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Nella suo studio sulla Sindone, la professoressa Marinelli ripercorre dapprima la storia delle ricerche, iniziata nel 1898 con le foto dell’avvocato Secondo Pia. Le indagini sui pollini compiute dal botanico Max Frei hanno scoperto decine di specie provenienti da tutte le regioni in cui il Sacro Telo si è trovato: di fondamentale importanza la scoperta dello Zygophillum dumosum, che cresce solo a Gerusalemme e in zone finitime. Lo studio dei pollini permette pure di chiarire il rituale della sepoltura, in pieno accordo con le descrizioni storiche delle pratiche funerarie in uso al tempo di Gesù. Pierluigi Baima Bollone ha identificato particelle di aloe e mirra, usate nel trattamento del cadavere, soprattutto nelle zone macchiate di sangue. Di tale sangue, di indubbia origine umana, è stato pure possibile determinare il gruppo, lo AB, che è molto raro ed è lo stesso che si ritrova nei campioni ematici dal miracolo eucaristico di Lanciano e sul sudario di Oviedo, ed è frequente solo tra gli Ebrei “babilonesi” e della Palestina settentrionale.

Nonostante il parere contrario di vari studiosi, la Curia torinese ha voluto sottoporre la Sindone alla prova del radiocarbonio; tale parere contrario era ben motivato: il Telo ha subìto troppe contaminazioni (funghi e batteri che coprono come una patina le fibre del tessuto e non sono eliminabili coi normali metodi di pulizia dei campioni), senza contare i rammendi, ed è stato più volte minacciato da incendi che possono aver causato scambi di isotopi. Nonostante ciò, lo studio al radiocarbonio del Sacro Telo è stato affidato alle “cure” di tre università in ambienti accademici massonici ultralaicisti: a Oxford, a Tucson nell’Arizona, e a Ginevra. I risultati, annunciati con sorrisi di soddisfazione da un orecchio all’altro in una solenne conferenza stampa di fronte alle telecamere di tutto il mondo, attribuivano alla Sindone una data tra il 1260 e il 1390 d.C. Sugli autori dell’“indagine” piovvero lodi sperticate e finanziamenti di milioni di dollari da parte di ben noti circoli massonici. Cominciarono ad apparire, specie nei paesi di lingua inglese, libercoli blasfemi e pieni di insinuazioni, quanto scientificamente nulli, che parlavano di “mafia della Sindone” e di “divino imbroglio”. Il “prestigioso” Museo (massonico) della “Scienza” di Londra allestì una trionfale mostra sulla Sindone, “falso medievale”. Tuttora il museo esibisce un’intera vetrina dedicata alle datazioni al radiocarbonio che porta come unico esempio dei “successi” di tale tecnica, la datazione “medievale” della Sindone, senza alcun accenno ad altre contrastanti datazioni. Un mio tentativo di far osservare, per lettera, alla direzione del museo e al Times, che le norme di comportamento della ricerca scientifica impongono almeno di riferire l’esistenza di datazioni diverse ottenute con altri metodi non ha ottenuto alcuna risposta. Tanto meno il prestigioso museo londinese si è preoccupato di informare i visitatori della scarsissima attendibilità che spesso accompagna le datazioni al radiocarbonio.

Il fatto che i risultati del radiocarbonio fossero in totale contrasto con tutti i risultati delle ricerche precedenti non fu neppure preso in considerazione, come pure nessuno dei tripudianti laicisti riconobbe che il campione di tessuto era stato prelevato proprio nell’angolo più inquinato da impurità e dall’esistenza di un rammendo. Analogamente non si tenne in alcun conto la scarsa attendibilità della datazione al radiocarbonio, che raggiunge livelli esilaranti. Una mummia egizia conservata nel Museo di Manchester ha fornito date con uno scarto di mille anni tra le ossa e le bende, risultate più “giovani”. Aggiungo che una chiocciola deceduta immediatamente prima che la scienza ne prendesse in carico la salma è stata datata a ben cinquemila anni fa. Un corno da bere vichingo, sicuramente antico di circa mille anni, è stato datato nel futuro, all’inizio del terzo millennio.

Metodi alternativi di datazione, basati sulla spettroscopia vibrazionale, sulla degradazione delle catene polimeriche sottoposte a trazione meccanica, hanno dato risultati del tutto compatibili con la datazione del Telo all’epoca di Cristo. Ulteriori analisi potrebbero farsi basandosi sulle alterazioni della cellulosa (depolimerizzazione, carbossilazione, metilazione).

