MATRIGNA NATURA
Il piagnisteo ambientalista politicamente corretto cerca di persuaderci che “madre Natura” è fragile, che siamo troppi, che ne siamo gli ingrati e scriteriati padroni, che la stiamo distruggendo, e via piagnucolando e accusando, sempre col dito puntato. La realtà è ben diversa. La natura potrebbe spazzarci via come un nonnulla, e di certo prima o poi lo farà, se prima non ci massacreremo fra noi da soli. Gli ambientalisti la presentano col mite volto un po’ assonnato del povero panda minacciato di estinzione, dimenticando che la natura spietata ha distrutto milioni di specie.
La natura inquina (basti pensare alle gigantesche emissioni di gas velenosi dai vulcani), la natura è pericolosa, la natura minaccia l’uomo molto più di quanto l’uomo minacci la natura. La dinamica interna della Terra scatena terremoti distruttivi mietendo vite umane.
Forse, più che “madre”, sarebbe il caso di chiamarla “matrigna”. Tanto per farla finita con le chiacchiere e ragionare con un po’ di realismo, vogliamo passare in rassegna alcuni dei possibili rischi che la matrigna ci prepara? Sono rischi che scaturiscono dall’autodistruttività della natura stessa.
ASTEROIDI E COMETE
Il 30 giugno 1908 un corpo celeste non identificato, forse una testa di cometa, si abbattè in Siberia, nella regione del fiume Podkamennaja Tunguska (Tunguska Pietrosa), esplodendo in aria con una potenza stimata da 2 a 5 megatoni, devastando un’area di oltre 2000 km2 e distruggendo 60 milioni di alberi. Se ciò fosse accaduto su una grande città avrebbe causato milioni di vittime.
Apophis, un asteroide del diametro di 250 m passerà il 13 aprile 2029 a breve distanza dalla Terra. Potrebbe avvicinarsi in modo che la sua orbita venga modificata dal campo gravitazionale terrestre, così da colpire la Terra al suo prossimo appuntamento nel 2036. Un suo impatto sulla terraferma devasterebbe una buona metà di un continente come l’Europa, mentre se cadesse in mare provocherebbe uno tsunami di immani dimensioni e, sfondando la crosta basaltica oceanica, scatenerebbe eruzioni vulcaniche tali da acidificare un oceano.
Moltissimi asteroidi hanno colpito la Terra nel passato geologico e si sospetta che siano responsabili delle catastrofiche estinzioni di massa che hanno causato la scomparsa di innumerevoli specie animali. Non è facile trovare tracce di asteroidi se caduti sulla crosta oceanica; quest’ultima è basaltica e non può essere più antica di circa 190 milioni di anni, a causa dei processi di subduzione sotto la crosta continentale, la quale è invece formata da placche granititiche meno dense rispetto al basalto dei fondi oceanici, per cui resta alla superficie e può, in certe zone, sfiorare un’età di 4 miliardi di anni. Solo sulla crosta continentale, quindi, le tracce dei crateri da asteroidi hanno probabilità di non essere cancellate.
Uno di questi è quello di Chicxulub, nello Yucatan, il cui anello interno ha un diametro di circa 180 km, e fu provocato da un asteroide del diametro di 10-12 km, che causò un’esplosione di potenza pari a 190 gigatoni, con totale devastazione del pianeta. L’impatto ebbe luogo 65-66 milioni di anni fa e provocò uno tsunami gigantesco che si sparse a cerchi concentrici in tutte le direzioni, colpendo specialmente l’isola di Cuba. L’emissione di polvere e particelle provocò sconvolgimenti climatici simili all’inverno nucleare, lasciando la superficie della Terra totalmente coperta da una nube di polvere per molti anni. Sono pure state trovate tracce di impatti minori, circa della stessa età di Chicxulub, tutti tra le latitudini di 20°N e 70°N. Alcuni esempi includono il cratere Silverpit nel http://it.wikipedia.org/wiki/Mare_del_“>Mare del Nord, ed il Cratere Boltysh in Ucraina, entrambi molto più piccoli rispetto a Chicxulub; più probabilmente sembrano essere stati causati da oggetti con diametro dell’ordine del centinaio di metri. Sembra quindi che l’asteroide di Chicxulub fosse il centro di un suo sistema di piccole lune. L’evento provocò, fra l’altro, l’estinzione dei dinosauri, delle ammoniti e delle belemniti e segnò il limite fra l’era mesozoica (l’età dei grandi rettili) e quella cenozoica (l’età dei mammiferi). Non occorre sottolineare che se un impatto del genere si verificasse oggi — e niente garantisce che non si ripeta — l’umanità, o piuttosto la sua esistenza materiale, sarebbe spazzata via.
Un cratere di dimensioni leggermente maggiori è stato scoperto da rilevamenti satellitari nella piattaforma continentale a nord-ovest dell’Australia: quello di Bedout, causato da un impatto forse leggermente più grande di quello di Chicxulub, e risalente a 251 milioni di anni fa, e cioè all’epoca di un’estinzione di massa che segna il confine tra l’era paleozoica e la mesozoica e che spazzò via la maggior parte delle specie, soprattutto quelle di maggiori dimensioni (anfibi giganti, rettili pelicosauri e pareiasauri, ecc.) esistenti prima dell’impatto.
