difeso il valore storico delle sue visioni contro qualsiasi obiezione; un giorno le venne fatto osservare che il suo Gesù non si preoccupava mai del sole scottante né del gelo, non si trovava mai a disagio né sotto gli acquazzoni né quando era sudato sotto i solleoni: benché in Palestina non si rimanesse per lo più a testa scoperta sotto il sole, la Valtorta rispose perentoriamente che le sue visioni erano esplicite: Gesù stava sempre al sole con la sua testa splendente e scoperta, andava in giro solitamente senza nulla in capo. Parola di Maria Valtorta!”

E perché no? Era così che lo vedeva. L’Uomo-Dio era perfetto anche come Uomo; non sofferse mai di alcuna malattia, poteva solo essere ferito dalla malvagità degli uomini, visto che era venuto per soffrire e redimere, ma niente di strano se il tempo atmosferico, di cui Egli stesso era il Creatore, non lo disturbava minimamente. Se era capace di camminare sulle acque quale potere potevano avere su di lui il sole o la pioggia? Ma ai dottori difficili e al difficilissimo PAG questo, a quanto pare, non è comprensibile. Ah, già, dimenticavo: l’ermeneutica ecc. ecc., quindi forse, dopotutto, non era Dio, quindi avrebbe dovuto coprire quella puramente umana testa per far contenti i dottori difficili.

I quali non perdevano occasione per punzecchiare la veggente con le loro obiezioni di eruditi esegeti, e il PAG esulta (pp. 157-158): “Quando alla fine del 1947, cominciò a sentir crescere le obiezioni di ordine storico-geografico contro le città palestinesi del suo romanzo, presentate come centri urbani con forte densità di popolazione si indispettì (sic!) e, pur continuando ad insultare (sic!) “le continue perdite di tempo e gli sfoggi ancor più inutili di sapere umano… desunti da lavori umani e molto posteriori…, perciò inesatti”,, pensò bene di correre ai ripari e di asserire che nel dettare l’opera a Gesù interessava piuttosto la dottrina, l’unica cosa veramente utile per la vita eterna!”

Si calmi, eruditissimo PAG, la risposta del Divino Maestro, trasmessa dall’obbediente penna della grande veggente, è perfettamente appropriata. L’Opera dopotutto è destinata ai piccoli e ai semplici, non ai presuntuosi dottori difficili, e deve servire, come insegna Gesù, a supplire ai tanti pulpiti vuoti o male occupati (Quaderni, sera del 18 luglio 1943 corsivo nel testo): “Il mio operare, dal principio di questo secolo, l’ultimo di questo secondo millennio, è un miracolo di Carità per tentare la seconda salvezza del genere umano, specie delle anime sacerdotali senza le quali la salvezza di molti è impossibile. Mi sostituisco Io ai pulpiti vuoti o suonanti parole senza vita vera. Ma pochi sono coloro che sono degni di capirmi. Pochi anche fra i miei ministri.”

Una realtà oggi tanto più evidente, quando tanta parte del clero è più occupata a piacere al mondo che a convertirlo. L’efficacia del tesoro valtortiano è attestata dalle conversioni che ha suscitato e dal terrore dei demoni, quando durante un esorcismo il posseduto viene toccato da un volume della Valtorta: questa è la prova regina, al di là delle pur numerosissime e schiaccianti prove scientifiche di natura astronomica, geologica, geografica, storica e archeologica.

(continua)


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