FRANCESCO MAJ, UN GRANDE POETA
Francesco Maj, Salesiano di Torino, ha molto da dire e lo esprime con poesia di altissima qualità e verità, proponendoci un grande poema drammatico sui Dieci Comandamenti, dal titolo In cammino, che ha l’andamento solenne di una sacra rappresentazione medievale, ma con una maturità poetica e una profondità teologica che le rappresentazioni medievali spesso non possedevano. Voci dall’alto parlano a Mosè, e parla Mosè, e parlano voci maligne e insinuanti, che tentano di sviare l’uomo dal retto cammino. E parla pure gente comune, disorientata, che si domanda come distinguere il bene dal male. I Comandamenti si susseguono, presentati come in una sinfonia di voci celesti, umane e diaboliche. La contraddizione demoniaca non può naturalmente confrontarsi con la Verità, ma cerca di sviare l’uomo tendendogli trappole che fanno appello agli istinti, all’avidità, alla brama di potere. Sublime l’esaltazione del Sacramento matrimoniale e della famiglia, insostituibile cellula della società umana se cementata dall’amore divino e dall’obbedienza al quarto comandamento. Severo è l’ammonimento agli scienziati, arroganti mosche cocchiere che credono di tenere in pugno i segreti della vita, come il ricercatore che — immagine poetica davvero geniale — “afferra l’ombra e crede spento il sole”. Vibrante la condanna dell’aborto, con la bruciante immagine della terra assediata dalle anime dei bambini non nati ai quali è stato negato il diritto di vivere.
In fondo al volume si incontra un’appendice, “Il canto di Abramo”, che secondo l’autore potrebbe fare da preistoria a “In cammino”, poiché la vicenda di Abramo non solo è cronologicamente anteriore a quella di Mosè, ma “interessa in varie forme chiunque è in viaggio per la salvezza”. Anche qui si alternano molte voci: il narratore, Abramo, Isacco, il Signore, il poeta. Si tratta di uno stupendo poema da leggersi anche a sé stante, nel quale si adombra l’interrotto sacrificio di Isacco e l’Albero della Vita, che preannuncia l’apertura della terra intera al mistero della Redenzione.
Nel potente poema drammatico Il canto di Mosè, il poeta ritorna la metafora della vita come viaggio, sull’esempio del grande profeta che vide Dio nel roveto ardente, ebbe la rivelazione del Nome divino che attesta l’essenza ontologica dell’Eterno, condusse il popolo eletto lontano dalla schiavitù in Egitto e nella lunga peregrinazione nel deserto ai margini della terra promessa, ebbe a lottare contro incomprensioni e ribellioni, e infine riuscì nell’immane compito che Dio gli aveva imposto. Opera difficile è scrivere quando la trama del racconto è già determinata e notissima. L’autore, tuttavia, è riuscito egregiamente ad animare lo svolgersi della storia, pur mantenendosi aderente al testo dell’Esodo. La forza del poema consiste nell’esplorazione del tormento di Mosè, dei suoi dubbi, delle sue umane paure di fronte al comando divino e alle opposizioni che incontra. Facile e insidiosa è la tentazione della vita comoda, ma Dio sospinge costantemente il Suo profeta che risponde con sofferta obbedienza. Narratori e diversi personaggi ben caratterizzati intervengono nell’azione, conferendole varietà e interesse. I versi sono fluidi e classici e il poema si presta ad essere rappresentato, possibilmente con opportuno commento musicale ed effetti di luce a sottolineare gli snodi drammatici, come le piaghe d’Egitto, magistralmente descritte da un narratore, e il passaggio del Mar Rosso, sottolineato da un drammatico succedersi di voci. Splendido è l’Intermezzo lirico che prospetta, come in un sogno del profeta, la tentazione nel Giardino dell’Eden e quindi il dilemma morale posto ad ogni creatura umana.
Un altro importante libro del Nostro, Testimonianze, è una magnifica antologia poetica di molte centinaia di liriche, frutto del lavoro di tutta una vita. La prima parte è strettamente personale, contiene suggerimenti di varia origine e momenti di riflessione, la seconda è di tipo provvisorio e occasionale, la terza di natura locale presenta quanto hanno “sussurrato” al poeta alcune lapidi dei cimiteri situati nella valle dove è nato, la quarta parte infine è strettamente familiare. Nell’insieme, compongono un diario personale “che termina quando l’autore non scrive più”. I versi si succedono, generalmente a due a due sulla stessa riga, intervallati da un breve spazio, “per agevolarne la lettura”, ma in realtà questa partizione ha un ulteriore risultato, forse non previsto: quello di dare un particolare dinamismo al respiro della poesia, per l’alternarsi di versi doppi (talora tripli o quadrupli) e singoli; questi ultimi acquistano un particolare rilievo come punti fermi del discorso poetico. Oppure, leggendo una sola colonna, si accentua in modo fascinoso il carattere un po’ ermetico che molti di questi componimenti posseggono. Impossibile dare un’idea completa di questa ricchissima raccolta. Limitiamoci a considerare una sola poesia, che ha per protagonista una semplice foglia.
Una foglia ammonisce…
Senza moto è la foglia che resta sulla pianta.
Ha fatto dono al ramo di ogni sangue
e vide le compagne cadere ad una ad una sfigurate.
Così talora sosto,
immobile lo sguardo, ad avvertire
che sono vivo ma devo venir meno!
La caducità, tema universale, non poteva trovare espressione più perfetta: il poeta infatti non si limita a lamentare la condizione umana, ma sa vedere che il singolo, per quanto condannato, ha operato per gli altri, come la foglia che sta per cadere ma intanto ha donato vita all’albero. È questa una visione che solo dalla fede e dalle virtù sorelle, speranza e carità, può trarre alimento, mentre colui al quale manca la fede non resta che la sfida prometeica assolutamente inutile o l’altrettanto inutile piagnisteo. Dispiace dover tacere, per la necessaria brevità, di tante altre poesie di grande e vera bellezza. Con questo importante volume Don Francesco Maj si conferma poeta di tutto rispetto, di stratosferica superiorità rispetto ai poeti di regime che vanno per la maggiore. La cultura odierna, dominata da una sinistra inamovibile che ha occupato tutti i posti chiave, non è in grado di apprezzare opere come questa, per non parlare della grossolanità della destra in tutt’altre faccende affacendata. Ma questo mondo passa e il bene fatto e le nostre opere, anche artistiche, saranno giustamente conosciute, preservate, valutate e premiate da un Tribunale che non è certo quello dei miserabili premi letterari istituiti da emerite nullità e pilotati da emerite nullità per premiare emerite nullità. Il poeta Francesco Maj è certamente il primo a insegnarci che la lode umana è “flatus vocis”, e che un’Autorità inappellabile sgonfierà i palloni gonfiati che vanno oggi per la maggiore in questo piccolo mondo e renderà merito al vero merito.
EMILIO BIAGINI
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