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Emilio Biagini

IL MONDO USURPATO:

BREVE STORIA DEGLI INGLESI

(3a puntata)

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SEMPRE AVANTI SENZA REQUIE

Mentre gli albionici venivano accumulando questa zavorra di malascienza fatta di tesi di comodo miranti alla conquista e al saccheggio, andava avanti senza requie la sistematica spinta ad usurpare territori e sfruttarne le risorse, massacrando, scacciando o sottomettendo chi ci stava prima.

Le Americhe scoperte da Cristoforo Colombo, e le cui coste atlantiche furono esplorate in gran parte da italiani, erano state assegnate da Papa Alessandro VI alle due monarchie cattoliche di maggior potenza navale in Atlantico, Spagna e Portogallo. La divisione era stata sancita dal trattato di Tordesillas del 1494. I conquistatori cattolici incontrarono culture pagane idolatriche, dedite a pratiche orrende di evidente ispirazione demoniaca, come sacrifici umani per “dar da bere” al sole (oggi esaltate dai politicamente corretti laicisti o sedicenti cristiani adult(er)i e idolatri).

A prezzo di enormi sacrifici, fino al martirio, i missionari, con l’aiuto divino delle apparizioni mariane, riuscirono in parte a evangelizzare e civilizzare gli indigeni, che le due monarchie cattoliche protessero finché la crescente pressione anglosassone non giunse dal Nord America a portare la “libertà” (vedi l’articolo Il dominio americano sul mondo, in questo stesso sito), conferendo il potere alle élites creole massoniche, tenute invece giustamente lontane dal potere fino ad allora dai monarchi cattolici, proprio per tutelare gli indigeni, e le cui condizioni peggiorarono subito a vista d’occhio.

Naturalmente, dopo la Scoperta colombiana, il “popolo eletto” inglese non poteva stare a guardare. Risolti con non poco spargimento di sangue i piccoli problemi interni, la “buona” regina Elisabetta I occupò la prima colonia: l’isola oggi canadese di Terranova, nel 1583. Nel secolo successivo gli inglesi aggredirono a tutto campo il Nord America, stabilendo colonie lungo la costa orientale, molte delle quali con funzione penale, che si popolarono piuttosto rapidamente, dato che si poteva essere condannati alla deportazione per reati lievissimi, come il furto di una pagnotta da parte di un affamato, specie per chi aveva la disgrazia di essere irlandese e di avere l’Inghilterra come vicino e padrone.

Naturalmente il “popolo eletto” non mancò di spilluzzicare anche nei Caraibi (Giamaica), in Centroamerica (Belize) e Sud America (Guyana). Nel successivo sec. XVIII gli inglesi conquistarono il Canada francese, ma, a causa del predatorio fiscalismo delle loro élites, perdettero le tredici colonie lungo la costa atlantica, destinate a proliferare fino a formare gli attuali Stati Uniti (vedi articolo citato). La perdita di tali colonie rese necessario reperire altri territori (altrui) nei quali scaricare i propri indesiderabili, e questi furono prontamente trovati in Australia. La Nuova Zelanda, scoperta da James Cook (1728-1779), e molte altre isole del Pacifico furono pure incluse nella collezione. Il grande esploratore inglese venne ucciso nelle Hawaii da un indigeno. Secondo la versione ufficiale, un hawaiiano aveva rubato una scialuppa della spedizione, e Cook venne pugnalato a morte nel combattimento per recuperarla. In realtà sembra che l’esploratore sia stato invece massacrato nel corso di una rivolta, poiché governava le isole come un satrapo orientale. Egli sterminava gli aborigeni con metodi da genocidio, fucilava senza motivo, stuprava regolarmente le indigene. Fu lo stesso re delle Hawaii a guidare la sua gente esasperata alla riscossa contro il tiranno.

Le guerre napoleoniche fornirono il pretesto per impadronirsi della Colonia del Capo (dalla quale col tempo nacque il Sud Africa), essenziale scalo sulla rotta verso l’India, dove la penetrazione coloniale era affidata ai privati della Compagnia delle Indie Orientali. Questa situazione durò fino alla rivolta indiana del 1858, repressa la quale la Corona inglese assunse diretta responsabilità per l’Impero indiano. Anche qui, come in Canada, l’Inghilterra trovò sulla sua strada la Francia, che non mancò di sconfiggere per avere campo libero.