Tre altre simili estinzioni di massa sono conosciute, ma non sono stati scoperti crateri di età corrispondente, ciò che tuttavia potrebbe spiegarsi con impatti avvenuti su crosta basaltica oceanica successivamente distrutta dal suaccennato fenomeno di subduzione. Una si è verificata alla fine dell’Ordoviciano (ca. 440 milioni d’anni fa), un’altra nel tardo Devoniano (375 milioni d’anni fa), e un’altra ancora alla fine del Triassico (201 milioni d’anni fa). Tuttavia è notevole il fatto che le prime due di queste estinzioni sono collegate ad un intenso raffreddamento globale che è proprio la situazione di “inverno nucleare” quale ci si aspetterebbe di trovare in seguito all’impatto di un grande asteroide. L’episodio della fine del Triassico viene solitamente collegato al riscaldamento e all’enorme inquinamento acido dell’atmosfera causati dalle gigantesche eruzioni vulcaniche connesse alla frantumazione della Pangea; tuttavia il colpo di grazia sarebbe stato un impatto di asteroide.
Anche asteroidi molto più piccoli di quelli di Chicxulub e di Bedout possono causare gravissimi danni. Circa 14,4 milioni di anni fa un asteroide del diametro pressappoco di un chilometro, accompagnato da un piccolo satellite di circa un centinaio di metri, colpì la Paleo-Europa. Non era abbastanza grande da causare un’estinzione di massa, ma sconvolse il continente sterminando intere flore e faune e cambiando il reticolo idrografico: il Paleo-Meno, già affluente del Paleo-Danubio, finì per defluire in direzione opposta e divenne affluente del Paleo-Reno.
Pur senza causare devastazioni così gravi, anche molti asteroidi più piccoli potrebbero essere estremamente dannosi, solo per il fatto di contenere grandi quantità di cloro e di bromo che potrebbero evaporare nell’atmosfera, distruggendo l’ozono ed esponendo così gli organismi a pericolose dosi di raggi ultravioletti del Sole.
Per inciso, notiamo che questi dati oggettivi ridicolizzano il dogma laicista dell’attualismo, secondo il quale i fenomeni geologici del passato sarebbero identici a quelli attuali, e le grandi trasformazioni della crosta terrestre sarebbero dovute all’azione cumulativa di piccole trasformazioni avvenute in periodi lunghissimi, escludendo qualsiasi improvvisa catastrofe. L’attualismo sorse nell’illuminista e massonica Edimburgo, “l’Atene del Nord”, come veniva orgogliosamente chiamata, ad opera di James Hutton (1726-1797) e Charles Lyell (1797-1875). Sia Hutton che Lyell erano massoni, atei e violentemente ostili al Cristianesimo: i loro studi furono costantemente impostati in diretta polemica contro la Bibbia, dove si parla di catastrofi come il diluvio universale e l’improvvisa distruzione di intere città (Sodoma e Gomorra) e si profetizza la fine del mondo per quando i peccati dell’umanità avranno raggiunto il colmo. Agli atei faceva comodo credere e far credere che tutto scorresse invece in modo sempre uguale, possibilmente per l’“eternità”, in un mondo senza Creatore e senza fine (e senza finale Giudizio). Come tutte le fantasie atee, trovò prontamente ammirazione e sostegno nei salotti buoni laicisti-massonici politicamente corretti del tempo.
Ancor oggi molti paleontologi hanno difficoltà ad accettare che le estinzioni di massa possano essere causate da impatti di asteroidi o teste di comete. Le radici attualistiche delle scienze geologiche li trattengono ancora fortemente. Ad alimentare tale opposizione contribuisce naturalmente anche la differenza di formazione fra i naturalisti, addestrati all’osservazione e all’analisi dettagliata, e i fisici, che tendono invece alla sintesi sostenuta da metodi quantitativi. Gli impatti, comunque, sono innegabili e le loro conseguenze (terremoti e maremoti, incendi, acidificazione nell’atmosfera e nell’idrosfera, inverno nucleare, crollo delle catene alimentari, estinzioni di specie) sono ormai ben note.
