I MANEGGI PER MARITARE UNA BARONESSINA
Atto unico
Questo atto unico è parte di un volume ancora inedito (ma uscirà, oh se uscirà), a firma dei perfidi Trigotti (autore principale Maria Antonietta, coautore Emilio), dal titolo LA SCIENZA DI BLATERONTE (spiegata al popolo). Va detto che è stato rappresentato con successo al Teatro della Gioventù di Genova poco prima che i comunisti (pardon, i “democratici”) si impadronissero del teatro e lo mandassero in fallimento in brevissimo tempo.
Chiedendo scusa a Nicolò Bacigalupo e a Gilberto Govi per l’intrusione, vorremmo osservare che la somiglianza alla celebre commedia non si spinge al di là del titolo, dato che il mondo qui rappresentato è di gran lunga più perfido. La ragazza da maritare, infatti, non è una squinzia qualunque ma la figlia di un barone universitario, e come tale — che abbia meriti o demeriti personali, grazie fisiche o disgrazie metafisiche, poco importa — fa pur sempre parte, per diritto familiare ed ereditario, della casta. Se il padre è barone, la figlia è baronessina e, sebbene racchia e del tutto priva di spirito, non mancherà ugualmente di trovare prima o poi l’incosciente disperato che se la sposa.
Personaggi:
POMPONIO Blateronte, importante barone universitario, grasso, grosso, greve, autoritario;
TERÉDINE Blateronte, sua moglie, grassa, grossa, greve, pronta al litigio, goffamente vestita a modo di sacco mal riempito, simile a una palla;
GENOVEFFA Blateronte, figlia di Pomponio, somigliante ai genitori, malvestita come la madre, e come lei fatta a palla, baronessina per meriti di papà, ansiosa di provare le gioie di Imene;
Tommaso INDELICATO, aspirante ad entrare nella corporazione accademica, presunto pretendente involontario di Genoveffa;
Strapunzio MITRAGLIA, altro aspirante accademico e presunto pretendente involontario di Genoveffa, tipo che va per le spicce;
Arcaino ANTICAGLIA, terzo aspirante accademico e presunto pretendente involontario di Genoveffa, ragazzo goffo, dal parlare arcaico e poco intelligente;
Arrivista TUTTICOSTI, marchesa Orchidea Padella Del Forno, aspirante baronessa universitaria, detta anche “la marchesa dei panduri”;
CESIRA, “colf” in politicamente corretto, “cameriera” o “serva” per la gente normale.
La scena è nel pretenzioso salotto della casa del professor Pomponio Blateronte a Pratospocchioso, sede dell’omonima prestigiosa università. Adiacente vi è la sala d’ingresso che non si vede, ma dalla quale occasionalmente giungono voci e rumori.
Scena prima: TERÉDINE e POMPONIO.
TERÉDINE — Ma funzionerà?
POMPONIO — Se ne sta occupando l’amica del barone Cocco. Io non so più a che santo votarmi.
TERÉDINE — Ah sì, ho sentito dalla moglie di Viperini che Cocco se la intende con una poco di buono, pronta a tutto per arrivare alla baronia.
POMPONIO — Viperini è come Cocco. Anche lui non disdegna di “aiutare” qualche aspirante ben carrozzata.
TERÉDINE — Solo che la moglie lo sorveglia, e sa sempre tutto di tutti, mentre la moglie di Cocco dorme, o soffre di miopia acuta, e gli lascia fare tutto quello che vuole.
POMPONIO — O non le importa niente del marito o si è trovata qualcun altro anche lei.
TERÉDINE — Ecco il bello dei congressi. Le mogli seguono i mariti, e mentre voi vi scambiate la “scienza”, noi scambiamo pettegolezzi.
POMPONIO — (ironico) Scienza…
TERÉDINE — Be’, vi raccontate gli ultimi studi o gli ultimi viaggi che avete fatto…
POMPONIO — Sono anche ottime occasioni per far incontrare baronessine e giovani di belle speranze che vogliono far carriera, ma purtroppo per nostra figlia non ha funzionato.
