Chi non sa fare un aforisma farebbe bene a rinunciare a scrivere.
Il libro più bello è quello che non si ha il coraggio di scrivere perché rivelerebbe troppo di noi stessi.
Si deve scrivere anzitutto per il proprio piacere. Se poi si vendono tanti libri e arride il successo da parte di pubblico e critica, bene. Se no, tanto peggio per il pubblico e la critica.
Il vero guaio è che la gente non legge.
In epoche in cui non c’erano né radio, né televisione, né internet, era senza dubbio più facile fare lo scrittore; solo che anche allora chi non era massone faceva poca strada.
Goethe era massone, Schiller era massone, Carducci era massone, Pascoli era massone: ma costoro sono emersi dall’anonimato per i loro meriti o perché i loro colleghi contemporanei, forse migliori di loro, che massoni non erano, sono stati ridotti al silenzio?
Volete rischiare la scomunica? Scrivete un saggio in difesa di una santa non riconosciuta e perseguitata dalla Chiesa, ad esempio Maria Valtorta.
Volete essere popolari nel mondo e nella Chiesa? Scrivete romanzi alquanto pornografici aventi per protagonisti invertiti “buoni” e omofobi “cattivi”.
Le esperienze negative avute dal prossimo sono la preziosa materia prima della satira.
La satira è anzitutto pensiero.
Dove finisce la satira finisce la libertà.
La satira è arte, l’insulto è l’arte dei perdenti.
La denuncia penale contro un autore di satire è l’arte dei delinquenti.
Il sogno dello scrittore satirico: scatenare un putiferio.
Se lo scrittore satirico non fa scatenare un putiferio non è degno di chiamarsi scrittore satirico.
Sfogare l’indignazione sulla pagina non corregge il mondo, però mantiene sano il fegato di chi scrive.
La malignità è senz’altro da respingere, specie quando uno ha già la propria.
Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi, il riso amaro appare qualche volta sulla bocca di chi del tutto sciocco non è.
Chi vuol vivere tranquillo, andando d’accordo con tutti, si accorgerà alla fine di non aver vissuto.
Il nemico naturale dello scrittore satirico è il beota politicamente corretto.
Purtroppo il beota politicamente corretto è quello che comanda.
La prima cosa da scrivere in un romanzo o in un racconto è la conclusione.
Chi incomincia un romanzo senza sapere come concluderlo è come uno che si getta da un precipizio sperando di non sfracellarsi.
Lo scrivere narrativo non si può né imparare né insegnare: o lo si ha nel sangue o è meglio non cominciare nemmeno.
Per poter scrivere bisogna prima vivere.
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