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LA GRAMAGLIADE

ovvero

EPOPEA DI UNO SPIRITISTA NEMICO DI MARIA VALTORTA

 

CAPITOLO QUARTO

BESTEMMIE SUL GESÙ STORICO

Ottava puntata

Il trionfo dell’ignoranza gramagliesca

c. Trionfo dell’ignoranza geografica e storica

Aveva appena finito di leggere e commentare quanto sopra, e l’aspirante psichiatra, nonché aiuto barbiere, è crollato. Quando ha ripreso conoscenza, ha bisbigliato con un fil di voce di non poter più resistere di fronte “alla più viscida marmellata di pagliacciate che mai gli fosse capitato di leggere”. Ha detto inoltre che partiva per una tranquilla crociera rilassante, a vela e da solo, intorno al Capo Horn, per riprendersi dallo shock.

Per fortuna un mio caro amico si è prontamente offerto di rimpiazzarlo. Si tratta di un geografo di cospicua competenza anche in campo naturalistico, notevole per stazza fisica e saldezza di nervi, con tre lauree, abituato come ogni buon accademico a fare a cazzotti coi colleghi antipatici ai congressi e ai concorsi. Dimenticavo: una volta ha catturato una vipera a mani nude, quindi è in grado, si spera, di affrontare perfino la lettura di un libro gramagliesco.

Siccome è uno spirito caustico, al quale piace molto la satira, gli ho vivamente raccomandato di essere rispettoso del grande erudito tuttologo che io, nonostante qualche divergenza, rispetto e ammiro moltissimo. Ha promesso che farà quel che potrà. D’altronde, io ho perso venti chili per la lussureggiante crescita tropicale della barba che ha dovuto essere tagliata anche con la falciatrice automatica, e non quindi le forze per occuparmi dell’interessantissimo capolavoro gramagliesco. Ecco quindi una selezione di significativi brani del capolavoro con relativi commenti professionali dell’amico geografo.

“Molti elementi delle scenografie palestinesi sono assolutamente inventati da una fantasia fabulatrice a volte persino ossessiva e malata nella ricerca dei particolari.” (p. 154).

Commento: la Valtorta non era minimamente interessata ai particolari “scenografici”: li metteva su ordine del Gesù in previsione delle obiezioni dei dottori difficili. A un certo punto, visto che i dottori difficili e idolatri di se stessi continuavano a storcere il naso, le disse di tralasciare questi particolari. Tanto era inutile. Ma naturalmente il Divino Maestro, nella “scientifica” visione del PAG non è che un povero Cristo schizofrenico. Vuoi mettere invece l’Iscariota, così simpatico e sadicamente calunniato?

“Il 12 luglio 1945 la Valtorta riconobbe che le visioni panoramiche nascevano spesso dalla nostalgia di spettacoli della natura, visti da ragazza e non più accessibili dopo la malattia.” (ibid.).

Nell’Evangelo, alla data indicata si trova il Cap. 216, e neppure leggendolo con la lente d’ingrandimento si trova una simile ammissione. La veggente si limita a dire che vede la bellezza dell’universo tramite le visioni e nei ricordi di ciò che vide un tempo: due fatti separati e indipendenti. Non dice affatto che i ricordi provochino le visioni. Abbiamo tentato una piccola forzatura, eh! illuminato? Ma le bugie hanno le gambe corte.

“Comunque, nel grande romanzo evangelico della Valtorta [i paesaggi] sono assolutamente italiani e niente affatto palestinesi del tempo di Gesù.” (ibid.).

E se prima non fosse già cascato ad ogni pagina, qui cascherebbe disastrosamente l’asino. Qui lo volevo, proprio nel mio campo. Le somiglianze geomorfologiche e climatiche con l’Italia sono tali da rendere inevitabili forti somiglianze nei paesaggi e nei generi di vita.

Quella mediterranea è una regione naturale, caratterizzata da un bacino oceanico a regime di tettonica compressiva, da cui derivano spinte orogenetiche con relativo innalzamento di catene montuose. Non deve affatto stupire, quindi, se i paesaggi della penisola italiana e della Terrasanta appaiono simili. Solo al margine orientale della Palestina lo stile tettonico cambia, diventando distensivo, con la fossa tettonica del Giordano che continua a sud nel golfo di Aqaba, nel Mar Rosso e fino alla gigantesca fossa tettonica dei laghi africani. Sebbene digiuna di geologia, la Valtorta fornisce descrizioni perfettamente compatibili con i dati scientifici.

La regione mediterranea ha un suo clima peculiare, detto appunto mediterraneo, e individuato dai biogeografi come il “clima dell’ulivo”. Dunque è forse strano se l’ulivo abbonda sia in Liguria e nell’Italia centro-meridionale che in Palestina? Se in entrambi i paesi vi sono pecore, formaggi, vino, cereali? Se sono state costruite, sia in Italia che in Palestina, recinzioni nei campi per delimitare le proprietà e impedire al bestiame di pascolarvi? Non dimentichiamo che gli studiosi del paesaggio sanno quanto conservativi siano i tracciati dei campi, spesso risalenti all’età del bronzo, quando non siano stati segnati dalla centuriazione romana o sconvolti dall’agricoltura meccanizzata moderna. E che c’è di strano se la Valtorta ogni tanto fa confronti fra i paesaggi italiani che ha visto prima che la paralisi alle gambe la inchiodasse al letto, e quelli che contemplava nelle visioni?