TERÉDINE — Non è mica colpa mia.
POMPONIO — Non ho detto questo.
TERÉDINE — Ma l’hai detto con intenzione.
POMPONIO — Ma no, ma no…
TERÉDINE — Insomma, adesso cosa speri di ottenere attraverso quella poco di buono che ha riposto tutte le sue speranze nel letto del barone Cocco?
POMPONIO — Sta coordinando un progetto di ricerca. È riuscita a convocare qui da noi tre giovani che potrebbero partecipare. Così, per caso, avranno occasione di incontrare la nostra baronessina.
TERÉDINE — Ma affidarsi a una mezzana…
POMPONIO — (con baronalburbanza) Tutti i mezzi, le mezzane e i mezzanini sono buoni se funzionano. Bisogna creare occasioni e qui in casa del barone, sai com’è… la soggezione… può darsi che…
TERÉDINE — Non mi piace lo stesso.
POMPONIO — A me nemmeno, ma…
TERÉDINE — Ma come si chiama questa trafficona?
POMPONIO — È una certa Arrivista Tutticosti, marchesa Orchidea Padella Del Forno.
TERÉDINE — È pure nobile?
POMPONIO — Di nome sì. Ma la chiamano anche “la marchesa dei panduri”.
TERÉDINE — E che si fa coi panduri? Se magnano?
POMPONIO — (sussiegoso) Ma, ma, ma… La cultura anzitutto… I panduri erano soldati di fanteria, per lo più croati, al servizio dell’Impero asburgico, e la marchesa è così appellata perché, dicono i maligni, che ne abbia passato “in rassegna”, si fa per dire, un intero un reggimento.
TERÉDINE — (profondamente ammirata dalla cultura del coniuge) Aaah!
POMPONIO — Scientificamente non vale una cicca, questa marchesa Orchidea Padella Del Forno, ma si ingegna a fare piccoli servigi… Prima o poi riuscirà a ottenere quello che vuole. Mi ha detto che uno dei giovani che porterà qui è Tommaso Indelicato, ma io so che su quello aveva delle mire lei stessa. Evidentemente è pronta a sacrificarlo.
TERÉDINE — Non mi piace per niente che una del genere si occupi di nostra figlia.
POMPONIO — E tu cosa faresti? L’ultimo pretendente involontario che hai fatto incontrare alla nostra Genoveffina si è arruolato nella Legione Straniera.
TERÉDINE — E dire che per docile era docile, ci portava perfino a passeggio il cane.
POMPONIO — (solenne) Ma tanto non era scientificamente valido. Gli mancava la stoffa del vero scienziato.
TERÉDINE — Chi se ne frega del valido o non valido? Lo sanno tutti che sistemate cani e porci, con cattedre, cattedrine e sgabelli da ricercatore, mentre quelli intelligenti vi danno fastidio e li fate scappare all’estero…
POMPONIO — Non mettertici anche tu adesso.
TERÉDINE — … mentre leccaculo e puttane fanno carriera…
(Alla porta di casa suona il campanello.)
POMPONIO — Zitta, zitta, dev’essere lei. Lasciamo che sia la serva ad aprirle. Non bisogna dare troppa confidenza agli inferiori.
TERÉDINE — (in tono di crescente impazienza) Cesira… Ceesiraaa… Ceeesiiraaaa… Ceeeeesiiiraaaaaa…
Scena seconda: CESIRA e detti.
CESIRA — (con uno strofinaccio in mano) Vengo, vengo, signo’.
TERÉDINE — Siete sorda? Andate un po’ a aprire.
CESIRA — Stavo a sfruscia’ i lampieri, signo’.
TERÉDINE — Lasciate perdere i lampie… i lampadari. Non sentite che suonano?
CESIRA — Vado, vado, signo’.
TERÉDINE — E non ci andrete mica con lo strofinaccio in mano…
CESIRA — Ce lo poso subito, signo’.
