In una lunga serie di successivi concorsi di pari imparzialità ed onestà, aveva messo in cattedra numerose copie relativiste di se stesso, in modo che la sacra fiaccola del relativismo politicamente corretto continuasse ad ardere sotto il sedere di chi accedeva ai sacri precinti dell’italica accademia, e in particolare in un insulare e periferico ateneo il cui nome non vale la pena di ricordare.
Ora si trattava di relativizzare il mostro anti-relativo, colui che, avendo purtroppo alcune certezze, rifiutava di comprendere l’assoluta natura probabilistica della ricerca “scientifica”, e quindi aveva scritto un “cumulo di sciocchezze” che offendevano la “deontologia professionale”.
Le opinioni del barone della scienza relativa erano invece ben lontane dall’offendere la “deontologia professionale”, specie quando egli esercitava i due neuroni del poco cervello rimasto a trinciare giudizi su argomenti di cui non si era mai occupato, dei quali non sapeva nulla, ed esposte in libri che non aveva mai letto.
Deposta la penna d’oca, il decano della scienza relativa inviò la vecchia fantesca ad imbucare la lettera per il quotidiano relativisticamente superobiettivo, che di certo l’avrebbe pubblicata nella relativa “corrispondenza dei lettori”, col massimo entusiasmo relativo.
Soddisfatto di sé, il decano relativo uscì, appoggiandosi al relativo bastone, a fare due relativi passi. Purtroppo, nell’attraversare la strada relativa, una maleducata automobile, dimentica della propria esistenziale relatività, lo colse in pieno. Una prece relativa.
MARIA ANTONIETTA NOVARA BIAGINI
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