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Erano una bellissima coppia, John e Philip. Atletici, biondi ed eleganti, “sposati” di fronte al sindaco del loro comune, che era quello di Shrewsbury, l’amena cittadina inglese alla quale spettava l’incommensurabile onore di aver dato i natali al grande genio della biologia Charles Darwin, autore della teoria dell’evoluzione per selezione naturale, elevata ormai a dogma assoluto e incontrovertibile, la cui incondizionata accettazione era condizione indispensabile per poter fare carriera in qualsiasi campo.
I progressi dell’ingegneria genetica permettevano agli esseri umani di nascere senza quegli odiosi peli superflui, in modo da avere la pelle meravigliosamente liscia e vellutata. Solo i mentalmente sottosviluppati papisti superstiti ricorrevano ancora al superato metodo tradizionale, mentre i progrediti e aggiornati laicisti si affidavano, per la riproduzione, alla provetta.
Quel mattino, dopo aver fatto la consueta doccia a raggi UVA per mantenere l’abbronzatura hawaiiana, specchiandosi per controllare i risultati sul solido e muscoloso corpo che suscitava invidie mentre passava per la strada, John notò con orrore che un pelo gli era spuntato sulla faccia, gettando una brutta ombra sulla sua guancia sinistra. Un altro pelo oscurava la bellezza del suo muscoloso torace.
— Phil, vieni a vedere — esclamò con orrore.
Ma anche Philip, detto Phil, suo compagno per la vita, aveva il medesimo problema: quattro peli erano misteriosamente cresciuti sul suo magnifico corpo abbronzato. Con foga disperata se li strapparono, ma ricrebbero subito, a ciuffi.
Dal piano di sopra si sentiva singhiozzare disperatamente. Sue ed Ellen, l’una attrice pubblicitaria e, occasionalmente, un poco porno, l’altra manager di una casa di prodotti di bellezza. Addirittura Sue si era svegliata scoprendo, sul naso della compagna che dormiva accanto a lei, un pelo biondo. Al suo grido di orrore, Ellen si svegliò e, in un crescendo di disperazione, aveva scoperto alla “compagna” tre grossi peli fra i seni.
Tutto questo avveniva nel prestigioso quartiere di Rainbow Hill, immerso nel verdee dotato di piscine, campi da golf, fitness centres, enormi winter gardens dove anche nel freddo inverno inglese di poteva avere la sensazione di trovarsi in un paradiso tropicale. A Rainbow Hill risiedeva la crema della società e avevano sede i più prestigiosi uffici, nonché l’importante centro di inseminazione artificiale intitolato al grande Charles Darwin. In una provetta del centro, stava frattanto crescendo un embrione con quattro (orrore!) peli. Era “figlio” di Rupert, presidente di una multinazionale biochimica, e di Sara, nota indossatrice, la quale, per non rovinare la propria linea ed essere sicura delle virtù del pargolo, avevano scelto dal catalogo “Perfect Baby”, presso il famoso centro di inseminazione Carles Darwin, un pargolo di intelligenza, bellezza e perfezione tali da essere degno della nobile schiatta dei genitori. Tutto ciò per la modica cifra di cinquecentomila sterline. Il pargolo continuò a crescere e crescere in un apposito uterone artificiale superaccessiorato che già aveva sfornato i migliori rampolli dell’esclusiva società di Rainbow Hill.
Il giorno convenuto, i genitori si recarono trepidanti al “Charles Darwin”, recando una carrozzina di lusso, un magnifico corredino degno del principe di Galles e uno scimmiotto di peluche. Furono accolti con grandi cerimonie dal professor Utang, genio coreano dell’inseminazione artificiale, che li condusse con un ampio sorriso nella nursery:
— Ora assistere al prodigio della nascita del vostro piccolo DB333. —
L’esimio cattedratico schicciò numerosi bottoni, si aprì uno sportello e venne silenziosamente fuori la culla termica dove la creatura era cresciuta in tutti quei mesi. A differenza dei volgari figli degli umani, il piccolo non piangeva, ma spalancò due occhioni blu e sorrise: stava coricato sulla schiena con le manine strette a pugno sul petto e le gambe piegate in posizione fetale. Quando aprì due meravigliosi occhi azzurri e vide i genitori sorrise e si illuminò tutto di gioia.
Rupert e Sara Jones, pur avendolo già scelto sul catalogo, erano impreparati all’emozione di vederlo finalmente realizzato. Sara lo prese amorevolmente in braccio. Il bimbo sorridente allargò le braccia e, con orrore, Sara vide quattro peli biondi che svettavano sul petto, deturpando quelli che erano i canoni della perfetta umanità, frutto dell’evoluzione della specie inorridirono. Quella involuzione del sacro darwinismo, che aveva determinato la perdita del pelo come essenziale distinzione della “specie” umana rispetto alle “altre scimmie”, era una minaccia, un’ombra oscura sull’intera concezione evolutiva di un’umanità. E metteva in forse le conquiste dell’ingegneria genetica e, con esse, l’intera idea dell’inarrestabile progresso dell’umanità laica, finalmente liberata dalle medievali pastoie papiste.
Sara depose con orrore il figlio nella culla e Rupert, con cipiglio feroce, guardando il professor Utang, esclamò:
— Non vogliamo questo mostro; il contratto deve ritenersi rescisso, annullato, stracciato, bruciato. —
— Ih, ih, ih, ammazzatelo, ammazzatelo, bruciatelo, non lo vogliamo, — singhiozzò Sara — è un essere orrendo, ci vergogniamo di lui. Chissà cosa direbbero i vicini? —
— Ma signora, la prego — cercò di ragionare il professor Orang Utang — signor Jones, consideri ……. vi prego ……. considerate ……. il bambino è perfetto. Cosa volete che siano pochi peli? —
— Sono un inaccettabile regresso nella nostra evoluzione, — tuonò Rupert — pretendiamo che questo prodotto, danneggiato senza dubbio da qualche vostro errore di manipolazione, venga distrutto. Il nostro contratto è annullato. —
— Ma no, ma no, non potete, lo abbiamo eseguito alla lettera; non ci sono stati errori; ho controllato tutto io personalmente — protestò Utang.