TERÉDINE — (crescente irritazione) Non qui in salotto. Cosa fate?
CESIRA — (cercando di nascondere lo strofinaccio, se lo mette al collo, a mo’ di foulard) Subito, subito, signo’. Me sto a insamarì.
TERÉDINE — (irritata) E passate di là, non dal salotto.
CESIRA — Vado, vado, signo’. (a parte) Sempre bumburiosa la barona… (esce)
(Dall’ingresso, che è invisibile, rumore di chiavistelli, di porta aperta e richiusa, di persona che entra.)
Scena terza: TUTTICOSTI, TERÉDINE e POMPONIO.
TUTTICOSTI — (untuosa e strisciante come una vecchia ruffiana) Prooofeeessoooreee, che piaceeere… Siiiignoooraaa, i miei rispettiiiii…
(Pomponio risponde con un aristocratico cenno del capo. Terédine emette un lieve grugnito.)
TERÉDINE — Bgrr…
TUTTICOSTI — Precedo di poco i tre giovani che lei mi ha indicato come scientificamente più promettenti per il nostro progetto. Il suo giudizio, prooofeeessoooreeeee, come sempreeeeee…
POMPONIO — Va bene, va bene. Resti nei paraggi, se mai dopo parleremo.
TUTTICOSTI — Certo, certo, professore. Come vuooooole, professooooreeee. (esce)
Scena quarta: POMPONIO e TERÉDINE.
POMPONIO — E le doti del genero?
TERÉDINE — Quali doti?
POMPONIO — Del genero.
TERÉDINE — Che genero?
POMPONIO — Del prescelto.
TERÉDINE — (seccata) Cosa vuoi prescegliere? Saremo fortunati se troveremo uno straccio di marito qualunque.
POMPONIO — Ma no, ma no. Troveremo qualcuno in gamba per la nostra Genoveffuccia. Come te lo immagini? Anzitutto è meglio che sia docile, perché così andremo sempre d’accordo.
TERÉDINE — Sì, e robusto, sano, di bella presenza, magari con una certa propensione allo studio per soprammercato.
POMPONIO — E deve piacere a nostra figlia.
TERÉDINE — A nostra figlia? Temo che a nostra figlia piacerebbe anche un manico di scopa, se fosse disposto a sposarla.
POMPONIO — Esageri.
TERÉDINE — La conosco, so com’è, so cosa pensa. Tu non capisci noi povere donne assetate di…
POMPONIO — Lasciamo perdere. Fra un po’ mi diventi femminista.
(Suonano alla porta, rumore di passi della cameriera che va aprire la porta, rumore di porta che si apre e di persona che entra.)
TERÉDINE — Questo dev’essere il primo candidato.
POMPONIO — Fa in modo che Genoveffina venga qui, senza dirle che c’è un giovanotto.
TERÉDINE — Naturale.
POMPONIO — Speriamo bene.
(I due escono frettolosamente da una porta. Un attimo dopo entra da un’altra porta il giovane Tommaso Indelicato.)
Scena quinta: INDELICATO, solo.
INDELICATO — Non dovevo venirci qui. Se non avesse insistito tanto quell’impiastro della Tutticosti… Mi comincia a diventare fieramente antipatica, con tutte quelle smancerie. Ho paura che si sia fatta delle idee… Mah… quando non si è ancora arrivati bisogna adattarsi. Anche quando si hanno già due lauree e la cattedra al liceo. Ma… adattarsi un corno… ci sono dei limiti… Però… dev’esserci qualcosa sotto… che mi abbiano fatto venire qui per incontrare quella spaventosa figlia? L’ho intravista una volta mentre stavano cercando di appiopparla a un disgraziato durante l’escursione dell’anno scorso. Puah, se fosse potabile, nemmeno in cartolina l’avrebbero fatta vedere a quel poveretto. E nemmeno in cartolina la farebbero vedere a me. Ma piuttosto che far carriera a questo modo preferisco restare al liceo. Speriamo proprio che non ci sia, quella specie di palla gonfiata… La madre deve averla fatta con l’omino Michelin… Ma anche il potente barone fa pena… Le miserie del potere: essere baroni, essere “arrivati”, avere potere non rende più belli, non distrugge i mali della vita. Se non ci fosse un’esistenza migliore, non varrebbe proprio la pena di vivere questa.