La minaccia di un impatto da asteroide viene oggi presa molto sul serio e sono stati formulati diversi progetti per farvi fronte: si pensa di deviare un simile corpo celeste che si avvicini troppo alla Terra facendovi esplodere cariche nucleari nelle vicinanze, o prendendolo “a rimorchio” impiantandovi razzi o inserendovi “vele” di fibra di carbonio per “catturare” il vento solare (sic). Ma le probabilità di successo appaiono praticamente nulle, anche perché la maggior parte degli asteroidi sono multipli, certuni addirittura “a mucchi di macerie”, e il più potente bombardamento nucleare sarebbe assolutamente inefficace, così come qualunque tentativo di “prenderli a rimorchio”. Ammesso che si potesse organizzare in tempo una missione spaziale per andare incontro allo sgradito visitatore, gli astronauti non troverebbero un’unica roccia a cui ancorare un propulsore a razzo o una “vela”, ma un cumulo di innumerevoli sassi, tetragoni anche ad un’esplosione nucleare, la quale non potrebbe che allontanarli un poco l’uno dall’altro, dopodiché le rocce spaziali si riunirebbero di nuovo in seguito alla forza di gravità, e anche se restassero separate si sarebbe riusciti soltanto a trasformare un singolo impatto in una grandinata micidiale su tutta la Terra. Per quanto difficile sia difendersi contro gli asteroidi, essi almeno gravitano sull’eclittica (in maggioranza fra le orbite di Marte e di Giove, con qualche pericoloso avvicinamento alla Terra), per cui sono in qualche modo prevedibili.
Ma le comete, la cui testa, se colpisse la Terra, potrebbe avere il medesimo effetto di un asteroide, provengono dalla nube di Oort, una nube di forma sferica ben al di là dell’orbita di Plutone, e possono apparire in qualunque momento da qualsiasi direzione. Lo spazio nel quale il nostro pianeta si muove non è un ambiente molto sicuro, tranquillo e “materno”. E c’è dell’altro.
ERUZIONI SOLARI
La parte più esterna dell’atmosfera del Sole è la corona, che si estende per milioni di chilometri, è formata da gas (soprattutto http://it.wikipedia.org/wik“>idrogeno) e vapori provenienti dagli strati sottostanti dell’atmosfera solare, ed è estremamente calda (fino a milioni di gradi Celsius), così che la materia in essa contenuta è sotto forma di plasma. L’energia e il flusso di particelle tende a sfuggire alla gravitazione solare, ma in parte si dirige anche verso l’interno del Sole, ciò che provoca alla superficie giganteschi movimenti sismici. Le correnti caldissime di plasma che emergono dalla superficie solare, si orientano secondo la struttura curvilinea delle linee magnetiche, tendono a lacerarsi e a distendersi nuovamente: riunendosi liberano energia, ciò che provoca nuove lacerazioni nelle linee magnetiche, finché si scatena un’eruzione coronale. L’altissima temperatura della corona impedisce alla forza gravitazionale del Sole di trattenere il vento solare, composto da elettroni e protoni, con un contributo minore di particelle alfa (nuclei di elio, circa il 4%) ed altri elementi. Fino a cento miliardi di tonnellate di materia possono essere scaraventate nello spazio da una singola eruzione. Si tratta di un plasma ad una temperatura, in prossimità della Terra, di 100.000 gradi, con una velocità media di 1,7 milioni di km/h, una minima 720.000 km/h e una massima di 3,2 milioni di km/h. In corrispondenza delle zone polari solari vi sono buchi coronali permanenti che emettono forte vento solare, mentre dal resto della superficie solare le eruzioni coronali si verificano con maggior frequenza nei periodi di massima attività delle macchie solari, che hanno un ciclo di attività undecennale.
In direzione della Terra il vento solare devia all’altezza di un fronte d’urto a circa un diametro terrestre di distanza dal nostro pianeta, scontrandosi col campo magnetico del pianeta, schiacciandolo e distorcendolo. Nelle cuspidi della magnetosfera terrestre vi sono varchi attraverso i quali entra il vento solare che viene deviato verso le regioni polari, dove ionizza gli atomi di azoto e di ossigeno, i quali disperdono l’energia in eccesso in forma di luce, causando le aurore polari, per la maggior parte fluttuanti a circa 100 km dalla superficie terrestre, di colore bluverdastro dovuto all’ossigeno e rosso dovuto all’azoto.
Un’eruzione coronale provoca pure un’intensa emissione di raggi ultravioletti. Dopo l’immane eruzione del 1859 si verificò negli Stati Uniti un piccolo ma significativo aumento di malattie della pelle (Plait 2010), ma l’effetto maggiore è lo scatenarsi di tempeste magnetiche nell’atmosfera, da cui l’attivarsi della classica induzione magnetica di Faraday, che colpisce la crosta terrestre, specie i buoni conduttori di elettricità come binari ferroviari, condutture elettriche e oleodotti, causandone la corrosione e abbreviandone la vita.
La tempesta magnetica del marzo 1940 causò gravi danni al sistema elettrico del Québec, dell’Ontario e del Nord-Est degli USA. Con l’aumento del consumo di elettricità e la crescente diffusione delle comunicazioni elettroniche, la Terra, specie alle alte latitudini, diventa sempre più vulnerabile. L’intero sistema elettrico e le comunicazioni elettroniche, tutti elementi essenziali della civiltà moderna, sono esposti a tempeste energetiche capaci di danneggiarli gravemente.
