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Giornale di arte delle costruzioni – Con le pagine aggiuntive – Cronaca artistica e mercato d’arte – Nuova Serie – Anno ventesimo  – Lipsia – Editrice di E. A. Seemann – 1909 [Purtroppo le foto qui riprodotte sono di qualità scadente, forse perché hanno sofferto nel passaggio dalla pagina originale alla fotocopia. N.d.T.]

Paul Schubring

GIOIA DEL COLLE

(traduzione dal tedesco di Emilio Biagini)

Fra i castelli di caccia e le fortezze degli Hohenstaufen, che al tempo di Federico II furono costruiti o ristrutturati in Puglia – si tratta nell’insieme di 20 castelli – fino ad ora veniva considerato più significativo e grandioso Castel del Monte, edificato presso Andria sugli ultimi contrafforti delle Murge. Questa preminenza rimarrà sempre allo splendido ottagono che come una corona riposa sul cuscino di montagne. La localizzazione solitaria, lontana da tutti gli insediamenti civili, ha protetto il castello da ricostruzioni e aggiunte posticce – ma non dai saccheggiatori, che per secoli utilizzarono la potente struttura architettonica come cava di pietra, ed ha strappato e portato via tutto ciò che era trasportabile, non solo l’intero paramento, ma anche le lastre marmoree delle pareti, larghe parti dei pavimenti, dei caminetti, del pozzo, e così via. Così in Castel del Monte si possono solo formulare ipotesi sulla destinazione dei singoli spazi, dove l’imperatore Federico viveva – non vi sono purtroppo documenti su Castel del Monte –, e quali spazi fossero destinati agli ospiti e alla servitù. Parecchio si potrà chiarire dal confronto di Castel del Monte con altri castelli, ad esempio l’interno del castello di Bari offre informazioni dettagliate e siamo in attesa della monografia complessiva sui castelli dell’Italia meridionale del Dott. Haselhoff.

Un inaspettato arricchimento si è avuto in anni recenti grazie al restauro di un castello di cui finora l’osservazione delle strutture interne era pressoché impossibile. Già 14 anni fa avevo visitato il castello di Gioia del Colle, situato su un piccolo rilievo tra Bari e Taranto presso un boschetto, l’antica Selva reale, senza riuscire a vedere altro che due quadrate, e poderose torri rustiche, difficili da raggiungere a causa del bucato steso e delle vecchie che lì stazionavano. Attualmente la situazione è mutata: un conte romano, Del Resta, ha comprato l’intero edificio e, valendosi dell’architetto barese Pantaleo, ha rimosso tutte le sovrastrutture – spendendovi la cospicua somma di 70.000 lire – e il risultato è brillante in modo sorprendente. Nei muri divisori sono state scoperte, immerse nella calcina, grosse parti delle antiche lastre, bassorilievi, capitelli, sedili e caminetti, e perfino il grande e magnifico trono della sala delle feste. Parimenti è stato possibile rispristinare i lati sud e ovest della struttura esterna, senza bisogno di alcuna aggiunta. L’ingresso occidentale appare nuovamente nell’aspetto originario, la magnifica scalinata della corte con la grande loggia è interamente rispristinata, come pure gli spazi del primo piano. Non si tratta di fantasia romantiche di castelli, poiché quasi tutto è originale, e solo qua e là vi sono particolari, come capitelli e simili, copiati dal modello vicino. Questa riconversione – evitiamo di proposito l’altra parola [probabilmente “restauro”] – è tanto più soddisfacente perché non si tratta solamente di architettura e decorazione del tredicesimo secolo. La costruzione di questo castello di caccia (Gioia è il nome allora corrente per indicare una casa di villeggiatura amena e di caccia) risale agli inizi del secolo dodicesimo. È noto che fu Tancredi d’Altavilla, uno dei primi normanni che da Salerno, intorno al 1040, prese stabilmente piede in Italia meridionale. Dei suoi numerosi figli il più celebre fu Roberto il Guiscardo. Un fratello più anziano di Roberto, Drogone, è il padre del costruttore di Gioia. Si chiamava Riccardo Siniscalco (1081-1115)[1]. Il documento riguardante il castello dice: “Anno 1111 castellum nostrum Joi quod nos per gratiam et auctoritatem Boamundi principis nostri nostro labore et dispendio edificavimus.” Se ne deduce che vi era anche a Gioia un castello, e poiché il castello costruito a Bari nel 1131 da re Ruggero ha torri rustiche, anche l’attuale edificio deve risalire nell’insieme a questo antico periodo. Successivamente Gioia restò in possesso dei nobili normanni fino alla fine del secolo, quando l’imperatore Enrico VI Hohenstaufen ottenne il possesso non solo della Sicilia ma anche della Puglia. Più tardi, dopo la morte dell’ultimo principe normanno Tancredi da Lecce (1193), anche Gioia divenne possedimento degli Hohenstaufen. Numerose decorazioni, come l’aquila Hohenstaufen e il sigillo di Federico II intagliati in pietra, dimostrano che questo imperatore abbellì e usò il castello. Un’antica tradizione riferisce che il feretro dell’imperatore, che morì a Ferentino nel 1250, mentre veniva portato a Taranto (e Palermo) sia stato esposto una notte nella sala del trono di Gioia. Un’altra tradizione collega il grande imperatore a Gioia: sembra che la sua amata Bianca Lancia sia stata sepolta qui. Sospettata di infedeltà, sarebbe stata imprigionata, avrebbe partorito in carcere un figlio che aveva sulla spalla la voglia del suo imperiale padre. La madre mandò il bambino all’imperatore insieme ad entrambe le sue mammelle che si era tagliate. Troppo tardi Federico riconobbe il suo errore. Quando volle liberare l’innocente, ella era già morta. Bianca sarebbe stata sepolta a Gioia. In effetti al piano terra della torre delle donne è stata rinvenuta una tomba saccheggiata, alla cui parete sono murate due mammelle di marmo.

