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Appena conclusa la seconda guerra mondiale, Dio le concesse la visione del baratro in cui l’umanità stava precipitando e allora, il 9 febbraio 1946, lei scrisse il suo atto di offerta alla Giustizia e all’Amore divini. Dall’offerta all’Amore non vi è nulla da temere, ma terribile è invece quella alla Giustizia, perché con essa l’anima accetta di caricarsi dei peccati dell’umanità e dei castighi conseguenti: è quello che fece Cristo stesso per redimerci.

Nella sublime preghiera del Getsemani è contenuta una verità di capitale importanza: le anime vittime possono fare quello che neppure gli angeli possono, ossia soffrire e soffrendo redimere le anime dei peccatori; gli angeli non possono farlo, possono solo adorare.

Il 19 agosto 1944 la Valtorta ringrazia il Signore per il dono del dolore che, salvando le anime, eleva l’anima che si offerta vittima alla suprema beatitudine; non a caso Mamma Rosa Quattrini ebbe la rivelazione della Valtorta al sommo della gloria del Paradiso.

La Valtorta non ha mai amato tanto sovrumanamente Gesù come quando Egli taceva, e Lei gli diceva di riposarsi sul suo cuore, poiché Egli era stanco di vagare tra gli uomini il cui cuore era pieno di sollecitudini terrene, così che lo respingevano. E gli dice:

 

Povero Gesù! Forse sei stanco.

Bussi alla porta di tanti cuori per entrare e riposare la tua divina stanchezza di Pellegrino che non ha dove posare il capo, poiché la tua delizia è non stare nei cieli ma stare fra gli uomini che hai ricomprati con tuo dolore. E nessuno ti vuole accogliere.

Hanno già la casa del cuore piena delle sollecitudini terrene. Tu sei lo sconosciuto e, all’apparenza, si capisce subito che non porti ricchezze umane, onori terreni. Perciò ti chiudono la porta in faccia, se pure non ti escono contro coi mastini e coi randelli per cacciarti di più. E Tu sei stanco.

Hai trovato ricovero in un povero cuore che è tutto aperto a riceverti e ti sei addormentato con la tua afflizione nel cuore.

Dormi, Gesù. Il sonno ci smemora da ciò che dà dolore. Dormi e riposa.

Rimani Tu, come Padrone di casa, della mia povera casa del cuore, mentre io vado in giro per Te, a cercarti dei cuori, a dire Chi sei.

Fa’ il tuo comodo, Amore mio. Io farò il meno rumore possibile per non svegliarti, non avrò neppure un gemito se qualcosa mi ferirà.

Mi accontento di poterti servire lavorando per Te, di poterti amare senza che Tu me lo impedisca, di poterti contemplare, o divina Bellezza, mentre dormi nel mio cuore.

 

Parole sublimi come queste, dettate dal più puro amore spirituale, sono quelle che hanno spinto certi commentatori aridi e ignoranti a bollare Maria Valtorta come “isterica ossessionata dall’erotismo”. (Era forse un isterico ossessionato dall’erotismo il Divino Autore del “Cantico dei Cantici”?) In tal modo, quegli sprovveduti critici hanno solo manifestato la loro disperante aridità, la loro totale incomprensione dell’amore e della mistica, lo squallido deserto della loro teologia accademica e senz’anima.

Il 9 ottobre 1943 Gesù le suggerì la preghiera per l’Italia:

 

Signore, per preservare l’Italia da nuove sciagure, e specie per quelle dello spirito, accetto di bere il calice del dolore. Resta con me, Signore, mentre consumo la mia Passione di piccola redentrice.

 

Purtroppo non sembra che la cosa funzioni, e non certo per carenze della Valtorta. Il fatto è che neppure Dio viola il libero arbitrio e gli uomini assatanati continuano ad andare per la loro via larga e comoda verso l’abisso.

In uno slancio mistico, la Valtorta scrive che vorrebbe avere mille vite per offrirle tutte a Dio, e gli chiede di moltiplicare i palpiti del suo cuore e di aggiungere ad ogni palpito un dolore e col dolore la forza di soffrire, così che col suo segreto sacrificio di ogni minuto lei possa ottenere schiere di anime da offrire a Gesù. E i preti la dicevano “indemoniata”.

Il 14 giugno 1944, ne “L’ora santa di Gesù”, vi è una lezione di amore celestiale dettata da Gesù, che invita tutti a cercare il Suo perdono e ad unirsi a Lui nella Santa Eucarestia, ad essere fedeli alla retta dottrina.