Ma queste semplici domande di buon senso non toccano il tuttologo cuneese, il quale si esibisce nella solita alluvionale nota (pp. 154-156), nella quale elenca una lunghissima serie di dettagli paesaggistici, dando ingenuamente per scontato che la semplice somiglianza con l’Italia dimostri ipso facto che la Valtorta, nel descrivere la Terrasanta avrebbe semplicemente “copiato” l’Italia, il tutto senza la minima prova e sempre proclamato con la granitica certezza esteriore che caratterizza le menti instabili. Spigolando qua e là tra il diluvio di sciocchezze, troviamo che il PAG si meraviglia se in Palestina si costruivano pergole, se sulle alture di Giudea cadeva la neve, se c’erano delle siepi, dei cancelli e dei campanelli, come se in Palestina non fossero capaci di fare una siepe e di lavorare i metalli, se l’albergo di Betlemme possedeva uno stallaggio, se le mura intorno a Gerusalemme erano merlate, se c’erano valli, boschi e torrenti, se c’erano strade, se la villa di Lazzaro era dotata di parco, fontana, muro perimetrale, e di un pesante cancello che il nostro accanito valtortofobo qualifica come made in Italy, se sul lago di Tiberiade si scatenavano temporali, se la villa di Maria di Magdala era di tipo romano (visti gli stretti legami tra la sua famiglia e i romani sarebbe strano piuttosto il contrario), se a volte soffiava vento di tramontana, se certe case avevano le grondaie, se Masada era su un picco, se c’erano cippi stradali, se c’erano spiagge con bambini che giocavano tra le onde, se sulla piazza di Tecua si teneva un mercato che (oh! meraviglia!) assomiglia a un mercato italiano medievale, se lungo il lago di Tiberiade ci sono case povere quasi al lido e barche tirate a secco, se ci sono ulivi sul Monte Oliveto lungo il pendio come in Liguria (cosa si aspettava, che gli ulivi palestinesi recassero la scritta “Made in Palestina, diffidare dalle imitazioni”?), se le case costruite sui rilievi non hanno terrazza ma sono sormontate da cupole ricurve per impedire alle nevi invernali di ristagnarvi.

In compenso a questa lista di banalità pietose, il PAG valtortofobo omette – non si sa perché – alcuni aspetti geografici d’importanza capitale. Anzitutto la descrizione assolutamente corretta del Mar Morto, per il quale non esisteva certo un modello nei paesaggi italiani. La veggente, inchiodata da anni al suo letto di dolore e mai uscita dall’Italia, sa distinguere con esattezza le due rive: quella occidentale col suo piccolo spiazzo pianeggiante, e quella orientale con i monti a picco, o quasi, sul bacino lacustre, evidente prova dell’asimmetria della spinta tettonica distensiva.

In secondo luogo vi è il caso assolutamente straordinario del calcare di Ramot, un centro della Giordania che coincide con l’attuale Es-Sait. Si tratta di un calcare più unico che raro, che imita il granito. Questo ha un aspetto tutt’altro che omogeneo, del tutto diverso dal normale calcare. Ora, è estremamente improbabile che il semplice calcare possa assomigliare a un granito. L’origine dei due tipi di rocce è del tutto diversa: il granito è una roccia ignea intrusiva, formatasi per solidificazione di magma ad alto contenuto di silice (biossido di silicio); il calcare è una roccia sedimentaria che ha origine per deposizione e cementazione naturale di carbonato di calcio, il quale può avere origine clastica (cioè per frantumazione di una roccia preesistente), organogena (per accumulo di scheletri calcarei di animali marini) o idrotermali (per deposizione da soluzioni calcaree in acque termali). Il granito deriva il nome dall’aspetto granulare, dato dalla mescolanza dei molti tipi di minerali cristallizzati (ortoclasio, quarzo e miche come biotite e muscovite) che lo compongono. Il calcare normalmente è omogeneo e non ha affatto aspetto granulare; inoltre si presenta in strati e banchi di vario spessore. Le rocce ignee intrusive come il granito, invece, oltre che in banchi possono presentarsi in filoni e dicchi (formazioni lamellari), che si formano per intrusione di magma liquido sotto pressione in rocce preesistenti. Le rocce sedimentarie come il calcare non possono intrudersi in modo massiccio in rocce preesistenti, e quindi non formano dicchi. Bene, il calcare di Ramot, oltre ad avere l’aspetto del granito, ne imita pure l’aspetto a dicco. Si tratta perciò di un caso più unico che raro, che ingannerebbe chiunque eccetto un esperto geologo. La Valtorta, che non era un geologo e giudicava solo da quanto le appariva nelle visioni, disse senz’altro, come avrebbe fatto qualunque osservatore non professionista, che Ramot era costruita sul granito. Come poteva sapere di questa eccezionale formazione rocciosa allora nota in Italia solo al geologo Vittorio Tredici che aveva compiuto lavoro sul terreno in Giordania? E come mai il PAG passa sotto silenzio questo fatto straordinario che cozza contro la sua affermazione che la veggente si sarebbe limitata a descrivere paesaggi che aveva visto in Italia?

Analogamente il PAG passa sotto silenzio gli straordinari coccodrilli nani del fiume Nahal Tainnim, che alimentava l’acquedotto di Cesarea Marittima. Questi rettili, intensamente cacciati, finirono per estinguersi nel sec. XIX, ma la Valtorta li vide quando ancora infestavano la zona. Ecco qualcos’altro che in Italia non c’è mai stato, a meno che il PAG, nella sua spumeggiante fantasia fabulatrice, non li abbia visti nella Provincia Granda: chissà, in una provincia così “granda” potrebbero esserci cose straordinarie che mancano nelle meno fortunate province “piccole”?

(continua)


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