Già in passato l’architetto Ettore Bernich in “Napoli nobilissima” (VII, fasc. XII) aveva tentato di ricostruire la pianta del castello[2]. Ma in punti importanti ha commesso errori. La sua pianta è corretta nello schema pressoché quadrato lungo il quale si allineano le stanze; al lato meridionale si trovano due torri d’angolo, la torre del mastio o torre degli uomini e la torre del gineceo (torre delle donne); se in passato vi fossero altre simili torri d’angolo è dubbio. Segue una breve descrizione delle figure, che rappresentano la situazione attuale.

Fig. 1. Il lato occidentale dall’esterno; a destra è visibile la torre degli uomini (fig. 6). Le quattro finestre rettangolari inferiori danno luce alla scuderia in tutta la sua ampiezza. A sinistra dell’ingresso al piano superiore vi sono le stanze degli alabardieri e l’altana. Le altre tre finestre a pieno sesto del primo piano appartengono alla sala del trono.

Fig. 2. Veduta del lato meridionale sinistro dall’esterno e della torre degli uomini, nella cui parte inferiore si trova la prigione, e di sopra tre piani di camere per gli uomini. La cosiddetta porta dell’imperatore è sormontata da un astrico [dal latino medievale astricu(m) e dal nominativo plurale greco ta ostraka, “cocci”, con agglutinazione, N.d.T.] da cui si potevano versare pece e olio. Le piccole finestre spesse a pieno sesto sono di età normanna, le bifore sono invece più tarde. Qui si trova al piano superiore la sala da pranzo, di sotto la cucina e lo stretto corridoio dell’ingresso. Ovunque merli del tetto piatto che hanno piccoli intagli. Il bugnato delle torri rustiche segue modelli antichi.

Fig. 3. L’altro lato del medesimo muraglione meridionale con la torre delle donne, che sporge maggiormente di quella degli uomini. All’interno della torre la panetteria (qui la tomba di Bianca Lancia), dove ancora si conserva il grande forno. Di sopra tre piani di stanze delle donne. Partendo dalla torre degli uomini un passaggio costeggia i merli raggiungendo la torre delle donne.

Fig. 4. Il cosiddetto portale dell’imperatore (la porta è nuova) sul lato meridionale.

Fig. 5. L’ingresso principale, il muro di cinta con la finestra chiusa da inferriate del portinaio. Di fronte al muro di sinistra un banco marmoreo (non visibile), probabilmente destinato alla deposizione dei tributi in natura dei servi della gleba.

Fig. 6. La torre degli uomini dal lato occidentale. Le finestrelle a sinistra danno luce alla scala della torre.

Fig. 7. Veduta della corte dal muro meridionale, a sinistra la torre degli uomini. La porta a sesto pieno a destra conduce alla cucina, quella di mezzo alla porta dell’imperatore, la piccola a sinistra alla panetteria. Il portale all’estrema destra del muro occidentale conduce alla scuderia. La grande finestra della sala da pranzo probabilmente risale al periodo postfredericiano dei benedettini, la bifora è del tredicesimo secolo.

Fig. 8. Sotto la finestra principale come nella Fig. 7. Veduta sul beccatello dell’astrico e sul corridoio di collegamento tra la torre degli uomini (a destra) e quella delle donne.

