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L’OSCURO MONACHELLO

Racconto d’ottocentesca fattura dedicato a nonna Speranza

In un caldo pomeriggio di tarda estate alcuni anni orsono, chi si fosse affacciato al verone dell’avita residenza prospiciente l’affollata arteria centrale della pulsante metropoli, avrebbe potuto discernere la tremolante figura di un esile monachello alto neppure un metro e mezzo, che avanzava a fatica tra la folla cercando di non pestarsi la lunghissima barba. Tutto il suo portamento periclitante denunciava l’età ormai prossima al compimento del secolo e le maceranti notti trascorse in preghiera.

D’un tratto feceglisi incontro un baldo giovane di neppur vent’anni, dal color d’ebano, porgendo un berretto in atto di chi, tapino, elemosinando vada. Al che il monachello impietosito, da un risvolto della consunta tonaca estrasse un lustro biglietto da dieci baiocchi (usava infatti ricevere molte elemosine che tutte ridistribuiva ai poverelli) e con mano tremante lo porse al muscoloso giovanotto. Nel ciò fare, avventuratamente urtavansi la tremolante bianca mano del monachello con la forte mano nera dell’atletico mendicante. Costui di colpo prendeva ad urlare, spaventando non poco il monachello che, imbarazzato, procurava di allontanarsi.

Ma l’atletico giovane inseguivalo urlando tra la folla, con incomprensibili parole in idioma affrikio. La gazzarra non poteva sfuggire ai vigili occhi dello Stato protettore delle vedove e degli orfani, il quale prestamente si appalesava nelle persone di due armigeri che incontamente ponevano fine al tumulto, fermando i due protagonisti, di cui ascoltavano i contrastanti racconti, non prima d’essersi procacciati un acconcio interprete esperto in affrikieria. Al che il baldo figlio d’Affrikia prontamente accusava il monachello d’averlo toccato.

Il giorno seguente, i ben informati giornali della nazione recavano tutti pressappoco i medesimi titoli: “Un nuovo scandalo scuote la traballante barca di San Pietro. Monaco novantottenne, in pieno giorno e sotto lo sguardo attonito della folla smarrita, violenta giovane affrikio diciannovenne”.

EMILIO BIAGINI


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