La mattina del 24 aprile 1984, un improvviso blackout di oltre un’ora colpì l’emisfero settentrionale e venne avvertito anche sull’Air Force One che stava portando il presidente Donald Reagan diretto a Guam e in Cina, mentre il presidente stava parlando con i suoi collaboratori a Washington, D.C. Il fenomeno era dovuto a una scia di macchie solari estendentesi sulla superficie del sole per 280.000 km. Venne chiamata Regione Attiva 4474. L’area era satura di energia elettrostatica e magnetica e aveva prodotto enormi brillamenti, con immani esplosioni di radiazioni e un rarissimo brillamento di luce bianca, nonché la più forte emissione di raggi X mai registrata. La regione 4474 generò un’esplosione equivalente a miliardi di bombe H, che riscaldarono l’atmosfera solare portandola a una temperatura di decine di milioni di gradi e proiettandone miliardi di tonnellate nello spazio. Le onde d’urto dello scoppio si ripercossero tra i pianeti. L’energia compressa nella nube di gas espulsa raggiunse la Terra, scatenando una delle peggiori tempeste magnetiche mai registrate: il suo campo magnetico sconvolse quello terrestre, causando un blackout delle comunicazioni radio.
Nella primavera del 1989 una serie di tempeste magnetiche di eccezionale violenza causò la penetrazione di una nube di plasma solare fino al suolo, causando un vastissimo blackout nel Québec e nell’Est degli USA fino alla Virginia. La porte automatiche dei garages in California cominciarono ad aprirsi e chiudersi senza apparente motivo. Alcuni satelliti in orbite polari andarono fuori controllo per diverse ore.
Gravissimo è il rischio per le missioni spaziali con equipaggi. Se una navetta si trovasse nello spazio fuori della protezione offerta dalla magnetosfera terrestre, gli astronauti rischierebbero leucemia, cancro, cateratta, cecità, danni genetici, sterilità, perdita di conoscenza, e perfino, nel caso di brillamenti di particolare intensità, una morte piuttosto rapida. Gli astronauti riferirono di aver visto, durante le missioni lunari, bagliori nei loro occhi; un esame dei loro caschi dopo il rientro rivelò microscopici fori causati da protoni e nuclei di elio che avevano evidentemente attraversato le loro teste.
Nell’autunno del 2003 una serie di tempeste solari di inaudita violenza si fece sentire in tutto il Sistema Solare. L’onda d’urto investì Marte, deformando e strappando una parte della sua atmosfera, poi infranse il campo magnetico di Giove e poi quello di Saturno. Sulla Terra i suoi effetti furono limitati solo perché le eruzioni di plasma non erano dirette verso il nostro pianeta. Se un simile evento ci colpisse, gli effetti in termini di blackout energetici ed elettronici sarebbero probabilmente ancor più gravi di quelli registrati nel 1989 (Whitehouse 2004).
STELLE A NEUTRONI
Le stelle a neutroni sono “cadaveri stellari”, che si formano quando le parti centrali di una stella massiccia hanno esaurito il combustibile nucleare, e si trovano quindi incapaci di resistere all’attrazione gravitazionale. Una tipica stella a neutroni ha un diametro di 20 km, ha una massa minima di 1,4 volte quella del Sole (altrimenti sarebbe rimasta una nana bianca) e una massima di 3 volte quella del Sole (altrimenti sarebbe collassata in un buco nero). La sua rotazione è spesso molto rapida, per la citata legge di conservazione del momento angolare. La maggior parte delle stelle a neutroni ruota con periodi da 1 a 30 secondi, ma ne esistono alcune che arrivano a pochi millesimi di secondo.
Le parti centrali della stella collassano velocemente e il collasso è tanto più rapido quanto più densi sono gli strati, andando a formare una protostella a neutroni, mentre le parti più esterne della stella, che collassano più lentamente, vanno a scontrarsi con gli strati superficiali dell’astro, che ne arrestano la caduta, e ne invertono la direzione di moto. Questo genera un’onda d’urto che si muove verso l’esterno, con violenta emissione di particelle.
La materia alla superficie di una stella a neutroni è composta da nuclei ordinari ionizzati. Più in profondità si incontrano nuclei con quantità sempre più elevate di neutroni: questi nuclei decadrebbero rapidamente in condizioni normali, ma sono mantenuti stabili dall’enorme pressione. Ancora più in profondità si trova una soglia sotto la quale i neutroni liberi si separano dai nuclei e hanno un’esistenza indipendente. Andando verso il centro i nuclei diventano sempre meno, mentre la percentuale di neutroni aumenta. La natura esatta della materia superdensa che si trova al centro non è ancora stata chiarita, forse una mistura superfluida di neutroni con tracce di protoni ed elettroni, particelle ad alta energia come pioni (mesoni composti di quark di prima generazione) e kaoni (mesoni con numero quantico della stranezza). Le curve di raffreddamento di alcune stelle a neutroni confermerebbero l’ipotesi di stati superfluidi (e anche superconduttivi), almeno in alcune zone degli strati interni di tali astri.
Le manifestazioni di una stella a neutroni sono tre: pulsar (termine generico indicante una stella di neutroni che emette impulsi direzionali di radiazione rilevabili sulla Terra), eruzioni a raggi X (risultato di una stella a neutroni con una compagna binaria di piccola massa, dalla quale estrae materia che va a cadere sulla sua superficie; la materia che cade acquista un’enorme energia, produce raggi X ed è irregolarmente visibile), magnetar (un ripetitore gamma soft con un campo magnetico molto potente).
