ORO O LATTA: QUESTO È IL PROBLEMA
Abbiamo deciso di premiare con opportuni segni del nostro apprezzamento le opere letterarie e cinematografiche che hanno attratto il nostro interesse. Questa rubrica viene aggiornata quando ci pare e il nostro giudizio è inappellabile.
I TRIGOTTI
And the winner is …….
Ecco il vincitore della prossima Aquila d’oro:
RONALD MEESTER (2019) Arrogant. Waarom wetenschappers vaak minder weten dan ze denken, Uitgeverij Ten Have, Utrecht
Segue una recensione di Emilio Biagini.
Nel 2013 alla Vrjie Universiteit di Amsterdam, veniva approvata la dissertazione di Ph.D. di Joris van Rossum, dal titolo On sexual reprodution as a new critique of the theory of natural selection, e il Prof. Ronald Meester, un matematico, era membro della commissione di laurea. La tesi metteva a nudo una delle tante incongruenze del darwinismo: l’incapacità di spiegare l’origine del sesso. Si sono subito scatenate reazioni isteriche di colleghi e della stampa; senza aver nemmeno letto la tesi incriminata, i talebani del darwinismo sono giunti a porre in dubbio l’autorevolezza dell’intera università che permetteva di laureare chi sosteneva simili eresie. Di qui parte Ronald Meester, nel rispondere agli sprovveduti critici, in questo libro dal titolo Arrogant, che non richiede traduzione, e dal sottotitolo che precisa: “Perché gli scienziati sanno molto meno di quel che pensano”.
Meester dichiara di credere nell’evoluzionismo, ma constata che i sostenitori della teoria si spingono troppo oltre, fino a pretendere che spieghi tutto, così che ne fanno un’ideologia e non è più una teoria scientifica. Osserva come la violenza delle polemiche non appena viene messo in dubbio il darwinismo indica che vi è in gioco ben di più di una semplice controversia scientifica. Sembra sia coinvolto e minacciato lo stesso status della scienza. Gli atei dicono che i credenti credono senza prove, mentre essi sarebbero gli unici ad attenersi ai fatti. Il darwinismo avrebbe reso inutile la religione, e il dibattito si fa violento.
Ad oltre un secolo e mezzo dalla nascita del darwinismo non è ancora possibile spiegare come si sia svolta l’evoluzione umana. In compenso il materialismo ha provocato e continua a provocare danni immensi. Gli uomini rischiano di ammalarsi se disconoscono le loro emozioni e la loro dimensione spirituale. Ciò si applica anche alla vita sociale. La nostra vita associata è diventata come un paziente sul filo del rasoio a causa dell’eccessiva attenzione ai fatti materiali, soprattutto economici.
L’autore non è d’accordo con l’assunto di un disegno intelligente, ma neppure è contrario all’idea dell’esistenza di Dio. La religione è una ricca sorgente di saggezza e spiritualità, e non è un sottoprodotto dell’evoluzione. Senza rigettare Darwin è tuttavia un fatto che non comprendiamo quale forza traente stia dietro il processo evolutivo. Dicono i darwinisti che le specie si modificano per cambiamenti casuali. Ma allora dovrebbe esservi disordine, che non si concilia con l’ordine regnante in natura. Parlano di sopravvivenza del più adatto, ma questa è una tautologia che non spiega nulla.
In alcuni casi, afferma l’autore, la selezione è dimostrata, come per la falena Betularia, ma si tratta di selezione all’interno della medesima specie, senza contare che la Betularia non si posa sui tronchi, dove ai predatori, per il contrasto di colori, sarebbe facile individuarla, ma si nasconde tra il fogliame, mentre gli esperimenti sono stati compiuti con Betularie morte e incollate ai tronchi. Allo stesso modo la resistenza di batteri agli antibiotici resta nell’ambito della variazione di una stessa specie: una varietà di batterio viene spazzata via da un antibiotico, la varietà resistente rimane, ma è sempre la medesima specie.
Sull’origine del sesso, Meester sostiene le tesi “eretiche” della dissertazione di van Rossum Nella riproduzione asessuale il genoma passa in blocco da una generazione all’altra. In quella sessuale vengono invece mescolati i caratteri del padre e quelli della madre. Secondo Dawkins ad evolvere è il genoma: un’affermazione basata più su intuizione ed emotività che su prove scientifiche. Inoltre lo studio di gemelli monovulari che hanno esattamente lo stesso genoma dimostra che il genoma non è l’unico determinante delle loro caratteristiche. Per Dawkins l’unità che agisce nella selezione sarebbe il replicatore, il quale cambierebbe e si evolverebbe. Nella riproduzione asessuale il replicatore sarebbe l’intero genoma. Nella riproduzione sessuale il gene come replicatore non ha alcuna relazione con l’individuo. Come si adatta un gene agli altri geni del genoma? Neppure questo è chiaro.
