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Tutto falso.

“Il punto migliore da cui cominciare è san Tommaso d’Aquino (1225-74) dal momento che la sua conclusione teologica, secondo cui la schiavitù è peccato, divenne il punto di riferimento cui da quel momento in poi si attenne la politica papale.” (p. 234).

“(…) Roma respingeva in toto la pretesa che gli africani non fossero pienamente umani (…) più volte i papi avevano condannato la schiavitù nel Nuovo Mondo, additandola come causa di scomunica.” (p. 236).

Fin dall’inizio e nel corso dei secoli XVI e XVII Roma affrontò il problema con pronunciamenti papali e del Sant’Uffizio che non lasciavano spazio al minimo dubbio. Purtroppo i papi a quel tempo “godevano di un influenza scarsa, o nulla, su spagnoli o portoghesi, perché all’epoca gli spagnoli comandavano su gran parte dell’Italia; e nel 1527, durante il regno di Carlo V, avevano persino saccheggiato Roma. Se il papa aveva un’influenza minima in Spagna e Portogallo, non ne aveva quasi nessuna nelle loro colonie del Nuovo Mondo, se non indirettamente tramite l’opera degli ordini religiosi. In effetti, fu dichiarato illegale persino pubblicare i decreti papali ‘nei possedimenti coloniali spagnoli senza l’approvazione del re’ e il re nominava anche tutti i vescovi spagnoli.” (p. 239).

I prestigiosi studi storici politicamente corretti ignorano completamente l’opera dei papi e della Chiesa. “Ovviamente, nel Nuovo Mondo i cattolici non furono gli unici schiavisti. E si dovrebbe anche tener presente che, inizialmente, l’introduzione di schiavi nelle colonie olandesi e inglesi non scatenò alcuna protesta da parte di autorevoli protestanti.” (p. 240).

Comunque il trattamento degli schiavi era molto più umano nelle colonie spagnole e portoghesi, in confronto all’inferno della schiavitù nelle colonie degli Stati protestanti. L’influsso del cattolicesimo si fece sentire anche nei codici più umani che permettevano agli schiavi di sposarsi e di acquistare più facilmente la libertà: nel 1830 nel profondo Sud degli USA i negri liberi erano il 41,7% a New Orleans, mentre nelle altre maggiori città sudiste, di cultura protestante, la medesima percentuale andava dal 6,4% di Charleston allo 0,5% di Vicksburg. Nonostante tutto ciò, gli storici politicamente corretti rifiutano l’idea che un sistema schiavistico possa essere stato meno brutale di un altro. La storia politicamente corretta è un vero cimitero di omissioni, poiché tutto quanto può mettere in luce favorevole il cattolicesimo è sistematicamente ignorato.

Una delle più straordinarie di queste omissioni è quella che riguarda la civiltà gesuitico-indiana delle Reducciones del Paraguay. La parola “riduzioni” era usata nelle ricette di cucina per indicare la concentrazione delle salse, in considerazione del fatto che i gesuiti avevano concentrato i Guaranì in insediamenti molto più densi rispetto a come avevano vissuto in precedenza. Questa grandissima civiltà indiana (che aveva perfino orchestre sinfoniche) è stata cancellata da tutte le storie standard nonostante che ne esistano descrizioni dettagliate. La Repubblica gesuitica del Paraguay, situata a sud del Brasile, copriva un’area pari al doppio della Francia, “a ovest del territorio ceduto al Portogallo dal trattato di Tordesillas (1494). Lì, uno sparuto gruppo di gesuiti spagnoli (probabilmente non furono mai più di duecento) fondò, protesse, istruì e coordinò una notevole civiltà, che comprendeva almeno trenta Reducciones (…) non solo fiorivano le arti e la manifattura – le città avevano strade lastricate ed edifici imponenti – ma fu fatto anche un valido tentativo di governo rappresentativo. Nel fondare questa repubblica, l’obiettivo dei gesuiti, come spiegava il loro superiore Antonio Ruiz de Montoya nel 1609, era cristianizzare e ‘civilizzare’ gli indiani in modo che potessero essere liberi cittadini della corona, uguali agli spagnoli, e così ‘portare la pace tra spagnoli e indiani, un compito così difficile che, dalla scoperta delle Indie occidentali, avvenuta oltre cent’anni fa, non è stato ancora possibile portare a termine’.” (p.248).