Le magnetar non sono facili da scoprire e piuttosto rare, ma rappresentano forse gli oggetti più pericolosi della galassia (Plait 2010). I loro campi magnetici sono molti milioni di miliardi di volte più forti del campo magnetico terrestre, nascono all’interno della stella ed escono attraverso la superficie. Terremoti stellari, che superano il grado 30 della scala Richter, possono sconvolgere il campo magnetico della stella, causando una super-eruzione che libera enormi quantità di energia. Nel dicembre 2004 una di tali super-eruzioni di una magnetar lontana 50.000 anni luce raggiunse la Terra ed ebbe effetti misurabili sull’atmosfera terrestre.
SUPERNOVE
Una supernova emette l’intera gamma dello spettro elettromagnetico: onde radio, raggi infrarossi, luce visibile, raggi ultravioletti, raggi X e raggi gamma ad alta energia, e può essere più luminosa di un’intera galassia. Si forma quando l’idrogeno nel nucleo di una stella massiccia si esaurisce, finchè il nucleo interno della stella è interamente costituito da nuclei di elio, che richiedono temperature ancora più alte ed una pressione più elevata per fondersi. La massa del nucleo aumenta, mentre cresce la pressione dell’energia gravitativa, finché le condizioni fisiche permettono la fusione dell’elio a formare carbonio e ossigeno. Questo processo di fusione nucleare libera maggior energia di quella alimentata dall’idrogeno, così che la stella diventa più luminosa. L’energia in eccesso liberata dal nucleo stellare raggiunge l’involucro esterno ancora costituito da idrogeno, dove la temperatura non è ancora abbastanza elevata per alimentare la fusione. Questo distrugge l’equilibrio tra la pressione e la gravitazione, per cui la stella reagisce come qualsiasi gas riscaldato: si espande. Nel frattempo gli strati esterni si raffreddano e la stella diventa rossa: una gigante rossa.
Stelle molto massicce, con masse molte volte superiori al Sole attraversano numerosi altri stadi ad intensità energetica sempre maggiore: il carbonio viene trasformato in neon, ciò che libera ancor più energia; poi il neon viene trasformato in magnesio e ossigeno, e l’ossigeno in silicio, poi il silicio in ferro; quest’ultimo stadio viene raggiunto solo dalle stelle di massa almeno venti volte superiore a quella solare. Verso la fine del ciclo vitale, una stella massiccia ha una struttura stratificata: lo strato esterno è formata dall’idrogeno superstite, al di sotto vi è uno strato di elio, che ne racchiude uno di carbonio; ulteriori strati, di neon, ossigeno, silicio, si susseguono fino all’interno della stella, il cui nucleo è formato di ferro al calor bianco. Il ferro, tuttavia, non è suscettibile di fusione nucleare, e quando se ne è formato a sufficienza, la stella massiccia giunge a morte, perché il suo nucleo non è più in grado di produrre energia e l’enorme quantità di elettroni nel nucleo viene a trovarsi in condizioni talmente estreme per altissima temperatura e fortissima pressione da trasformarsi in materia degenerata, che tuttavia riesce a resistere alla forza di gravità solo fino ad un certo punto.
Dato il sempre crescente accumulo di ferro nel nucleo, la massa di quest’ultimo aumenta costantemente, così come la sua forza gravitazionale. Se la massa del nucleo di ferro supera 1,4 volte la massa solare, la materia degenerata non è più in grado di fare da contrappeso alla gravitazione. Il nucleo collassa in un millesimo di secondo, alla velocità di 70.000 chilometri al secondo (circa un quarto della velocità della luce), da un diametro di molte migliaia di chilometri ad una sfera di pochi chilometri. Questo collasso riscalda il nucleo fino ad un miliardo di gradi, causando fotodissociazione in conseguenza dei raggi gamma ad alta energia, che possono distruggere perfino nuclei atomici: il collasso forma un improvviso, nel quale la materia viene risucchiata a velocità prossime a quelle della luce.
Da ciò si scatena un potente contraccolpo che inverte il movimento delle masse gassose scaraventandole nuovamente verso l’esterno ad altissima velocità. Tuttavia questo contraccolpo non basta a far esplodere la stella, e le masse gassose degli strati esterni tornano ad essere sottoposte a pressioni e temperature estreme, così che da protoni ed elettroni si formano non solo neutroni ma anche particelle subatomiche dette neutrini, di massa estremamente piccola, tanto da muoversi a velocità prossime a quella della luce e poter attraversare enormi quantità di materia senza esserne assorbite. Nel lasciare il nucleo, i neutrini gli sottraggono l’energia liberata dal collasso. La quantità di energia trasportata dai neutrini in un’unica emissione può essere pari all’energia emessa dal Sole nell’intera sua esistenza. In dieci secondi può venire emessa la vertiginosa quantità di neutrini pari a 1 seguìto da 58 zeri.