Caratteristica peculiare della Sindone è la presenza di informazioni tridimensionali, ottenute trasformando le diverse intensità dei punti dell’immagine in rilievi verticali di distanza del corpo dal tessuto: ciò ha permesso di ottenere un’immagine tridimensionale proporzionata e senza distorsioni. Niente di simile è stato possibile ottenere da tutti coloro che hanno cercato di ottenere immagini simil-sindoniche per dimostrare la falsità del Sacro Telo: né la teoria della pittura, né quella della camera oscura e del pirografo, né del bassorilievo strofinato o riscaldato, né alcun altro fantasioso tentativo, hanno ottenuto risultati. Appare invece assai promettente l’ipotesi della formazione dell’immagine in seguito ad un intenso lampo di energia.

Nella rivelazione a Maria Valtorta, il Divino Maestro conferma l’autenticità della Sindone e ne spiega l’origine. Nel libro pubblicato insieme al giornalista Saverio Gaeta nel 2013, il Professor Giulio Fanti propone un’interessante correlazione con il “razzo di fuoco” descritto dalla mistica: “Tale meteora potrebbe essere entrata nel sepolcro, per ridare vita al corpo esanime, agendo dall’alto della cavità, secondo quanto ipotizzato dai modelli computerizzati basati sull’effetto corona.” Tramite la stessa veggente, è lo stesso Signore Gesù a fornire la spiegazione circa l’agente chimico più potente nel miracolo sindonico. In seguito alle contusioni feroci, le reni di Lui sono divenute incapaci di filtrare (blocco renale) e l’urea si è accumulata e diffusa nel sangue provocando le atroci sofferenze dell’intossicazione uremica: trasudando dal Cadavere l’urea ha fissato l’impronta sulla tela in modo indelebile (L’Evangelo come mi è stato rivelato, Cap. 613). Le cause della morte furono sicuramente molteplici, e il Divino Maestro indicò alla Valtorta appunto l’intossicazione uremica, ciò che non contrasta, naturalmente, con l’episodio terminale dell’emopericardio che risulta dall’esame della Sindone.

Impossibile, nel breve spazio di una recensione, dar conto di tutte le ulteriori prove sull’autenticità del Sacro Telo. Basti aggiungere che la forte coincidenza del volto sindonico con rappresentazioni artistiche antiche, rilevata mediante la tecnica della sovrapposizione in luce polarizzata, rivela chiaramente che la Sindone era conosciuta fin dal III-IV secolo. La mancanza di rappresentazioni ancor più antiche si spiega con la necessità di tener nascosta la preziosissima reliquia a causa delle persecuzioni.

L’autrice ricostruisce poi la storia degli spostamenti della Santa Sindone e analizza dettagliatamente le tracce delle tremende sofferenze della Vittima quali appaiono dall’impronta, ponendo a confronto gli atroci dettagli delle immagini con le descrizioni dei Vangeli e con le dettagliate profezie della Passione nell’Antico Testamento. La corrispondenza appare perfetta e indiscutibile.

Entra a questo punto in scena il prof. Fasol, il quale svolge una serrata analisi che dimostra l’autenticità dei Vangeli, e fornisce quindi il supporto storico all’evidenza archeologica della Sindone: entrambi si confermano e chiariscono a vicenda. Vi è anzitutto il problema se il testo evangelico a noi giunto sia conforme all’originale. La risposta è senz’altro positiva. Nella Palestina dell’epoca di Gesù meno del 10% della popolazione sapeva leggere e scrivere, e l’apprendimento mnemonico era fondamentale, ed avveniva sotto il controllo dei maestri, il cui insegnamento consisteva in una continua ripetizione a memoria del patrimonio di conoscenza ereditato. Ciò non riguardava solo la cultura giudaica, ma era prassi comune di tutte le civiltà antiche, come testimoniato anche a Cicerone. Questo impediva qualsiasi modifica o invenzione, garantendo un’omogeneità della tradizione orale sostanzialmente concordante in tutte le comunità del Mediterraneo, che ritroviamo nei testi canonici riguardo alla predicazione e agli eventi principali.