Scena sesta: GENOVEFFA e detto.
INDELICATO — (fra sé) Ohimemmì, incubo peggiore in avvicinamento a ore dieci in rotta di collisione…
GENOVEFFA — (cercando di scodinzolare) Oh, scuuuusi, non sapevo…
INDELICATO — Be’, anch’io non immaginavo…
GENOVEFFA — (con moine da ippopotamo) È venuto a parlare col mio papi?
INDELICATO — (a parte) Parla come una subnormale. (forte) L’Arrivista Tutticosti, marchesa Orchidea Padella Del Forno mi ha detto che il suo… suo padre forse mi avrebbe proposto una collaborazione.
GENOVEFFA — L’Arrivista chi?
INDELICATO — La chiamiamo così perché ci tiene a far sapere che un’aristocratica.
GENOVEFFA — (ridendo sgangheratamente) Ah, ah, ah, ah, ah… È un nome buffissimo.
INDELICATO — Veramente a lei basterebbe “signora marchesa”, ma la gente maligna come noi carica la dose per prenderla in giro.
GENOVEFFA — (sganasciandosi dalle risate) Ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah…
(Improvviso silenzio di tomba. Indelicato guarda nervosamente l’orologio.)
GENOVEFFA — (avvicinandosi con mosse vezzose da ippopotamo) Mi piace andare al cinema. Ma mica da sola. A lei… a te… piace andare al cinema?
INDELICATO — Io non vado mai al cinema.
GENOVEFFA — (grande delusione) Oh…
INDELICATO — Anzi, proprio in questo momento mi sono ricordato di avere un impegno urgentissimo nel liceo dove insegno. Mi scusi tanto con suo padre. I miei rispetti. (esce rapidamente)
Scena settima: GENOVEFFA, sola.
GENOVEFFA — (piagnucolosa) Ma perché non si è fermato, quel bel giovanotto? Scappano tutti… Eppure sono bella… come la mamma… Non è giusto, ecco…
Scena ottava: POMPONIO e detta.
POMPONIO — Cosa? come? È già andato via?
GENOVEFFA — (trattenendo una lacrima) Aveva un impegno, ha detto… così ha detto…
POMPONIO — Ma come? senza nemmeno aspettare me?
GENOVEFFA — Ma… ma tanto era brutto… (si avvia all’uscita)
POMPONIO — Dove vai?
GENOVEFFA — … brutto… (esce)
(Esce mentre entra la madre Terédine.)
Scena nona: TERÉDINE e POMPONIO.
TERÉDINE — E così?
POMPONIO — È andata buca.
TERÉDINE — Come al solito.
POMPONIO — La bambina c’è rimasta male.
TERÉDINE — Come al solito.
POMPONIO — Ma non importa, era un ragazzo scientificamente impreparato.
TERÉDINE — (ironica) Davvero? Allora non è il caso di “abbaccarsi”, come dice Cesira.
POMPONIO — Sono tutti impreparati. Non valgono niente. Ma ce ne sarà uno prima o poi.
TERÉDINE — (improvviso accesso di acidità repressa) Ma voi uomini non sapete niente di queste cose. Non sapete far niente.
POMPONIO — Esageri.
TERÉDINE — Non sai dire altro? Le combino io un incontro col giovane Strapirio, figlio della mia amica Godzilla.
POMPONIO — Ma è un contadino ignorante…
TERÉDINE — Come se nostra figlia avesse la laurea…
POMPONIO — A cosa vuoi che serva la laurea?