Fig. 9. Veduta del lato occidentale della corte con la scalinata scoperta. Sotto, a destra, lo scheletro dell’arco del corridoio d’ingresso, adiacente una scala di accesso alla scuderia. La scalinata, che appare essere un’anticipazione della celebre scalinata del Bargello di Firenze [la cui costruzione ebbe inizio nel 1255, N.d.T.] presenta al marcapiano una decorazione a bulbi simili a bottoni, che precede quella della cancellata di Bitonto, datata 1228; si vede inoltre un rivestimento a lastre con decorazioni a tratti geometriche, a tratti zoomorfe (leone, cervo, cinghiale, una rappresentazione simile alla Selva reale). Molto ricca e pittoresca l’immagine della parte superiore del muro, con i cinque archi del loggione e le finestre che danno luce alla stanza degli alabardieri (a destra) e alla sala del trono (a sinistra).

Fig. 10. Veduta della loggia verso il muro meridionale, all’estrema destra la finestra squadrata della stanza degli alabardieri, poi la porta conducente alla sala del trono.

Fig. 11. Il trono prima della ricostruzione (cfr. Fig. 15). Particolarmente interessanti le lastre del sedile, con una decorazione che ricorda le ornamentazioni zoomorfe con uccelli di ascendenza sassanide.

Fig. 12. La sala del trono, veduta dal nord verso la torre degli uomini, che sporge in modo cospicuo, e dei grandi archi scheletrici che separano circa un quarto della sala; dietro ad essi la porta conducente alla scala della torre. Alle pareti banchi di pietra, in primo piano a destra il camino.

Fig. 13. La medesima sala vista dal trono.

Fig. 14. L’astrico della torre delle donne.

Fig. 15. Il trono per il principe e la principessa. Le incisioni ornamentali era probabilmente riempite di pece e cera. A destra le porte per le camere dei signori e la scalinata della torre.

Fig. 16. Il camino nella sala del trono.

Fig. 17. Due finestre all’angolo formato dal muro meridionale e da quello occidentale (visibili dall’esterno nella Fig. 7). In queste finestre fra le trifore si trova l’aquila degli Hohenstaufen.

Fig. 18. La grande finestra del refettorio nell’ala meridionale, fra la torre degli uomini e quella delle donne, presumibilmente risalente all’epoca dei benedettini.

Fig. 19. Veduta di parti della scalinata della corte, già abbattute, poi recuperate e non ancora rimontate.

Fig. 20. L’incantevole camera delle serve, a sinistra presso il refettorio. La scalinata, dello stesso tipo di quella della corte, conduce al gineceo. A sinistra il camino, e vicino la finestra strombata con un serbatoio d’acqua. La porta sotto la scala conduce ad un’ulteriore scala che porta alla panetteria.

Fig. 21. L’interno della scuderia. Gli archi si appoggiano fortemente al muro esterno di destra. Le quattro finestre sono visibili dall’esterno nella Fig. 1. Subito al di sotto la porta della prigione.

Fig. 1

Figg. 2 -3

Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7

Fig. 8

Fig. 9

Figg. 10-11

Figg.12-13

Fig. 14

Fig. 15

Figg. 16-17

Figg.18-19

Fig. 20

Fig. 21

All’architetto Pantaleo va riconosciuto un grande merito per il modo in cui ha pazientemente ricercato e assemblato i frammenti uno ad uno. Ne è nata una ricostruzione da far arrossire noi tedeschi. Forse la fortuna gli sarà propizia anche quando ripulirà i lati orientale e settentrionale. Una croce al lato orientale della corte sembra indicare che qui si trovasse la cappella al tempo dei benedettini. È tuttavia possibile che questo spazio fosse destinato ad usi religiosi anche al tempo dei normanni. L’architetto spera di poter rinvenire anche le parti di una seconda scalinata della corte, che si trovava all’angolo di nord-est. Inoltre mancano ancora il pozzo e il bagno.

Complimenti alla Puglia per questa nuova grande ricchezza. È in aumento il numero dei viaggiatori che visitano le cattedrali normanne lungo le sue coste e i castelli degli Hohestaufen sugli antichi terreni di caccia. A ragione l’Istituto Storico di Roma ha dedicato il suo interesse per intero a queste costruzioni imperiali tedesche. Speriamo che la fortuna che ha favorito il restauro di Gioia ora favorisca anche altri castelli, in particolare il grande castello di Bari che promette ancora parecchie sorprese.

[1] Su di lui vedi G. Guerrieri: Il conte normanno Riccardo Siniscalco e i monasteri benedettini (cavosi?) in Terra d’Otranto nei secoli XI-XIV, Trani, Vecchi, 1809

[2] Pianta riprodotta in Schubring, Schloß- una Burghausen der Hohenstaufen in Apulien [Die ? , edito da ? Stuttgart, Spemann, Castelli e case degli Hohestaufen in Puglia, edito da ? Stoccarda, Spemann]


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