Un rivale più remoto, ma che suscitò le reazioni isteriche degli imperialisti inglesi fu la Russia. Essa doveva essere contenuta nella massa continentale eurasiatica, avendo accesso soltanto a mari freddi; bisognava escluderla ad ogni costo dal Mediterraneo, al quale aveva certo ben più titolo dell’Inghilterra, dato che si affacciava largamente sul Mar Nero che è pur sempre parte del Mediterraneo, mentre la presenza albionica in Mediterraneo era frutto di pura usurpazione; ma poiché diritto e ragione non contano nulla di fronte alla prepotenza, quando la Russia tentò di andare in aiuto dei popoli cristiani oppressi dai turchi nei Balcani, l’Inghilterra, con il potente contributo francese e il microbico apporto piemontese, si precipitò ad impedirglielo (Guerra di Crimea 1854-1855). L’avanzata russa in Asia centrale, poi, sebbene ancora lontanissima dai confini indiani, venne interpretata come una grave minaccia all’Impero indiano. Se ne occupò persino la letteratura, con il romanzo Kim (1901) del massone Joseph Rudyard Kipling (1865-1936), il tardo aedo dell’imperialismo britannico ormai paurosamente dilatato e sul punto di scoppiare. L’isterismo russofobico spinse gli imperialisti inglesi ad invadere più volte l’Afghanistan, destandolo dal suo tranquillo torpore, involontariamente radicalizzandolo e causando una lunga sequela di disastri e di figuracce, nella quale sono attualmente subentrati, ad allungare la serie, senza che se ne veda la fine, i baldanzosi cugini americani.

L’ultimo continente ad essere oggetto di conquista fu l’Africa, dalla quale inglesi ed altri europei avevano attinto in passato milioni di schiavi per le piantagioni. Essendo l’economia di piantagione divenuta secondaria rispetto allo sviluppo industriale, le élites sia inglesi che americane propugnarono l’abolizione della schiavitù per meglio massificare e controllare la forza lavoro, il tutto condito come al solito di bei discorsi umanitari: in realtà l’appiattimento dei sudditi in una massa indifferenziata è l’anima del dominio elitario e il motore delle chiacchiere di “uguaglianza”. L’Africa venne spartita come un melone tra Inghilterra, Francia, Germania e commensali minori, tra il 1884 (Conferenza di Berlino) e l’inizio della prima guerra mondiale. Proprio dopo la fine di tale guerra l’impero coloniale inglese raggiunse la sua massima estensione, avendo fagocitato anche la maggior parte delle colonie della Germania sconfitta.

Era un impero che abbracciava un quarto delle terre emerse e un terzo della popolazione mondiale. Nonostante fosse il più vasto mai apparso nella storia era ancora ben lontano da includere tutto il mondo, e fu proprio la prima guerra mondiale a rivelarne vistosamente le prime crepe (massacro di Amritsar, in India, 1919) che dovevano diventare irreparabili dopo la seconda.

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LE TECNICHE DEL COLONIALISMO

Le colonie si distinguevano, a seconda del clima più o meno favorevole all’insediamento europeo e al numero degli indigeni difficili da eliminare, in colonie di popolamento (con usurpazione sia della terra che delle risorse) o di sfruttamento (con prevalente usurpazione delle risorse). Da aggiungere le colonie strategiche, collocate lungo le rotte dominate dalla marina britannica, che, oltre ad assicurare i rifornimenti di carbone prima dell’avvento del motore Diesel, costituivano il principale puntello militare dell’intero edificio imperiale: una rete di basi che avvolgeva minacciosamente il mondo intero. Gibilterra e Malta rappresentavano la garanzia di protezione della rotta mediterranea verso l’India, dopo l’apertura del canale di Suez, scavato da Luigi Negrelli, suddito austriaco. All’opera erano interessati anche la Francia e naturalmente l’Egitto, ma l’Inghilterra non tardò ad usurpare la grande opera. La medesima rotta per l’India veniva protetta, nella parte dell’Oceano Indiano, dalle basi di Aden e di Socotra.

Nelle colonie di sfruttamento, come quelle africane, l’India e la Malesia, era frequentemente usata l’amministrazione indiretta, lasciando ai leader locali, cooptati nella struttura di potere, l’amministrazione dei loro domini: un sistema diffuso in India e in Africa. In altri casi era il governatore inglese a comandare direttamente, e questo era il sistema anche delle piccole colonie strategiche.

Forme colonialistiche informali vennero realizzate con aggressiva penetrazione commerciale fino ad una vera e propria satellizzazione. Ne fece le spese soprattutto l’Argentina, dove operò per conto di Londra il sinistro avventuriero Giuseppe Garibaldi, iniziato nella massoneria di rito scozzese. La massoneria fu sempre l’agente per la satellizzazione di paesi stranieri. Ne furono colpiti piccoli come l’Olanda, il Belgio, il Portogallo e in modo particolare l’Italia.

Olanda e Belgio erano tenuti sotto controllo in quanto potenziali basi per un attacco all’Inghilterra. Il Belgio stesso è una creazione artificiale: il suo territorio faceva parte del Regno dei Paesi Bassi, che l’Inghilterra volle destabilizzare e dividere per non avere vicini troppo forti presso le proprie coste, per cui vi suscitò e sostenne una sollevazione dei valloni francofoni (1830). L’Olanda poi era ridotta ad agente per conto degli inglesi, dato che, con l’occupazione della Colonia del Capo, questi avevano il controllo assoluto della rotta fra l’Olanda e le sue colonie indonesiane. Il cattolicissimo Portogallo era malgovernato da una cricca massonica persecutrice che giunse a schedare e contrassegnare con numeri i membri del clero.