La replicazione del nostro DNA in un modo o nell’altro si collega alla finalità dell’organismo, ma la chimica non è in grado di fornire a questo proposito alcuna risposta. Come può un processo chimico non finalizzato spiegare le finalità dell’organismo? Dawkins e Monod tendono a concludere che il gene è l’unica unità di selezione nel caso di organismi a riproduzione sessuale. Ma il grande problema della riproduzione sessuale è che metà dei geni scompare ad ogni generazione, quindi scompare metà dei duplicatori. Quale sarebbe dunque il vantaggio evolutivo?
In quanto alla coscienza e linguaggio, perfino l’ultramaterialista Dawkins ammette che non vi è una spiegazione evoluzionistica. Che significa prendere una decisione? Può un neurone decidere qualcosa? Nel cervello ha luogo una certa attività, ma quale decisione ne scaturisce? L’idea secondo cui il nostro comportamento è determinato dalla chimica dei neuroni è non provata e insostenibile. L’uomo impara durante la vita e ciò orienta le sue decisioni liberamente prese. Innamorarsi di una persona o credere in Dio non è spiegabile riducendolo ad attività dei neuroni. La complessità e molteplicità della coscienza non si inquadra nel darwinismo. Uno scanning fisiologico del cervello non dice niente su ciò che una persona pensa.
Per la coscienza non esiste una spiegazione materialistica o naturalistica. Ancor più difficile è dare spiegazioni simili per il linguaggio, il ragionamento, la nascita della matematica. La vastità e complessità del ragionamento astratto è tale da non poter essere spiegata in termini di vantaggio evolutivo. Né si spiega come il ragionamento raggiunga l’idea di “verità assoluta”. Come ha potuto svilupparsi il ragionamento astratto in epoche in cui non ve n’era nessun bisogno per la sopravvivenza e per l’adattamento? L’autore tenta una spiegazione del ragionamento astratto in termini di vantaggio nella competizione di tipo darwiniano, ma si tratta di illazioni non confortate da prove, che lo stesso autore considera aperte a molti dubbi.
Ancora più difficile è spiegare come l’uomo riesca a distinguere vero da falso: la selezione naturale non offre alcuna spiegazione. Considerando la complessità del pensiero scientifico, credere che questa capacità di distinzione possa nascere per un processo darwiniano, secondo Meester richiede un atto di fede pari a credere in Dio. E come spiegare darwinianamente la creatività? Come spiegare l’improvvisa illuminazione di un matematico che porta alla soluzione di un problema? Un simile atto è anche emotivo, sembra aprire una finestra sul mondo, è un’intuizione che lega spiritualità e verità.
La reazione a tali ragionamenti, espressi in precedenza da altri, come Thomas Nagel, è stata furiosamente negativa da parte dei talebani del materialismo, i quali vi hanno visto una pericolosa breccia dalla quale avrebbe potuto entrare il creazionismo. Si tratta evidentemente di reazioni emotive che non portano alcun contributo al dibattito scientifico. L’autore dichiara che è perfino immorale giudicare chi avanza dubbi sulle capacità esplicative del darwinismo esclusivamente in base a preconcetti, con contorno di insulti e denigrazione personale, come invece avviene regolarmente. Da aggiungere che questo dimostra solo l’immaturità e la paura di chi si sente mancare il terreno sotto i piedi a causa di un ben argomentato ragionamento che non è in grado di confutare razionalmente. Sembra di vedere il materialismo darwiniano alle corde.
L’autore illustra alcuni dei possibili esempi di simulazioni computerizzate dell’evoluzionismo: giochini al computer in cui una breve sequenza di lettere, ad esempio cinque, viene ripetutamente modificata dal computer in modo che i cambiamenti casuali di una lettera portino ad ottenere quella “giusta” prefissata, la quale non viene più spostata e il giochetto ricomincia con un’altra lettera, e così via finché si ottiene la parola “adatta”.
L’artificiosità dell’intero procedimento salta agli occhi. Anzitutto il processo evolutivo dovrebbe essere casuale, mentre nella simulazione è pilotato. Perché mai una lettera “giusta”, una volta trovata, nel seguito del giochetto non dovrebbe sostituita da una “sbagliata”? Poi che cosa a che fare tutto ciò con l’immensa complessità del patrimonio genetico? Il computer non fa che dare i risultati determinati dall’algoritmo che gli è stato fornito e con i dati che gli sono stati caricati in memoria. Non è stato dimostrato niente e tutto ciò non ha nulla a che fare col mondo vivente. Eppure è con simili giochetti che Dawkins, e consimili materialisti arrabbiati, credono di poter realisticamente simulare l’evoluzionismo darwiniano e persuaderci (e persuadersi) che Darwin ha ragione.