Il 6 luglio 1944, ne “L’ora del Getsemani”, Gesù le dice che le dà tante ore del Getsemani perché se il dolore del Getsemani tutto insieme si abbattesse su di lei ne morirebbe pazza. Invece gliela dà a briciole perché le unisca “come un mosaico”. Dapprima le ha mostrato la sua smania fisica più e più volte, finché l’ha conosciuta e l’ha potuta sopportare. Poi, volta per volta, le ha svelato le sue tristezze: il tradimento dell’amico, il sonno dei discepoli prediletti, il dover perdere la vita nel fiore degli anni, il dover diventare un reietto, la lontananza da Sua Madre, la quale sentiva tutto e piangeva sola. Egli era solo, carico dei peccati del mondo, odiato perché buono. Aveva nostalgia della quieta casa, delle folle buone che sarebbero rimaste sole, e lui, dopo essersi strappato con terribile sofferenza da tutto ciò, era solo. Cioè: era con satana. E il demonio lo tentava: “Ti sacrifichi per nulla. Gli uomini non ti ameranno per il tuo sacrificio. Gli uomini non comprendono.” Allora fu la demenza, la disperazione, l’agonia, la morte dell’anima che dovette anch’essa risorgere perché conobbe la Morte, che è separazione da Dio, l’orrore dei dannati. Nel vuoto si insinuava satana, dapprima in modo sottile, poi sempre più violento, promettendogli la “vita”, la libertà dai tormenti, la signoria della terra, perché punisse i malvagi in modo spietato. Il maligno gli chiedeva in cambio che permettesse a lui, satana, di “redimersi”. E lo accusava in modo sempre più violento di non rispettare la propria divinità permettendo che dei sacrileghi gli mettessero le mani addosso, di non rispettare Sua Madre perché la faceva soffrire. Ma radunando le forze, bevendo pianto e sangue, Cristo rispose al maligno: “Non ho più madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la volontà del Signore mio Dio.” Così, a prezzo del cuore spezzato di Gesù, satana fu respinto e vinto e sconfitto. La Morte si vince accettando la morte. Cristo ha così dimostrato alla Valtorta come la Sua estrema tentazione, terribile al di là di ogni immaginazione, una vera e propria discesa all’inferno, non sarebbe compresa e ammessa da quei piccoli cristiani che sono larve di cristiani e non cristiani formati, i quali all’inferno credono solo debolmente o niente del tutto.

Nell’ora della Desolata, parla Maria, il 3 giugno 1944, e le ordina di scrivere. Ne scaturisce un’immagine di dolore straziante e terribile, il dolore di quella Madre e per quel Figlio, che solo la lettura dell’intero brano può rendere. Inutile tentarne un riassunto, mentre qualsiasi commento non può che essere estremamente fioco al confronto. Una cosa però va detta: la vicenda della Santa Corredentrice, così come l’intera vicenda del Cristianesimo è spaventosamente seria e davvero terribile. Le prediche, quasi sempre aride o edulcorate che si ascoltano in chiesa non ne danno affatto una sia pur minima idea. Occorreva la viva voce del Cielo, trasmessa dall’umile e perseguitata Portavoce per svegliare la coscienza intorpidita di almeno qualcuno dei cristiani immaturi, non formati, fra i quali si devono purtroppo contare anche moltissimi preti, gelidi predicatori di dottrine alle quali forse neppure credono.

Un ultimo importantissimo dettato del volume è di Gesù, il quale, il 14 luglio 1946, insegna l’arte più difficile e decisiva per l’esito finale della prova terrena, quella di morire. Come guida in quest’arte, il Divino Maestro commenta le sue stesse parole durante l’agonia del Getsemani fino alla morte di croce, in modo che il morente vada incontro al Padre sapendo che è il Padre misericordioso, affrontando e superando tempeste e terrori, mentre tutto ciò che pareva importante nella vita impallidisce e l’eternità si avvicina. È il momento di perdonare tutti per essere perdonati. Si avverte la sete di Dio, che ricompenserà infinitamente l’anima per quello che lascia sulla terra. Giunge infine il momento in cui tutto è compiuto e l’anima vola a Dio. Questo per i salvi che raggiungono la santificazione. Per gli altri risuona pure il “tutto è compiuto”, ma a dirlo è allora il demonio trionfante che si porta via l’anima, insieme all’angelo custode sconfitto che se la vede portar via. Anche da questo preziosissimo dettato appare quanto sia vitale comprendere e meditare la lezione pastorale di tutti gli Scritti valtortiani, non limitandosi a leggere solamente L’Evangelo come mi è stato rivelato.

Questo libro offre, in conclusione, una toccante immagine della santità di Maria Valtorta. Nessuna nuova dottrina, nessuna deviazione dal Magistero della Chiesa, solo una guida per diventare cristiani responsabili e salvare l’anima propria e altrui.

 EMILIO BIAGINI


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