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Ecco una documentata biografia della grande veggente (ZUCCHINI don E., Il cielo in una stanza, Verona, Fede & Cultura, 2019), purtroppo sotto un titolo particolarmente infelice, anzitutto perché inflazionato, e poi perché, essendo il titolo di una canzone sottilmente erotica, fa pensare a tutt’altro.

Si deve riconoscere a don Zucchini il lodevole sforzo di far conoscere la grande veggente, sfidando l’ostracismo che i suoi colleghi e confratelli hanno decretato, senza motivo, a Maria Valtorta, e del quale non hanno mai fatto ammenda.

Non si può fare a meno, tuttavia, di notare una serie di inesattezze, maggiori e minori, che suscitano una certa perplessità, nonché di puntate polemiche decisamente fuori luogo. Nel libro si parla di documenti che sarebbero stati “secretati” dall’editore Pisani (a p. 8 già nella prefazione di Silvia Scaranari, e più volte ripetuto nel testo). A parte il fatto che secretare documenti rientra piuttosto nella pratica politica e curiale (vedi ad es. il modo col quale il “papa buono” secretò il terzo segreto di Fatima che, per ordine della Madonna, avrebbe dovuto essere rivelato non più tardi del 1960), lo stesso termine “secretato” fa pensare ad una volontà di censura e soppressione che proprio non si adatta al Centro Editoriale Valtortiano, il quale, avendo presumibilmente molto da fare, non ha avuto ancora modo di occuparsi di tutti i documenti e pubblicarli.

A p. 46, si parla di “rimbrotti da parte della madre Iside”, riguardo alle cure prestate da Maria Valtorta ad un giovane malato. Sbagliato, a fare una scenata alla Valtorta fu la madre del malato, mentre la signora Iside, madre della veggente, non venne neppure a sapere il fatto.

A p. 55, “Era l’inizio del 1943…”. Si tratta invece, evidentemente, del 1932.

A p. 73, nota 223, “Era morto l’uccellino che teneva in gabbia e che chiamava Giacomino”. Niente affatto, la Valtorta in gabbia teneva un canarino, mentre Giacomino, che era un passerotto, e quindi molto più indipendente e intelligente dei canarini, girava libero.

A p. 79, nell’apparizione prima della morte, la madre “vide il Signore Gesù che le batteva la testa tre volte con un piccolo bastone”. No, la batté sulla spalla; la nota a pié di pagina riporta invece la versione esatta (CENTONI A. 1987 Una vita con Maria Valtorta, Isola del Liri, CEV, p. 484): “Aveva in mano una verghetta, e con quella mi ha picchiato tre volte sulla spalla dicendomi: ‘Basta, hai capito? Basta tormentare ed essere prepotente. Non voglio più.’ E poi se n’è andato”.

Giustamente l’autore afferma che “(…) va riconosciuta la provvidenzialità dell’azione della Tipografia Michele Pisani e poi direttamente del dott. Emilio Pisani, proprietario del Centro Editoriale Valtortiano (CEV), e con questo erede di tutti gli scritti valtortiani. È bene ricordare che senza la fatica e il rischio corso prendendo questa eredità, probabilmente ogni scritto sarebbe finito in qualche oscura cantina del Vaticano e lì dimenticato per sempre. È davvero probabile che senza il Pisani questo sarebbe successo, vista l’ostilità preconcetta della Santa Sede di quei tempi. Perciò è doveroso ringraziare per la fatica e il rischio corso, e questo grazie non può che essere continuo e fatto da chiunque, in tutto il mondo, legge gli scritti di Maria Valtorta.” (p. 163).

Occorre rilevare che l’ostilità preconcetta non è solo di ieri ma continua, perché i chierici, richiesti di un parere, non fanno che ripetere i giudizi negativi precedenti, senza preoccuparsi di leggere l’Opera. Secondo me, le prospettive di ottenere l’apertura della causa di beatificazione sono remotissime. La gerarchia ha altro da fare: ritiene più opportuno occuparsi dell’anidride carbonica e dei “ponti e non muri” per i migranti, quando non si avvoltola nell’omoeresia ormai dilagante. Mi spiace moltissimo dover constatare ciò, ma chiudere gli occhi sulla realtà non serve a nulla.