Altri tentativi riguardano simulazioni in cui si richiede che sia il computer a trovare diverse combinazioni di lettere, ciascuna della quali ha un diverso grado di “adattamento”. La prima combinazione a basso grado di “adattamento” si trova facilmente, ma trovare le altre diventa via via sempre più difficile. E siamo ancora al giochetto di sistemare, “in ordine”, alcune lettere. Si tratta evidentemente di caricature della realtà.Nel tentativo di avvicinarsi alla realtà si è tentato di usare simulazioni in cui le unità stesse “evolvono”. Più complesse sono le operazioni del computer tanto più “adatto” sarebbe il programma. In questo modo si pensa di simulare l’evoluzione dal semplice al complesso, dato che il programma costruisce “organismi digitali” di complessità maggiore, che sono sempre rappresentati da sequenze di lettere o di altri simboli. Ma si tratta comunque di risultati che presuppongono una teleologia, la quale cozza frontalmente contro la presunta “casualità” degli organismi secondo il mito darwiniano.
Queste conclusioni erano già state presentate dall’autore in un articolo del 2008, e le reazioni furono negative: Meester fu accusato di simpatizzare per il “disegno intelligente”, senza però che i critici potessero demolire quanto egli aveva scritto. Sono le solite reazioni emotive di chi non vuole essere risvegliato dal sogno del materialismo darwiniano. È una convenzione consolidata dell’establishment scientifico che una teoria stabilita come quella darwiniana non venga abbandonata finché non ne viene trovata una migliore. Il fatto è che una teoria (materialista, ovviamente, perché parlare di Dio e di Creazione è vietato) alternativa al darwinismo non è in vista da nessuna parte.
L’evoluzionismo darwiniano è a un punto morto: si cerca di sostenere ad ogni costo la teoria che fa acqua da tutte le parti, e non merita neppure il nome di teoria ed è sostenuta per motivi che con la scienza non hanno niente a che fare. Inizialmente, infatti, era nata come puntello pseudoscientifico all’imperialismo inglese, adottata poi da quello americano e da tutti coloro che vogliono vivere senza il fastidio dei Dieci Comandamenti e lucrano con la competizione, come gli speculatori e gli usurai mondialisti. La ribellione ad ogni ragionamento critico, anche quello moderatissimo di chi, come Meester continua a dichiarare di essere evoluzionista, è quindi tutt’altro che scientifica, ma semplice arroganza.
Osserva l’autore che la discussione scientifica attuale manca di saggezza (wijsheid): si combatte aspramente su dettagli interpretativi, su minuzie, mentre temi di fondo come l’esistenza di Dio o l’alternativa tra Adamo e la scimmia vengono considerati dilemmi ridicoli. Amore, fortuna, senso dell’esistenza, dolore, amicizia, finalità, sono parole che non appaiono mai nella teorizzazione scientifica. Su ciò che più importa per noi esseri umani le scienze naturali non hanno praticamente nulla da dire. Sebbene l’esercizio della ricerca scientifica richieda grandi doti creative, in pratica si occupa di cose relativamente superficiali.
Un’importante caratteristica della pratica scientifica è il tabù sulla finalità delle cose. Il materialismo la esclude assolutamente, ma nel cosiddetto “processo evolutivo” la finalità finisce per emergere in modo prepotente. Cosa spingerebbe gli organismi ad “evolvere” quando già gli esseri più semplici sono perfettamente adattati all’ambiente? E gli organi non sono finalizzati al compimento delle loro funzioni? Le stesse simulazioni computerizzate dell’evoluzione tendono ad un fine, e quindi non sono più casuali e darwiniste. E si giunge così alla ridicola discussione se le testuggini marine si radunino sulle spiagge allo scopo di depore le uova o se per caso raggiungano le spiagge e per caso vi depongano le uova.
L’autore ritiene che il mondo sia profondamente inspiegabile. Tuttavia i nostri tentativi di comprenderlo formano la base della nostra spiritualità. Dio, fede, religione, spiritualità non si riescono a comprendere attraverso la scienza o alla logica. Neppure si può ridurre tutto a scienza. Una società fondata solo sulla scienza sarebbe, nonostante il nostro benessere, molto povera. La vita non è così semplice da potersi descrivere scientificamente. C’è più sapienza e penetrazione nella religione e nella spiritualità che nella scienza, la quale farebbe bene ad appoggiarsi alla filosofia e alla spiritualità invece di “tenere il naso all’insù”.
Il mondo è un profondo mistero, conclude l’autore. Ogni scienziato dovrebbe sapere che i suoi risultati non si reggono da soli, ma sono sempre relativi ad un determinato quadro filosofico e di saggezza. Non sarebbe questo un buon antidoto contro l’arroganza? Non è un punto di vista popolare, ma l’autore spera (molto ottimisticamente) che i tempi cambino.
EMILIO BIAGINI
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