TERÉDINE — Se non lo sai tu che le distribuisci, le lauree…
POMPONIO — Volevo dire che cosa serve a una ragazza da marito…
TERÉDINE — L’hanno bocciata due volte in prima liceo e non è più andata avanti.
POMPONIO — Ma se quello Strapirio avrà cinquant’anni…
TERÉDINE — Ma no, neanche quarantacinque.
POMPONIO — E nostra figlia ha già trentasei anni e non è proprio da concorso di bellezza.
TERÉDINE — Lo credo bene, somiglia a te.
POMPONIO — Somiglia a me? E cosa sono io, il mostro di Loch Ness? Allora perché ti sei degnata di concedermi la tua mano?
TERÉDINE — Perché la tua era l’unica che sono riuscita ad acchiappare.
(Suonano alla porta.)
TERÉDINE — (tono impaziente) Ceesiraaa… Ceeesiiraaaaaaaa…
(Rumore di vetri infranti.)
TERÉDINE — (tono di allarme rosso) Ceeeesiiiiiiiiiraaaaaaaa… cosa succede?
VOCE DI CESIRA — (fuori scena, tono di spiegazione cantilenante) I boccaccetti, signo’… stavo a puliziarli e a scasarli… Non stavano infrancati… Per poco mi avessi roncata la faccia…
TERÉDINE — (tono impaziente) Ceesiraaaa… lasci perdere i barattoli dove sono e vada a aprire. Non sente che suonano?
VOCE DI CESIRA — (fuori scena) Li stavo a scasarli perché non sono mica sciupessa: che niente niente potessero ancora servire.
TERÉDINE — A cosa volete che servano se li scarafasciate?
POMPONIO — Ti metti a parlare come la serva, adesso?
TERÉDINE — (con un gesto di stizza verso il baronalmarito) Chi va con lo zoppo…
VOCE DI CESIRA — Pazienza, signo’, non mi sto ancora disimpaciocchita.
TERÉDINE — Ma ci andate a aprire o ci devo andare io?
VOCE DI CESIRA — Sempre di corvetta mi tocca stare…
POMPONIO — Sì, e di fregata e di cacciatorpediniere…
TERÉDINE — Ma Ceeesiiiraaaaa…
VOCE DI CESIRA — Vado, vado, signo’.
TERÉDINE — (sospirando) Non ci sono più le schiave domestiche di una volta.
POMPONIO — (sospirando) Non ci sono più gli schiavi universitari di una volta.
(Rumori di porta aperta e di persona che entra nell’ingresso.)
Scena decima: TUTTICOSTI e detti.
TUTTICOSTI — (entrando imbarazzata, come se camminasse sulle uova) Proooofeeessoreeee… ho incontrato Indelicato che filava come un treno. È successo qualcosa, se posso chiedere?
POMPONIO — Niente, niente, è un maleducato. Non ha avuto la pazienza di aspettare cinque minuti che fossi pronto a riceverlo. Ma se la può scordare la carriera, quello lì. Sono o non sono il barone?
TUTTICOSTI — Ah, sì, sì… l’aveva detto dal principio che non valeva niente. Lei non sbaglia mai, professore.
POMPONIO — (severo) Non svioliniamo troppo, per favore. Cosa mi dice degli altri due che devono venire a conferire sul nostro progetto scientifico?
TUTTICOSTI — Lei li conosce bene, professore.
POMPONIO — Volevo solo la sua opinione.
TUTTICOSTI — Strapunzio Mitraglia e Arcaino Anticaglia?
POMPONIO — (con impazienza) Ma certo, chi altri?
TUTTICOSTI — Ma…
POMPONIO — È tutto il materiale umano che abbiamo.
TUTTICOSTI — Io preferirei Mitraglia. Anticaglia mi sembra un po’… antiquato.
POMPONIO — Be’, be’, be’, vedremo.
(Suona il campanello.)
TERÉDINE — (tono impaziente) Ceesiiiiraa… Ceesiiiiiraaaaaa…
(Rumore di tuono. Comincia a piovere.)