Contemporaneamente le masse di gas degli strati esterni ricadono nuovamente verso il nucleo, scontrandosi con i neutrini in uscita. Sebbene i neutrini possano attraversare senza problemi la materia normale, incontrano un guscio gassoso di densità così elevata che molti neutrini vengono frenati e deviati, e una certa quantità di essi (forse l’1%) viene assorbita, e questa minuscola frazione è sufficiente a caricare il guscio stesso di una quantità di energia pari a quella di cento miliardi di soli, che esce come un immenso lampo dalle masse gassose dello strato esterno della stella, le sconvolge e le fa esplodere. Molti quadriliardi (un quadriliardo è pari a 1027, o 1 seguìto da 27 zeri) di tonnellate di materia stellare esplodono verso l’esterno ad una velocità di parecchie migliaia di chilometri al secondo. Per ottenere almeno una vaga idea del significato di queste cifre, si tenga presente che 1020 (1 seguìto da 20 zeri) è già superiore al numero di secondi di esistenza dell’universo stesso.
L’evento è tanto gigantesco che perfino la piccola percentuale di energia trasformata in luce è chiaramente visibile in tutto l’universo. Inoltre la supernova emette enormi quantità di radiazioni elettromagnetiche (raggi X, gamma e ultravioletti). L’onda di pressione scatenata dall’esplosione si ripercuote negli strati esterni della stella, così che pressione e temperatura salgono al punto da rendere possibile la fusione nucleare. In questo modo si formano elementi più pesanti del ferro, poiché le condizioni generate dall’onda di pressione sono di gran lunga ancor più estreme di quelle nel nucleo della stella. Molte particelle dotate di massa vengono più fortemente accelerate di altre e le inevitabili collisioni che ne derivano provocano ondate di pressione ancor più gigantesche. I raggi X e gamma di una stella gigante giunta al parossisismo potrebbero danneggiare l’ozonosfera terrestre (Plait 2010), ma solo se la stella si trovasse a 25 anni luce o meno.
Invece, il più vicino a noi di questo tipo di astri è la supergigante rossa Betelgeuse, nella costellazione di Orione, a 642 anni luce dalla Terra, una distanza di quasi certa sicurezza che ridicolizza le “profezie” neopagane sulla fine del mondo basate sul calendario Maya, le quali insistevano appunto su una possibile esplosione di Betelgeuse. Di certo, anche se in questo caso non sembra esservi rischio per la Terra, si resta sbalorditi di fronte alla violenza estrema dell’universo, che ci mostra un cielo stellato in apparenza così sereno e tranquillo.
ESPLOSIONI DI RAGGI GAMMA
Nel caso di un collasso del nucleo di una stella estremamente massiccia, la materia e l’energia vengono concentrate in due fasci di radiazioni. Questi getti possono durare solo un paio di secondi, ma contengono più energia del Sole nella sua intera esistenza.
Eta Carinae è una stella gigantesca nel cielo australe, nella costellazione della Carena, e si trova a circa 7500 anni luce di distanza. Sembra si tratti di una stella doppia, e che la massa di una delle due stelle sia pari a un centinaio di volte la massa del sole. Nel 1843 su Eta Carinae vennero osservate gigantesche convulsioni, di intensità di poco inferiori a quelle di una supernova, con intensa espulsione di materia. Quando questa stella esploderà, potrebbe dar luogo a una supernova gigante (ipernova) o ad un’esplosione di raggi gamma. Che succederebbe se i getti di Eta Carinae esplodesse come ipernova proprio nella nostra direzione? La sua luminosità diverrebbe decupla di quella della luna piena. Riceveremmo dosi enormi di raggi ultravioletti, sia pure per un breve periodo. Chi si trovasse all’aperto potrebbe riportarne una lieve scottatura. I raggi gamma e X assorbiti dall’atmosfera avrebbero effetti assai più gravi di quelli provocati dalla più vicina supernova.
La conseguenza immediata sarebbe un potente impulso elettromagnetico, molto più forte di quello che si verificò nel 1962, quando, con l’esercitazione militare denominata “Starfish Prime”, le forze armate statunitensi fecero esplodere sulle isole Hawaii, annesse agli Usa da soli tre anni, un ordigno nulceare di 1,4 megatoni a una quota di 400 chilometri: l’impulso elettromagnetico generò un sovraccarico che spense l’illuminazione stradale e fece fondere le linee ad alta tensione, lasciando al buio case e ospedali e guastando irreparabilmente radio e televisori.
Un’esplosione di Beta Carinae rivolta verso la terra avrebbe conseguenze devastanti per l’atmosfera terrestre, anzitutto per l’ozono, massicciamente dissociato dai raggi gamma: ne verrebbe distrutto dal 35 al 50% o più. Le conseguenze si continuerebbero a risentire per anni; perfino dopo un quinquennio mancherebbe ancora un 10% dell’ozono, con notevoli pericoli per la salute umana e le catene alimentari. I raggi gamma causerebbero una massiccia sintesi di biossido di azoto, che assorbirebbe la luce solare facendo sensibilmente raffreddare la superficie terrestre. Si aggiunga a questo una cospicua acidificazione dell’atmosfera e dell’idrosfera, con devastanti piogge acide.