Inoltre, dal brano riportato sopra, è evidente il passaggio di tutta l’eredità, materiale e morale, alla Fondazione Maria Valtorta CEV Onlus. Tale fondazione, che ha come presidente Emilio Pisani, è stata costituita per poter continuare il lavoro di diffusione e protezione dell’Opera e del pensiero valtortiano anche al di là della vita terrena di coloro che oggi custodiscono l’inestimabile Tesoro valtortiano.

Subito dopo, però (p. 164, nota 479), quasi si fosse pentito del dovuto riconoscimento appena tributato, l’autore se ne esce in una critica molto sopra le righe e assolutamente sorprendente, per non dire assurda, scagliandosi contro la “pretesa, decisamente eccessiva e senza senso, degna solo di doloroso pianto (sic!) su chi l’ha stampata, di ‘ritenersi erede anche del pensiero di lei’”. E va bene, andiamo a cercare il Bollettino Valtortiano del CEV (gennaio-giugno 2016). Cosa dice esattamente? “La Fondazione che ha ricevuto l’eredità di Maria Valtorta deve ritenersi erede anche del ‘pensiero’ di lei. Si ricorda una sua espressione emblematica. Lei diceva che della sua opera si dovevano stampare cinque copie da destinare ai cinque continenti. La Fondazione si propone di attuare i propri scopi soprattutto attraverso le traduzioni. La promozione e la cura delle traduzioni corrispondono all’ideale valtortiano in un servizio nascosto e penetrante, che però è anche il più oneroso.” Se ci sono lacrime da versare, sono quelle che dovrebbe versare don Zucchini per il suo modo di estrapolare e deformare l’altrui pensiero.

Del resto, un editore il quale salva (perché di vero salvataggio si è trattato) e raccoglie amorosamente un’Opera che il clero aveva disprezzato e insultato senza neppure preoccuparsi di conoscerla, perseguitando indegnamente la veggente fino a negarle il Corpo di Cristo, un editore che la pubblica con molto lavoro e fatica, e ne permette la diffusione, non ne può che essere erede spiritualmente, oltre che legalmente. Era un’orfana abbandonata e calpestata dai nuovi farisei (così li chiama il Divino Maestro), che i Pisani hanno generosamente e coraggiosamente risollevato dalla polvere e dalla più che probabile distruzione in preda alla muffa e ai topi. Essi hanno permesso all’Opera, già condannata, e quindi al Pensiero Divino che questa conteneva, esso pure farisaicamente condannato, di vivere e diffondersi. Non vedo niente di scandaloso nell’affermazione che quel Pensiero sia loro eredità: lo hanno meritato. Eredità celeste, in questa e nell’altra vita.

Un’altra critica del tutto fuori luogo (autentica ricerca del pelo nell’uovo) è quella rivolta al dott. Emilio Pisani, secondo cui l’editore “si confonde“ quando dice che il prof. Pende “cercò invano una spiegazione scientifica” mentre al contrario “cercava la prova della medianicità” (p. 268, nota 790). Emilio Pisani, che aveva avuto rapporti personali col Pende, rileva (nel libro Pro e contro Maria Valtorta, edito dal CEV) che Pende “non poteva accettare l’origine soprannaturale dell’Opera, per la quale cercò invano una spiegazione scientifica”. Era stato lo stesso Pende a parlare di “spiegazione scientifica”, perché s’illudeva che la parapsicologia fosse una scienza, ed è ovvio che il dott. Pisani si limita a riportare il modo di esprimersi del Pende, senza per questo dar credito a tale “scientificità”, che non è ammissibile da chiunque abbia discernimento.

Nell’accennare al Commento all’Apocalisse (p. 186), l’autore dimentica di sottolineare che tale commento venne interrotto dal Divino Maestro per punizione al clero ostile, contro il quale ebbe parole di fuoco. La veggente, con suppliche e lacrime, più volte ottenne che quei rimproveri venissero attenuati, per evitare che gli ineffabili chierici la odiassero ancora di più.