“La repubblica prosperò, ma invece di diventare la base per ottenere uguaglianza e pace, la sua esistenza offendeva molti funzionari coloniali e proprietari di piantagioni e costituiva una ghiotta tentazione per l’esproprio. Ciononostante per ben oltre un secolo i gesuiti riuscirono a prevenire e ad avere la meglio sugli avversari. Poi però le cose cominciarono a prendere una brutta piega. Il primo passo verso la caduta della repubblica si ebbe nel 1750 quando i portoghesi e gli spagnoli firmarono un nuovo trattato, suddividendo nuovamente l’America Meridionale secondo confini naturali. Il risultato fu che le Reducciones finirono sotto la giurisdizione del Portogallo. Avendo ricevuto l’ordine di consegnare gli insediamenti alle autorità civili, i gesuiti resistettero e si appellarono alla corona portoghese e a quella spagnola affinché la Reducciones fossero risparmiate. Tuttavia gli avversari [massoneria e Marchese di Pombal] erano troppo forti e troppo spregiudicati, tanto da arrivare a far circolare voci e false prove di cospirazioni dei gesuiti contro tutte due le corone. Così mel 1754, contro sette Reducciones gli spagnoli inviarono truppe da ovest, mentre i portoghesi avanzavano da est. Sia le truppe spagnole che quelle portoghesi furono sconfitte dagli indiani, che erano stati assai ben addestrati nelle tattiche militari occidentali e possedevano moschetti e cannoni. [Il terribile terremoto di Lisbona del 1755, che colpì anche la Spagna e il Marocco, fu l’inevitabile punizione del Cielo, anche se gli uomini lo negarono e continuarono a peccare come prima.] Pur non avendo preso parte agli scontri, i gesuiti vennero accusati di tradimento e nel 1758 per rappresaglia furono banditi dai territori spagnoli e portoghesi. Ben presto in Spagna furono orditi altri complotti contro di loro, con il che tutti i membri dell’ordine presenti in Spagna furono arrestati nel 1767 e deportati negli Stati Pontifici. Nel luglio di quello stesso anno, le autorità coloniali erano pronte a procedere contro i gesuiti dell’America Latina e la retata iniziò a Buenos Aires e Cordoba. Tuttavia fu soltanto l’anno successivo che le truppe spagnole si mossero contro le ultime ventitré Reducciones e catturarono gli ultimi gesuiti, dopodiché persino i religiosi vecchi e malati furono legati ai muli e trasportati attraverso le montagne in mezzo al cattivo tempo, alcuni a morte certa. Così i gesuiti furono espulsi dall’emisfero occidentale. Ben presto la repubblica andò in rovina, sconfitta e saccheggiata dalle autorità civili. Scoraggiati dai maltrattamenti e dalla perdita dei Padri Vestiti di Nero, i guaranì superstiti si dispersero. – È deprimente, ma non stupisce, che, tra pochissimi storici che si degnarono di citare la Republica Gesuitica, troppi la attaccarono come una manifestazione di puro colonialismo cattolico, condannarono i ‘fanatici’ gesuiti per aver imposto religione e civiltà ai ‘miti’ indiani, e definirono crudele paternalismo e ‘spietato sfruttamento’ gli sforzi dei gesuiti di sopportare una repubblica. – Ma anche se si volesse accettare la versione più estrema di queste affermazioni, ci si trova comunque di fronte agli sforzi sinceri ed efficaci con cui i gesuiti cercavano di proteggere gli indiani dai proprietari delle piantagioni e dalle autorità coloniali, che volevano ridurli in schiavitù o cacciarli definitivamente. Aver costruito una progredita civiltà indiana in quel contesto storico fu un’impresa straordinaria. Per giunta, gli storici non conformisti hanno quanto meno citato questo notevole evento, mentre la maggior parte degli altri l’hanno ignorato completamente. Nella sezione sulla storia dei Paraguay, l’Enciclopedia Britannica (XV edizione) offre questa frase: ‘Durante la maggior parte del periodo coloniale, il Paraguay fu noto principalmente per un enorme gruppo di missioni gesuite comprendenti 30 Reducciones’. Non viene detto cosa fossero e non ci sono ulteriori accenni in altre parti dei suoi numerosi volumi. Quanto ai lavori più importanti sulla schiavitù nel Nuovo Mondo, in cui tutti hanno da raccontare cose terribili (e spesso anticattoliche) sulla schiavizzazione e sui maltrattamenti subiti dagli indios dell’America Latina, non una parola!” (pp. 249-51).

“Al contrario, storici hanno prestato molta attenzione al fatto che non tutto il clero cattolico, e non tutti i gesuiti, accettarono l’affermazione che la schiavitù era peccato. Anzi, nel XVIII secolo e agli inizi del XIX accadde che nelle società schiaviste preti cattolici avessero degli schiavi (come pure molti preti protestanti). Per esempio, i gesuiti del Maryland possedevano schiave. Altri ecclesiastici avevano idee confuse in proposito. Per esempio, il domenicano Bartolomé de las Casas (1474-1566) condusse una campagna aspra e di scarso successo contro la schiavizzazione degli indios, nel corso della quale propose che gli schiavi li si dovesse andare a prendere in Africa. In seguito rimpianse così profondamente questa sua proposta che espresse dubbi sulla possibilità che Dio lo avrebbe perdonato per questo terribile peccato.” (p. 253).

“Nonostante ciò, le affermazioni, secondo cui la Chiesa non si oppose alla schiavitù e i codici riguardanti gli schiavi erano utili soltanto ai padroni, semplicemente non sono vere.” (p. 253).


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