— Se insistete ci vedremo in tribunale — concluse Rupert mentre se ne andava infuriato con Sara, la quale, sulla soglia, gridò ancora:
— Non voglio più vederlo, ammazzatelo, ammazzatelo. —
Ma non fu possibile esaudire quel pio desiderio, perché quel bambino così mal riuscito divenne ben presto corpus delicti, ossia corpo del reato. Infatti si trasformò nel nodo del contendere nella causa (caso DB333) tra il centro di inseminazione artificiale “Charles Darwin” da una parte, e i signori Jones. Il “Charles Darwin” pretendeva di essere pagato la sommetta pattuita di mezzo milione di sterline, mentre gli avvocati della parte avversa sostenevano la nullità del contratto fosse nullo, sulla base della circostanza inconfutabile che il documento specificava accuratamente che la prole doveva essere glabra, secondo le sacre e inderogabili tendenze dell’evoluzione.
Nell’attesa che i tribunali, di grado in grado di giudizio e di appello, risolvessero l’ardua questione, il bambino doveva pur essere affidato a qualcuno. E dunque a chi, se non a quei retrogradi, miserabili paleolitici di credenti cattolici, sopravvissuti, nella gloriosa patria della libertà, alle stragi protestanti da Enrico VIII in poi, alle magnifiche sorti e progressive dell’illuminismo, alla secolarizzazione, al laicismo, alla scientifica scienza scientista, alla rivoluzione dei costumi morali, alla proibizione di leggere i passi della Bibbia che condannano il vizio contro natura? A chi, se non a quei rifiuti dell’umanità che, nella patria dell’uguaglianza, occupavano gli scalini più infimi della gerarchia sociale? A chi, se non a quella specie di pitocchi deficienti che si ostinavano a credere nella verginità della Madonna e alla Resurrezione del Redentore? A chi, se non a quella specie di mentecatti che negavano il mirabolante progresso della società laica?
Così, la donna delle pulizie Mary e suo marito, l’umile giardiniere Francis Depola (o De Paula), di lontana origine ispanica o italica, si presero cura del povero bambino, facendolo battezzare Johannes (o John). Il piccolo crebbe insieme agli altri otto bambini di quella coppia di quei poveri sciocchi, insensibili alle sirene del sacrosanto controllo laicista delle nascite.
Il caso giudiziario DB333 divenne un affare internazionale, del quale si occuparono, dall’alto della loro prestigiosa autorità, con pronunciamenti di vasta portata giuridica, la Corte internazionale dell’Aja, il Parlamento europeo e l’Assemblea generale dell’ONU. La causa venne discussa da giudici che diventavano sempre più pelosi e scimmieschi, e andò avanti per ventitré anni. Quando finalmente la sentenza arrivò, fu salutata come una pietra miliare nella cultura giuridica mondiale. La decisione andò a favore del “Charles Darwin”: i “genitori” dovevano pagare le loro brave cinquecentomila sterline, più interessi e spese processuali, e quindi oltre due milioni di sterline.
Una cifra che avrebbe potuto rimettere egregiamente in piedi il glorioso centro di inseminazione artificiale intitolato al prestigioso fondatore dell’evoluzionismo per selezione naturale. Peccato solo che il “Charles Darwin” fosse andato in fallimento due anni prima, sepolto dalle cause legali e dal pelame che spuntava sempre più aggressivo su tutti i neonati. E neppure c’era qualcuno che potesse pagare per quella prima decisiva causa DB333: dei due “genitori”, Sara era morta e Rupert era diventato un grosso e triste scimmione ricoverato allo zoo di Londra.
Tutti quelli che avevano creduto nell’evoluzionismo erano rapidamente regrediti a scimmie, grosse, brutte e pelose, molto più brutte delle autentiche scimmie, come gorilla, oranghi, scimpanzé e gibboni. Quanto lenta era stata la presunta “evoluzione”, tanto rapida era stata l’involuzione, molto probabilmente accelerata dai temerari interventi di ingegneria genetica tesi a “migliorare la specie”.
Al contrario, quelli che si erano abbandonati alla volontà di Dio Padre nascevano e crescevano belli e radiosi. Johannes, allevato presso il cattolico Francis Depaula,  del quale aveva naturalmente assunto il cognome, stava benissimo. Aveva solo i suoi quattro peli, e non gliene erano spuntati altri. Il giorno stesso nel quale fu pronunciata quella nuova pietra miliare del diritto, l’epocale sentenza sul caso DB333, avvenne qualcos’altro che indirizzò per sempre il destino di quel figlio rifiutato dai “genitori”.
Johannes, insieme al suo quasi coetaneo Columba, l’ultimo nato della nidiata di Francis, che era stato suo compagno di giochi, entrò nel ricostruito monastero dell’isola di Iona, ritornata dopo secoli al suo ruolo di luce monastica. Mentre i due nuovi monaci concelebravano, nella chiesa del monastero, la loro prima Messa, precisamente nello stesso momento dell’Elevazione, un raggio di luce illuminò Rupert, il vecchio scimmione allo zoo di Londra, e una lacrima di commozione sgorgò dai suoi occhi.

ORAZIA


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