Gravissimi danni causerebbero i raggi cosmici, non più frenati a causa dei danni subiti dall’atmosfera: una vera pioggia di mioni (particelle a carica negativa di massa intermedia fra quelle dell’elettrone e del protone). La superficie terrestre sarebbe colpita da non meno di 50 miliardi di mioni per centimetro quadrato, ciò che per un corpo umano non protetto corrisponde al decuplo della dose mortale. La maggior parte degli animali e della piante sarebbero quindi morti da tempo prima che potessero farsi sentire i danni causati dall’assottigliamento dell’ozono (Plait 2010).
Vi è un’altra stella, contrassegnata come WR104, nella costellazione del Sagittario, che potrebbe regalarci un’eplosione di raggi gamma: si tratta di un sistema binario, in cui l’astro maggiore della coppia è una stella massiccia il cui ciclo di esistenza si avvicina alla fine. WR 104 si trova all’incirca alla stessa distanza di Beta Carinae, circa 8000 anni luce dalla Terra. I http://it.wikip“>venti stellari dei due astri generano una spettacolare quanto rarissima nube a spirale di estensione pari forse a 20 volte il nostro Sistema Solare. L’asse di rotazione di WR 104 è allineato proprio nella nostra direzione e il lampo gamma potrebbe colpirci in pieno, spazzando via circa il 25 % dell’http://it.wikipedia.org/wiki/Atmosfera_terrestr“>atmosfera terrestre, con effetti devastanti per il nostro pianeta. Poiché i raggi gamma viaggiano alla velocità della luce non vi sarebbe alcun preavviso.
MORTE DEL SOLE
Anche il Sole morirà. La cosa non ci tocca molto da vicino, perché prima che ciò avvenga dovranno passare miliardi di anni. Comunque non è privo di interesse, spirituale oltre che scientifico, prenderne atto, come segno del tramonto inevitabile della materia e quindi del pietoso fallimento del materialismo.
Poiché il Sole non è abbastanza grande da attivare la fusione nucleare dell’elio, sta formando un nucleo di elio incandescente, riscaldando sempre più l’interno del Sole, e questo calore si diffonde anche alla superficie, e in seguito a questo riscaldamento il Sole diviene più luminoso. Oggi è circa del 40% più luminoso rispetto all’inizio del processo di fusione nucleare e lo diverrà sempre più, man mano che al suo interno si accumulano sempre maggiori quantità di elio.
Oltre a diventare più luminoso, il Sole si espanderà. Il vento solare diventerà sempre più forte ed espellerà gli strati più esterni dell’atmosfera. Dopo 7 miliardi di anni non vi sarà più idrogeno. Metà della massa solare si appoggerà direttamente sul nucleo di elio, comprimendolo. L’aumento di pressione farà aumentare la temperatura, finché l’idrogeno che forma un sottile strato intorno al nucleo comincerà a fondersi.
Questo processo di fusione libererà energia, ciò che aumenterà ancor più il calore all’interno del Sole, per cui gli strati esterni reagiranno espandendosi. Per circa 700 milioni di anni il Sole sarà in condizione di “sub-gigante”. La superficie si raffredderà e il Sole apparirà di color arancio. All’età di 11,6 miliardi di anni, l’elio nel nucleo degenererà: aumenterà la temperatura ma non la pressione. Gli strati esterni si espanderanno ancora, fino a 100- o 150 volte l’attuale dimensione, mentre la luminosità aumenterà di 2400 volte e il colore diverrà completamente rosso: sarà così nata una gigante rossa. In proporzione all’espansione della stella, rallenterà anche la sua rotazione, in accordo con la solita legge di conservazione del momento angolare. Attualmente una rotazione del Sole dura un mese, come gigante rossa occorreranno più di otto anni.
La forza gravitazionale alla superficie si ridurrà a meno di 1% rispetto a quella della Terra. Pochissimo trattenute dalla debolissima gravità, le particelle della superficie verranno spazzate via e il Sole perderà una cospicua parte della sua massa, e ciò ne indebolirà ancor più la forza gravitativa, per cui i pianeti se ne allontaneranno sempre più: solo Mercurio e forse Venere potrebbero essere inghiottiti. La Terra sfuggirà, e dopo 8 miliardi di anni seguirà un’orbita molto più lontana. Naturalmente, sul pianeta non vi sarà più vita, gli oceani saranno evaporati, la superficie sarà completamente fusa.
Divenuto gigante rossa, il Sole avrà un diamentro di 240 milioni di chilometri. A circa 7,7 miliardi di anni da oggi, il nucleo del Sole raggiungerà la temperatura di 55 milioni di gradi, tanto da permettere la fusione di elio a formare carbonio: un processo particolarmente sensibile alle oscillazioni di temperatura: un lieve riscaldamento farà accelerare moltissimo la fusione e ciò farà salire ancor più la temperatura, da cui un ulteriore aumento della velocità di fusione.
