I Trigotti

Necessaria precisazione: e sia ben chiaro noi non siamo bigotti.

I Trigotti

Categoria: Narrativa (Pagina 4 di 7)

LA LUCE (recensioni)

luce

Una vita onesta apparentemente segnata dalla sfortuna si rivela, a conti fatti, un trionfo al di là di ogni aspettativa. Chi invece sembrava fortunato e inattaccabile, scopre di avere i piedi d’argilla. Il vero protagonista di questo romanzo è la luce, che a poco a poco rivela l’autentica natura delle cose. Chi ama le situazioni ambigue e il pensiero debole (rifugio delle menti deboli) non amerà questo libro. Chi invece crede che la verità esista e sia dato alla mente e al cuore umano di conoscerla potrà forse trovarvi qualche risposta.

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LA LUCE (nota)

LA LUCE

NOTA

 Questo, pubblicato nel 2006 dalla ECIG di Genova, è stato il romanzo di esordio dell’autore, iniziato all’età di diciannove anni, ma completato molti anni dopo. Vi sono evidenti due tendenze, apparse costantemente in romanzi successivi come LA NUOVA TERRA e LA PIOGGIA DI FUOCO:

1) progettare e prevedere la conclusione fin dall’inizio (altrimenti, come spesso succede, il libro, anche se ben condotto, alla fine cade perché l’autore non sa più come concludere),

2), cosa più importante, seguire il protagonista (o i protagonisti) anche nell’aldilà, dopo la fine della vita terrena.

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RIMAZZÙU

Maria Antonietta Novara Biagini

Rimazzúu

 

Col tempo c’è chi diventa nostalgico e pensa che il passato fosse migliore solo perché egli stesso era più giovane e vedeva le cose con altri occhi. Ma che i tempi fossero più dolci in molti casi è innegabile, e i ricordi della mia infanzia a Riomaggiore mi dicono che quello è stato un tempo felice. Come tutti i tempi felici, ahimé, mi accorgo di quanto fosse bello solo ora che è passato.

Il paese era costruito lungo i fianchi di un’aspra valle perpendicolare al mare. Il torrente che vi scorreva era stato ricoperto nel corso degli anni, a partire dall’Ottocento, e costituiva la strada principale del paese. Quasi tutte le case lungo la salita erano attaccate le une alle altre e si differenziavano solo per il diverso colore degli intonaci e per le finestre sfalsate mano a mano che si saliva.

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EMILIO BIAGINI, LA LUCE (nota)

LA LUCE

NOTA

 Questo, pubblicato nel 2006 dalla ECIG di Genova, è stato il romanzo di esordio dell’autore, iniziato all’età di diciannove anni, ma completato molti anni dopo. Vi sono evidenti due tendenze, apparse costantemente in romanzi successivi come LA NUOVA TERRA e LA PIOGGIA DI FUOCO:

1) progettare e prevedere la conclusione fin dall’inizio (altrimenti, come spesso succede, il libro, anche se ben condotto, alla fine cade perché l’autore non sa più come concludere),

2), cosa più importante, seguire il protagonista (o i protagonisti) anche nell’aldilà, dopo la fine della vita terrena.

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LA LUCE CAP. 15

 

In una specie di delirio si sentì investire più e più volte, mentre un terrore arcano, sconosciuto, lo invadeva: un’antica angoscia senza fondo, in cui era travolto e a poco a poco inabissato come tra sabbie mobili. In un crescendo atroce, riviveva l’attimo dell’urto. Tutto il suo essere era teso nello spasimo di terrore del colpo imminente. Il treno mostruoso giocava con lui come il gatto col topo. Non c’era difesa né pietà: non ce n’era mai stata per lui. Egli era il giocattolo del treno, e da uno dei finestrini spuntava a un tratto un viso lungo, giallastro, diabolico, che ricordava il professor “Kon-Tiki”.

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LA LUCE CAP. 14

 

“Perché continuo a comprarlo?” aveva detto”Kon-Tiki” aprendolo “basta già la radio a gonfiarci la testa, e per giunta parlano d’infliggerci la televisione; ma tant’è, quante cose si continuano a fare per abitudine.”

Frontoni e la dottoressa Aléo, terminati i salamelecchi al grand’uomo, attendevano di ricevere vitali istruzioni dalle quali sarebbero dipesi i gloriosi destini della scienza medica. I due schiavi avevano annuito alla brillante battuta. Nessuno aveva fretta di precipitarsi al lavoro. “Kon-Tiki” era di buon umore: finiti gli esami, che lo annoiavano tanto, per tre mesi non se ne sarebbe più parlato.

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LA LUCE CAP. 13

 

Sua madre gli fece il terzo grado per sapere quanto fosse ricca la mitica zia Aurelia, e se avesse accennato a qualcosa che avesse a che fare con testamenti, eredità, cessioni, usufrutti, e tutto ciò che poteva in qualche modo rimpinguare il misero peculio familiare.

Quando le apparve chiaro che la parente non doveva essere ricca sfondata, non aveva accennato ad alcuna eredità, e che comunque Paolo aveva fatto poco caso a questioni del genere, la “Salvatrice” si adirò moltissimo. Possibile che avesse generato un figlio così idiota? A che gli serviva la “proposcide”, se non gli serviva  a captare l’odore dei soldi? Se non fosse stato per lei sarebbero tutti finiti “a pan dimandato”. E perché continuava a guardarla con quella faccia da deficiente? Quella faccia. Basta con quella faccia. Non voleva più vedere quella faccia.

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LA LUCE CAP. 12

Si diceva che fosse ricchissima. Abitava in una villa sulla Riviera adriatica, sola con due cani da guardia e una cameriera vecchia e sorda. Aveva sempre ignorato i parenti poveri, e i giudizi sul suo conto erano di solito assai aspri.

La signora Aurelia, dal canto suo, non aveva più l’età in cui ci si lascia facilmente turbare dall’opinione altrui. Inoltre avrebbe potuto dire a sua discolpa:

“Non sono neppure una vera sorella di quella pappa molla di Anselmo. Nostro padre si è sposato due volte. Io sono figlia di primo letto, lui di secondo. E poi chi si è mosso quando ho avuto quella specie di infarto? Già, con l’arpìa che ha sposato…”

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LA LUCE CAP. 11

 

Una settimana dopo, Berlino Est insorgeva. Il grande autocrate che faceva tremare il mondo era miseramente morto. Chissà se lo avevano assassinato i suoi più stretti collaboratori, che temevano di finire fucilati o in Siberia come tanti prima di loro? Comunque non c’era più, e il castello aveva subito cominciato, come si dice, a “tirare sassi”, cioè a mostrare segni di sfacelo. Mancavano ancora molti decenni al crollo finale, ma la gente nel “paradiso dei lavoratori” cominciava ad alzare la testa.

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LA LUCE CAP. 10

Al posto dell’immagine divina, egli aveva innalzato nel suo cuore l’immagine paterna, l’idolo infallibile.

Ora tutto era crollato. Il tempio del falso dio era in rovina, la statua in briciole, gli scorpioni facevano il nido fra le pietre.

Lucia non c’era più. Anche da viva aveva turbato il fratello. Nessuna tragedia esplode all’improvviso. I ricordi emergevano adesso nella memoria di Alberto in tutta la loro sinistra luce, lampi premonitori che egli non aveva saputo comprendere in tempo. Certi macabri disegni di lei, tante domande sull’al di là, l’espressione disperata del suo volto in alcuni momenti. Voleva sapere se c’è qualche speranza di consolazione, se c’è un’altra vita. Già, perché da questa vita cosa poteva sperare?

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