Di tutto ciò non vi è traccia nell’estremamente diplomatico testo di don Zucchini, che si sforza di attenuare e giustificare il più possibile il vergognoso comportamento di tanti suoi colleghi e confratelli, ossia della maggior parte del clero, verso la veggente. Questo contrasta in modo nettissimo con l’indignazione del Divino Maestro contro il clero stesso, che giunge fino a prospettare la pena eterna per i nuovi farisei che si opponevano alla pubblicazione dell’Opera e perseguitavano Maria Valtorta. Non a caso il Divino Maestro dettò alla veggente un parallelo fra la Sua Passione e quella della Valtorta stessa: tutti fatti sui quali l’autore, con classica prudenza curiale, soavemente sorvola.

A p. 237, nota 700, l’autore ricorda che “Il consultore del Sant’Uffizio, Monsignor Ugo Lattanzi (…) lasciò scritto che ‘non riteneva assolutamente possibile che la donna che ne è autrice abbia potuto scrivere tanta materia, currenti calamo, senza aver subito l’influsso di un potere preternaturale’” (…) Il dubbio è su che cosa volesse dire il teologo usando la parola “preternaturale”. Questo termine si usa infatti per indicare gli spiriti angelici, i quali superano la nostra natura umana, quindi sono superiori agli uomini; ma sono pur sempre creati, quindi non sono comunque pari a Dio. Gli angeli però si dividono in buoni e cattivi (i demoni): a quali si riferiva mons, Lattanzi?”

L’interrogativo dell’autore è ben posto; infatti proprio questo è il punto: avrebbe anche potuto trattarsi di opera diabolica. Ecco perché tutte le prove scientifiche di questo mondo non bastano a garantire l’origine divina dell’Opera. Insistere su tali prove, come Zucchini tende a fare, non porta a nulla, se a queste non si coniugano imponenti prove di natura spirituale, sulle quali l’autore, a mio parere, non insiste a sufficienza: sottolinea, è vero, la perfetta umiltà e obbedienza della veggente, il suo equilibrio, la sua costante fedeltà alla Chiesa, il dono di sé per la salvezza delle anime; ma non si sofferma sulle molte conversioni ottenute e sul terrore dei demoni se il posseduto viene toccato da un libro valtortiano durante un esorcismo. E si tratta di prove d’importanza enorme, che testimoniano la vera origine dell’opera.

Maria Valtorta passa a vele spiegate ogni test in base agli stringenti criteri per determinare l’autenticità o meno delle visioni, stabiliti dal grande teologo Jean Gerson (1363-1429), cancelliere dell’Università di Parigi, specie nei due trattati De probatione spirituum e De distinctione verarum visionum a falsis, come ho creduto opportuno sottolineare in altra sede (v. BIAGINI E. Maria Valtorta: la testimone della vita di Cristo, Isola del Liri, CEV, 2018, cap. 16).

Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che meritano la massima attenzione le prove spirituali di autenticità, come la misteriosa diffusione dell’Opera in tutto il mondo senza alcuna azione promozionale (anzi le azioni di tal genere si rivelano controproducenti, come se lo Spirito dicesse: “Devi lasciar fare a Me.”), le molteplici conversioni anche solo dopo la lettura di alcuni fascicoli, il terrore dei demoni di fronte alla Parola fedelmente riportata dalla grande e santa veggente. Al contrario, l’insistenza sulle prove scientifiche non scioglie affatto il nodo della bontà o meno di questa, come di qualunque altra, rivelazione privata. Non solo, ma tali prove non scaldano il cuore, non convertono nessuno, mentre l’obiettivo del Divino Maestro nel darci il Tesoro valtortiano è salvare le anime. Egli disse infatti che si sostituiva ai tanti pulpiti vuoti o suonanti parole vuote, a causa delle gravi insufficienze dei chierici. Per quanto importanti e significative siano le prove scientifiche, sono le conferme spirituali ad avere autentico potere di persuasione e conversione.

EMILIO BIAGINI


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