Sulla base di questa solida e concorde tradizione orale, i quattro evangelisti stesero, entro il primo secolo, i loro testi, poi trasmessi per copiatura a mano da parte degli amanuensi. E costoro manipolarono e alterarono forse il testo? No. Esistono, dei quattro Vangeli, oltre 15.000 manoscritti, sicuramente concordanti, pur copiati in epoche diverse e nei più diversi centri mediterranei, sia pure con gli inevitabili errori ortografici e di trascrizione, dei quali tuttavia nessuno intacca minimamente la dottrina. E certo gli amanuensi non avevano a disposizione le moderne tecniche di comunicazione per accordarsi su eventuali aggiunte e manipolazioni. A ciò va aggiunto l’immenso numero di citazioni degli scrittori cristiani dei primi tre secoli, oltre 20.000, che permetterebbero addirittura di ricostruire quasi tutto il Nuovo Testamento solo raccogliendo queste citazioni.

Tutti gli altri testi antichi dispongono di una documentazione di gran lunga inferiore: dell’Iliade e dell’Odissea sono rimasti circa 600 manoscritti, ed è un record; per altri autori antichi le cifre sono assai più basse: Virgilio ha poco più di 100 codici, Platone e Cesare solo una decina, Tacito per alcune opere solo uno e incompleto. Eppure nessuno ha mai dubitato della loro esistenza. Inoltre la distanza fra il testo originale, perduto, e i primi codici conservati, è solitamente di vari secoli. Ma nel caso dei Vangeli, i primi manoscritti distano dall’originale non più di qualche decennio. Il gigantesco lavoro di generazioni di studiosi di filologia garantisce che il testo dei Vangeli a noi pervenuto è quello di gran lunga più controllato e documentato del mondo antico.

Fondamentale è poi lo studio linguistico dei Vangeli: furono scritti in greco per facilitarne la diffusione, ma recano tracce rivelatrici di un forte substrato ebraico-aramaico, la lingua di Gesù. La lingua madre del Redentore era la variazione galilaica dell’aramaico occidentale. I testi evangelici contengono numerose parole aramaiche o ebraiche, evidentemente rimaste impresse in modo indelebile nella memoria dei discepoli, e riportate quindi senza traduzione, come Abbà, Amen, e molte altre. Notevole l’uso verbale del passivo che lascia intendere che l’agente è Dio stesso, il cui Nome sacro non poteva essere esplicitamente pronunciato: quindi un passivo teologico che testimonia una predicazione unica, diversa da tutta la letteratura antica. La costruzione della frase, paratattica (basata su coordinate) invece che ipotattica (a base di subordinate), l’anticipazione del predicato rispetto al soggetto (“In principio era il Verbo”, invece di “Il Verbo era in principio”, come avrebbe scritto un greco), la ripetizione dei termini, sono tutti elementi caratteristici della tradizione orale semitica e del tutto estranei alla cultura greca.

Le parabole, a loro volta, rappresentano qualcosa di unico in tutta la letteratura, sovrabbondano di aramaismi e di parallelismi antitetici che dovevano aiutare gli ascoltatori a ritenere a memoria l’insegnamento ricevuto. L’attendibilità degli autori è avvalorata dal fatto che molti di loro e dei discepoli non esitarono ad affrontare il martirio pur di non rinnegare l’insegnamento ricevuto. Inoltre un popolo intero aveva assistito agli eventi narrati dai Vangeli, e non ci è pervenuto alcun testo contemporaneo che tenti di smentire i fatti che i sacri testi narrano.

Ma quello che i Vangeli raccontano è realmente accaduto? L’autore esamina le diverse ipotesi avanzate da illuministi e razionalisti per demolire la storicità dei Vangeli, dimostrandone l’inconsistenza. Il racconto evangelico soddisfa tutti i criteri di autenticità storica: attestazione multipla (conferme da più fonti indipendenti, anche pagane), discontinuità/continuità (evento in continuità con la tradizione storica e culturale dell’epoca, ma che rivela al tempo stesso elementi di novità e originalità), spiegazione necessaria (quando a un complesso di fatti viene offerta una spiegazione illuminante e armonica). Questa spiegazione chiave è data dai miracoli, senza i quali non si comprenderebbe la fede degli apostoli e dei discepoli; e senza il più grande miracolo, quello della Resurrezione, risulterebbe del tutto inspiegabile il radicale, repentino cambiamento degli apostoli, increduli, depressi, terrorizzati dopo la Passione; e di colpo, grazie alle apparizioni del Risorto, divenuti impavidi evangelizzatori, pronti a sfidare il martirio.