VOCE DI CESIRA — (da dentro) Vado, vado, signo’.
(Silenzio, mentre la pioggia infittisce.)
TERÉDINE — (tono molto impaziente) Ceesiiiiiraaa… Ceeesiiiiiiraaaaaaaa… si muova un po’.
VOCE DI CESIRA — (da dentro) Un poco di pazienzosa, sto colle mani a bagno in mezzo a una scarafascia di roba…
TERÉDINE — (tono di pazienza in esaurimento) Ma Ceeesiiiiiiraaaaa… la portaaaaa…
POMPONIO — Bisogna far venire la bambina.
TERÉDINE — Poi dobbiamo continuare il discorso. Ceeesiiiiiiiiraaaaaa…
POMPONIO — Sì, sì, dopo…
(Finalmente rumore di serva che va ad aprire e di persona che entra nell’ingresso, non visibile, dell’appartamento. Pomponio esce, e ad un suo cenno imperioso Terédine e Tutticosti lo seguono. La scena resta momentaneamente vuota. Subito dopo entra Strapunzio Mitraglia.)
Scena undicesima: MITRAGLIA, solo.
(Tuono. Continua a piovere.)
MITRAGLIA — Anche il tempo ci si mette. Già è una bella seccatura dover venire qui. Io ho molte riserve su questo piano di ricerca. È più nebbioso di Milano a novembre. Il barone deve aver in mente qualcosa. Ma io cambio mestiere, se mi gira.
Scena dodicesima: GENOVEFFA e detto.
(Continua a piovere.)
GENOVEFFA — (a parte, evidentemente colpita dai dardi di Cupido) Oh… che bel ragazzo…
MITRAGLIA — (a parte) Misericordia, e questa chi è? anzi, cos’è?
GENOVEFFA — (avvicinandosi a Mitraglia centimetro per centimetro) Scusate, passavo per caso. Anzi, scusa… cercavi il mio papi?
MITRAGLIA — (arretrando spaventato) E chi è il tuo papi? (a parte) Sarà figlia di un tricheco… o di un quadricheco…
GENOVEFFA — (continuando ad avvicinarsi) Non ci siamo visti all’ultima escursione interuniversitaria?
MITRAGLIA — (continuando a ritirarsi) Non ci sono andato.
GENOVEFFA — (continuando ad avvicinarsi) Il mio papi è il barone. Tu ci vai mai a ballare? È un po’ che non vado a ballare.
MITRAGLIA — (continuando a ritirarsi) No, me l’ha proibito il medico da quando ho avuto il morbillo.
GENOVEFFA — (con dolce preoccupazione) Hai avuto il morbillo?
MITRAGLIA — Sì, e anche gli orecchioni.
GENOVEFFA — (con aria sognante da perfetta deficiente) Io la tosse asinina.
MITRAGLIA — Si vede.
GENOVEFFA — (sognante) Cosa si vede?
MITRAGLIA — (guadagnando la porta) Siamo troppo infettivi. Meglio che non restiamo nella stessa stanza. Buona giornata. Piove e sono senza ombrello, ma pazienza. (esce)
Scena tredicesima: TERÉDINE e GENOVEFFA.
(Mentre Mitraglia esce, dalla parte opposta entra Terédine. Scrosci di pioggia sempre più violenti.)
GENOVEFFA — Ma… ma… (scoppia a piangere)
TERÉDINE — Figlioletta mia, che succede? (la abbraccia)
GENOVEFFA — Se n’è andato… snif…
TERÉDINE — Lo vedo.
GENOVEFFA — Perché se n’è andato?
TERÉDINE — Forse aveva un impegno…
GENOVEFFA — Ha detto che eravamo troppo infettivi… Cosa vuol dire, mami?
TERÉDINE — (alzando gli occhi al cielo) O santo cielo…
Scena quattordicesima: POMPONIO e dette.