In pochi secondi il processo andrà fuori controllo e il nucleo di elio del Sole esploderà come una bomba, liberando la medesima quantità di energia come tutte le altre stelle della galassia messe insieme: si tratta del cosiddetto “lampo dell’elio”. Non si tratterà di una supernova: la materia degenerata assorbirà l’energia liberata, e ciò renderà nuovamente normale la materia degenerata. La pressione resterà elevata, senza tuttavia ritornare alle strane condizioni quantiche precedenti, mentre l’incontrollata fusione di elio verrà indebolita e un minor calore raggiungerà lo strato esterno.
In breve tempo (circa un milione di anni), appena la gigante rossa avrà raggiunto la massima espansione, comincerà a contrarsi, fino a 14 milioni di chilometri, con lo strato esterno alla temperatura di circa 4500 gradi Celsius. La luminosità diminuirà, come pure il vento solare. Nel nucleo del Sole si formeranno carbonio e ossigeno, ma entrambi gli elementi resteranno inerti, poiché la temperatura nel nucleo è troppo bassa per poter avviare il processo di fusione. Il nucleo si contrarrà e il Sole comincerà di nuovo a riscaldarsi.
Nei successivi 20 milioni di anni il Sole diverrà sempre più luminoso e si espanderà fino a 30 milioni di chilometri, mentre l’elio nel nucleo si esaurirà. Il carbonio e l’ossigeno nel nucleo cominceranno a contrarsi e il Sole diverrà nuovamente una gigante rossa, raggiungendo un diametro molto maggiore di prima, e questa volta con rapidità molto maggiore, poiché carbonio e ossigeno hanno caratteri fisici diversi dall’elio. La seconda espansione non richiederà, come la prima, 600 milioni di anni, ma soltanto 20 milioni.
Il Sole emetterà 3000 volte più energia rispetto ad oggi, e il vento solare riprenderà forza. Circa 7,76 miliardi di anni da oggi, il nucleo di carbonio e ossigeno subirà una tale compressione da degenerare. In un sottile strato, leggermente degenerato, che circonda il nucleo, continua la fusione dell’elio, mentre la fusione dell’idrogeno nello strato soprastante è ancor più dipendente di prima dalla temperatura. Ogni minimo aumento di temperatura condurrà ad un fulmineo quanto enorme aumento della velocità di fusione che si scaricherà in un enorme lampo di energia. Questa volta, tuttavia, gli strati esterni del Sole non avranno tempo di espandersi captando l’energia addizionale. In pochi anni il Sole espellerà enormi quantità di materia.
Dopo che l’energia si sarà scaricata in un lampo, il guscio di elio impiegherà circa 100.000 anni per raffreddarsi, e poi il processo si ripeterà, giungendo ad un secondo lampo di energia e di espulsione di materia. Dopo altri 100.000 anni seguiranno un terzo e poi un quarto lampo ed espulsione di materia. Durante queste periodiche eruzioni il Sole si espanderà nuovamente, raggiungendo un diametro di 320 milioni di chilometri, che basta a raggiungere l’attuale orbita terrestre. Ma la Terra a quell’epoca si sarà molto allontanata, ma sarà spaventosamente riscaldata, fino ad oltre 1000 gradi Celsius, e sarà investita, alla velocità di molti chilometri al secondo, da mille miliardi (1015) di tonnellate di materia.
Dopo la quarta esplosione di questo genere, anche l’ultimo resto del guscio di elio sarà stato espulso. Una buona metà della massa solare sarà ormai dispersa nello spazio: resterà solo il nucleo di carbonio e ossigeno, avvolto da un sottile strato di elio estremamente caldo. Il nucleo avrà all’incirca le dimensioni della Terra e sarà formato dalla metà residua della massa, per cui avrà una densità elevatissima. Irraggerà calore, avendo una temperatura di circa 110.000 gradi Celsius e una luminosità molte migliaia di volte più forte del Sole odierno.
Ma senza fusione manca una fonte di energia. Circondato da una nube planetaria che finirà per mescolarsi col gas galattico e diventare indistinguibile da esso, il Sole sarà ridotto a una nana bianca. Sarà ancora abbastanza caldo da emettere raggi ultravioletti, ma irraggerà sempre meno luce man mano che si raffredderà: il suo colore passerà dal bianco al blu, poi al giallo, all’arancione, al rosso. Infine irraggerà nell’infrarosso, finché in un paio di milioni di anni si ridurrà ad essere invisibile (Plait 2010).
Dopo oltre 12 miliardi di anni e una movimentata vicenda di espansione, contrazione ed eruzioni, il Sole sarà morto per sempre.
BIBLIOGRAFIA
PLAIT P. (2010) Tod aus dem All. Wie die Welt einmal untergeht, Hamburg, Rowohlt
VIETRI M. (2006) Astrofisica delle alte energie, Torino, Bollati Boringhieri
WHITEHOUSE D. (2004) The Sun. A biography, London, Wiley
EMILIO BIAGINI
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