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Da pochi anni aveva avuto luogo la conquista del Messico da parte dei tanto vituperati Conquistadores, i quali, sia pure con la spada (ma forse era l’unico modo praticabile), vi avevano introdotto il Cristianesimo, sradicando i culti barbari che richiedevano orrendi sacrifici umani (ai prigionieri di guerra, vivi, si strappava il cuore per offrirlo al sole, perché si riteneva che l’astro avesse bisogno di sangue umano per nutrirsi; altri venivano scuoiati, vivi, e lo stregone si ricopriva della pelle sanguinante credendo di acquistare in tal modo le doti della vittima). Nel 1531, sul colle di Tepeyac, presso quella che è oggi Città del Messico, l’indio cristiano Juan Diego Cuahtlatoatzin (cognome che, in lingua nahuatl, significa “aquila che parla”), stava andando a visitare un suo zio ammalato, quando sentì una voce dolcissima chiamarlo e un canto soave che lo attirava sulla cima. Asceso il colle, vide una meravigliosa fanciulla che, nella lingua degli aztechi, si presentò come la madre di Ométeotl, il Dio supremo e unico. L’apparizione gli chiese che venisse costruito un santuario. L’indio si recò a riferire l’apparizione al vescovo Zumarraga, che accolse la notizia con scetticismo (e questa sarebbe, secondo i settari, la Chiesa che specula su “presunti” prodigi). Juan Diego, presumibilmente mortificato, ritornò senza rifare la stessa strada, ma la Madonna (chiamata in seguito “di Guadalupe”, ispanismo che deriva dal nahuatl Coatlaxopeuh, “Vincitrice del serpente”) gli apparve di nuovo, gli profetizzò che lo zio sarebbe guarito (cosa che puntualmente avvenne), e gli disse di portare al vescovo incredulo, come prova, certi fiori che avrebbero dovuto essere introvabili perché fuori stagione. L’indio trovò i fiori e li raccolse nella tilma, il mantello di fibre di agave che indossava e li portò a Zumarraga. Ma quando aprì il mantello, vi apparve impressa l’immagine acheròpita (ossia non tracciata da mano umana) della stessa Vergine: tale immagine non reca infatti alcuna traccia di pittura. Il mantello si conserva tuttora nel santuario, costruito sul luogo delle apparizioni. Di solito le fibre di agave si decompongono dopo un decina d’anni, ma questo mantello è inspiegabilmente ancora intatto dopo cinque secoli, benché non abbia subìto alcun procedimento conservativo. Il fatto più straordinario è che avanzate tecniche microscopiche hanno permesso di scoprire che, nelle pupille dell’immagine della Madonna, come sulla retina di un vero occhio umano, è impressa, su una superficie infinitesimale, la scena di quel giorno. Si riconoscono numerose figure, fra cui quella dell’indio e quella del vescovo curvo ad osservare la figura miracolosamente apparsa sul mantello. È come se gli occhi della Santa Vergine avessero registrato l’avvenimento. E questo in un’epoca in cui non era stato inventato neppure il più rudimentale dei microscopi, ciò che permette di escludere in modo assoluto che le tecniche di allora potessero in qualche modo costruire immagini del genere. La risposta dei padroni anglosassoni dei mass media a questa sconvolgente scoperta è stata simile a quella che avrebbero tenuto Radio Mosca (o Telekabul) in piena epoca comunista: non prestare attenzione al fatto, avvenuto, ovviamente, in un paese “papista” e pieno di gente “superstiziosa” e “credulona”. Agli inizi del sec. XX, ai tempi del governo anticlericale messicano sostenuto dalla massoneria, la soldataglia, oltre ad uccidere nei modi più efferati tutti i sacerdoti su cui riuscì a mettere le mani, tentò di far saltare il santuario con la dinamite, ma l’edificio rimase miracolosamente in piedi.


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