(Violento tuono. Pioggia torrenziale.)
POMPONIO — Anche questo…?
TERÉDINE — Anche questo.
POMPONIO — (depresso) Ai miei tempi mai e poi mai mi sarei sognato di disertare un appuntamento baronale. A che serve ormai essere barone?
TERÉDINE — Comincio a domandarmelo anch’io.
POMPONIO — (con rabbia impotente) Non lo sa quello là quanti avrebbero voluto essere al suo posto? Eh, non lo sa il disgraziato?
TERÉDINE — Evidentemente no.
POMPONIO — Ma già, io l’avevo visto subito che non era all’altezza. Gli manca… gli manca…
TERÉDINE — (ironica) … la stoffa per essere un buon scienziato.
POMPONIO — Ecco, appunto.
Scena quindicesima: TUTTICOSTI e detti.
(Fulmini e tuoni. Pioggia catastrofica.)
TUTTICOSTI — Ho sentito tutto. Sono costernata.
POMPONIO — Si costerni pure. Anche questo è andato.
TUTTICOSTI — Ma tanto…
TERÉDINE — (leggermente canzonatoria) … gli manca la stoffa.
GENOVEFFA — (piangendo) A me piaceva, con o senza stoffa.
POMPONIO — Ma ce ne saranno altri, non ti disperare.
GENOVEFFA — Non voglio più vedere nessuno… (esce piangendo)
TERÉDINE — Genoveffa… (esce seguendola)
TUTTICOSTI — Con permesso, proooofeeessoooore, io… (esce)
POMPONIO — Sì, sì, vada, vada…
Scena sedicesima: POMPONIO solo, poi voci di ANTICAGLIA e di CESIRA.
(Diluvio, fulmini, saette e tuoni. Pomponio tace e si prende la testa fra le mani. Improvvisi rumori attraggono la sua attenzione: suonano alla porta. Cesira, senza passare per la scena, ossia per il salotto, va ad aprire, questa volta senza essere sollecitata. Rumori di chiavistello, di persona che entra e di porta che si richiude. Si sente un dialogo fuori scena tra la serva e il nuovo venuto Arcaino Anticaglia.)
VOCE DI ANTICAGLIA — È questa la magione del professor Blateronte?
VOCE DI CESIRA — Chi? cosa? Ah, sì, o professore qui abita.
VOCE DI ANTICAGLIA — C’è il professore?
VOCE DI CESIRA — Sì, sì, c’è o professore, a signora e a figlia. Ma voi state tutto bagnato. Fuori è frigo e viene giù acqua gelosa. Che non ci aveste l’imbrello?
VOCE DI ANTICAGLIA — Che cosa? Ah, no. Non l’ho preso. Giove Pluvio non si era ancora sfogato quando sono uscito di casa.
VOCE DI CESIRA — Questo Pluvio dev’essere poco pazienzoso.
POMPONIO — (chiamando ad alta voce) Venga, venga, Anticaglia, sono qui in salotto.
Scena diciassettesima: ANTICAGLIA e POMPONIO.
(Continua il diluvio. Entra Arcaino Anticaglia, grondante acqua, giovane ma vestito in modo del tutto superato e ridicolo.)
ANTICAGLIA — (cerimoniosissimo) Riverisco, professore.
POMPONIO — Salute a lei. Si accomodi.
ANTICAGLIA — Le sono assai grato.
POMPONIO — Lei avrà certamente riflettuto sul progetto di ricerca che ho accennato a lei e ad alcuni altri suoi colleghi che forse non stavano abbastanza attenti. Lei, invece, mi è parso… più… interessato…
ANTICAGLIA — (con slancio) Ho trovato il suo disegno della ricerca sulla geografia delle pantegane veramente ispirato.
POMPONIO — Lei preferisce attenersi a un approccio idiografico o nomotetico?
ANTICAGLIA — Parrebbemi che l’approccio idiografico sia irrinunciabile, sebbene occasionalmente rafforzato da una qualche modellizzazione nomotetica.