L’autore demolisce facilmente le obiezioni più frequenti. Gli evangelisti erano testimoni “di parte”? Ma dove si troverà un testimone “neutrale”? Dovrebbe tacere perché, come apre bocca, prende posizione e non è più “neutrale”? Come potremmo uscire da noi stessi per inseguire una fantomatica “neutralità”? Pretenderla è assurdo. Il drastico e fulmineo cambiamento dei discepoli dopo aver visto e ascoltato il Risorto, come pure lo stile comunicativo, scarno, disincantato e critico dei testi evangelici, rivela che la fede nel Risorto non era certo un pregiudizio dei discepoli stessi, ma il risultato di un’esperienza vissuta, e non da poche persone. Né bisogna dimenticare, quale criterio di veridicità, l’imbarazzo: i Vangeli non esitano a riferire anche i fatti più imbarazzanti, che avrebbero potuto tacere per rendere più accettabile il racconto: il concepimento di Gesù dallo Spirito Santo (cosa assolutamente inaudita), il pianto di Gesù e la Sua umiliazione, le colpe degli Apostoli come la disputa su chi fosse il più grande, il rinnegamento di Pietro, la mancanza di Fede durante la Passione e la fuga di tutti gli Apostoli meno uno, mentre le donne coraggiosamente rimasero e furono le prime testimoni della Resurrezione, e questo benché la testimonianza femminile non fosse accettata all’epoca.

La storicità di Gesù viene pure confermata da documenti pagani. Di Cristo e del cristianesimo hanno parlato Plinio il Giovane, Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio (in modo particolarmente esplicito e dettagliato), ed altri. Né vi è alcun motivo per escludere le testimonianze paleocristiane, del I e II secolo, come la Didaché (ca. 70 d.C.), la Lettera di Clemente Romano ai Corinzi, ed altre.

Totalmente diverso è il caso dei cosiddetti “vangeli apocrifi”, opere di tardi falsari che ignorano le istituzioni ebraiche, non citano l’Antico Testamento, usano un linguaggio chiaramente non semitico e (nel caso dei cosiddetti “vangeli gnostici”) sono basati su un impianto cosmologico mitico estremamente confusionario in cui si incontrato strani spiriti e “divinità”. Basarsi su simili fantasticherie per conoscere Gesù non può che essere quanto mai fuorviante. Solo chi legge acriticamente Dan Brown può essere tratto in inganno da simili fantasticherie.

A questo punto l’autore, nell’ultimo capitolo, intitolato come il libro stesso Luce dal sepolcro, conclude approfondendo il significato del messaggio cristiano, che è un messaggio di amore che dà un senso alla nostra vita e ha rivoluzionato il mondo. I pagani conoscevano l’eros, il Vangelo ha annunziato l’agape o charitas. La donna, il bambino, lo schiavo, il malato cronico, il disabile, sono divenuti esseri da amare e da proteggere, mentre per il pagano erano da disprezzare, da sfruttare, talora da uccidere impunemente. Così la Chiesa è venuta in soccorso dei malati, inventando gli ospedali. Così il Vangelo ci ha rivelato che l’autorità è al servizio dei cittadini, specie dei più deboli e bisognosi. L’amore è entrato nel mondo, e solo l’amore è credibile

Questo prezioso libro, che è tutt’altro che un’anacronistica apologia ma piuttosto una serrata analisi scientifica, si distingue anche per il vasto apparato bibliografico e di note, oltre che per un ricco corredo iconografico a colori, e reca una presentazione del Card. Agostino Vallini, Vicario Generale per la Diocesi di Roma.

È un grave segno degli infausti tempi in cui ci è toccato di vivere, il fatto che, mentre prima che divampassero i fuochi fatui dell’Illuminismo la gente credeva senza affaticarsi in elucubrazioni, mentre oggi non crede e resta immersa nell’ignoranza, pur disponendo di formidabili prove scientifiche a sostegno della Verità evangelica. Non meno grave il fatto che l’odierno dilagare del relativismo e del neopaganesimo oscurino sempre più la credibilità dell’amore e la luce che emana dal sepolcro. Sappiamo però, per fede certa, che alla fine il Risorto vincerà.

EMILIO BIAGINI


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