L’Italia è un caso a parte. Per gli interessi imperiali di Londra sarebbe stato meglio se fosse rimasta divisa, ma ospitava il centro dell’odiata Chiesa e l’alta massoneria inglese ritenne che, distruggendo il potere temporale dei Papi, la Chiesa sarebbe crollata: tipico piano di menti capaci di ragionare solo in termini di potere materiale, ignorando le forze spirituali. Non dice forse San Paolo (2 Cor 12, 10): “Quando sono debole è allora che sono più forte”?

Muovendo le loro pedine massoniche, gli inglesi finanziarono e misero in moto la catena di delitti “risorgimentali” che ridussero una grande nazione a un piccolo stato in balia dei potenti, che la massoneria, non potendo subito iniziare al satanismo del massimo livello di iniziazione cercava intanto di protestantizzare. Non per nulla, il primo civile ad entrare dalla breccia di Porta Pia, appena sfondata dagli eroici bersaglieri sabaudi, fu un venditore di bibbie protestanti. Da allora tutta la storia italiana è diventata la storia dei sofferti tentativi di raddrizzare la malfatta unità. Il fascismo fu uno di questi, la Lega un altro. Errori votati al fallimento per difetto proprio o per opposizione di forze contrarie? Non è il caso di addentrarci in quesiti del genere. Quello che è certo è che il problema di una unità forzata da potenze straniere e ostili è tutt’altro che risolto.

La prima vittima del “risorgimento” fu la Repubblica di Genova, brutalmente annessa dal Piemonte savoiardo nel 1815, su sollecitazione dei prepotenti di Londra. Genova insorse più volte contro gli intrusi, purtroppo con risultati tragici. La brutale repressione dell’insurrezione del 1849 da parte dei bersaglieri sabaudi, con cinquecento vittime e innumerevoli violenze contro le donne, fu direttamente appoggiata dalla flotta inglese. Sempre col costante appoggio inglese, il “risorgimento” dilagò in Italia. L’annessione della Repubblica di Genova al dominio savoiardo aveva scatenato la prima ondata di emigrazione, anche a causa della fame. Vi fu infatti nel 1853 un’ulteriore insurrezione provocata appunto dalla fame (in sette secoli di Repubblica di Genova mai si era verificato alcunché di simile).

Allo stesso modo, man mano che, con l’attivo incoraggiamento inglese, il tallone sabaudo schiacciava parti sempre più estese dell’Italia, la gente fuggiva. L’emigrazione rappresentava il più tragico dissanguamento subito dal paese nell’età moderna. Il regime sabaudo scatenò uno spietato saccheggio del Sud. Le tasse aumentarono in modo spaventoso, non solo per l’intrinseca rapacità del regime sabaudo, ma soprattutto per restituire ai finanziatori inglesi e scozzesi le enormi somme che questi avevano investito nella conquista sabauda dell’Italia, soprattutto per corrompere gli alti gradi dell’esercito e della marina borbonica. Nato con la corruzione e il tradimento, il nuovo stato continuò ad averli nel sangue. Le guerre successive furono sempre più combattute all’insegna della divisione, della renitenza alla leva e del sabotaggio, perché l’autorità al comando non riscuoteva affatto la fiducia del popolo.

L’insurrezione del Mezzogiorno d’Italia, prolungatasi per molti anni, fu repressa dai bersaglieri e dai carabinieri con spaventevoli atrocità degne di Oliver Cromwell e delle sue imprese in Irlanda. Gli insorti furono frettolosamente etichettati dal regime come “briganti”: interi paesi vennero sterminati senza risparmiare né donne né bambini. Dopo lo stupro del Sud il re sabaudo conferì l’alta decorazione della croce dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro a un certocapitano Antonio Restelli che aveva torturato con un ferro rovente un sordomuto di vent’anni, poiché sospettava che fingesse per sottrarsi al servizio militare; sul corpo del disgraziato, morto in seguito alle torture, furono contate centocinquantaquattro diverse ustioni, e contro l’eroico capitano risorgimentale non fu avviato alcun procedimento disciplinare. Le teste degli insorti uccisi venivano esposte proprio come usavano fare gli inglesi in Irlanda. Non si può dire che i conquistatori sabaudi non avessero appreso bene la lezione dai loro mentori albionici.

Crani di “briganti” esposti lungo le strade durante le Insorgenze meridionali.

I conquistatori sabaudi replicarono nel Mezzogiorno esattamente quello che avevano fatto gli inglesi in Irlanda.

 

 

 


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