POMPONIO — Eh, sì, siamo tutti degli idiografi.
ANTICAGLIA — Credo che l’essenza discorsiva delle pantegane si sostanzi infatti in un vissuto sotterraneo filtrato attraverso una mediazione necessaria fra attori ed ambiente complessificato.
POMPONIO — Ecco, sì, proprio così. Bene, bene…
ANTICAGLIA — Non ho fatto che seguire le sue lezioni, professore.
POMPONIO — (riacquistando un po’ della solita burbanza baronale) Penso che potremo procedere. Per questa ricerca ci è stato elargito un finanziamento di ventitré baiocchi, tratti dai sudati risparmi dei contribuenti, ma mi pare che siamo sulla strada per produrre risultati scientifici di indubbia utilità per l’Istituzione universitaria, la patria, il mondo.
ANTICAGLIA — Magnifico, professore. Sono orgoglioso di contribuire.
POMPONIO — Da quando è laureato, giovanotto?
ANTICAGLIA — Da tre anni, professore, da tre anni.
POMPONIO — Se tutto andrà bene, nella nostra ricerca e in altre cose, soprattutto in altre cose, potrebbero esserci presto interessanti novità per lei, giovanotto. Stiamo per ottenere un posto da ricercatore e lei potrebbe partecipare al concorso, quando si terrà. Frattanto, non esiti a cercarmi, anche qui a casa, se dovesse avere dei dubbi, che sarò ben lieto di sciogliere.
ANTICAGLIA — (commosso) Grazie, grazie, professore, grazie, grazie.
POMPONIO — Bene, ora vada pure, ci risentiremo.
ANTICAGLIA — (inchinandosi più volte) Grazie, professore, grazie. Riverisco, professore, grazie, grazie, grazie. (esce inchinato a marcia indietro)
(La tempesta continua. Rumori di porta che si apre, di ciabattare di serva, di citrullo che esce.)
VOCE DI CESIRA — (fuori scena, ad Anticaglia) Signò, stateve bbuono.
VOCE DI ANTICAGLIA — (fuori scena, rivolto alla serva) Riverisco, signora.
Scena diciottesima: TERÉDINE e POMPONIO.
(Lampo e tuono vicinissimo. Pioggia a scatafascio, come direbbe Cesira.)
TERÉDINE — E allora?
POMPONIO — Non abbiamo parlato di nostra figlia, naturalmente.
TERÉDINE — Naturalmente.
POMPONIO — Meglio essere molto cauti, se no scappa anche questo.
TERÉDINE — Naturalmente.
POMPONIO — (con ritrovata baronalburbanza) Abbiamo parlato del progetto di ricerca scientifica che ho “in pectore”, cioè in mente. Poi si vedrà. Mi è sembrato un giovane ammodo, questo, molto motivato, scientificamente valido, forse, anche se di certo non è un’aquila.
TERÉDINE — E ha inondato tutta la stanza.
POMPONIO — Pazienza, la schiava asciugherà.
TERÉDINE — Ci sono speranze?
POMPONIO — Direi di sì. Figurati che dice ancora “riverisco”.
TERÉDINE — (stupita) “Riverisco?”
POMPONIO — Certo, “riverisco”, lo ha detto perfino alla serva. Anche a me è sembrato un po’ strano.
TERÉDINE — Ma allora è scemo.
POMPONIO — Dev’essere figlio di genitori, vecchi, o antiquati, o molto stupidi, che non sono stati capaci di insegnargli a parlare in modo normale.
TERÉDINE — Sì, forse è quello che ci vuole per nostra figlia.
POMPONIO — E se proprio non andasse neanche questo possiamo sempre ripiegare sul figlio della tua amica Godzilla.
TERÉDINE — (lirica, allargando le braccia, in tono “Star Trek”) Godzilla, ultima frontiera, per giungere là dove nessun uomo è mai giunto prima.
Cala la tela, in preda a una violenta colica.
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