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L’INTERVISTA

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Le poltroncine, rivestite di cuoio nero, erano eleganti, intorno al grande tavolo dalla lucida superficie di cristallo. Tutta la stanza della redazione giornalistica trasudava funzionalità ed efficienza: almeno, quella dell’architetto che l’aveva progettata. L’intervistatore e il fotografo, invece, sembravano due ultrà appena reduci dalla curva sud.

Il ruolo del fotografo: scattare in continuazione foto all’intervistato, tra le quali sarebbe stata poi scelta quella che lo metteva nella luce peggiore.

Il ruolo dell’intervistatore: mettere in imbarazzo l’intervistato, con una serie di domande, per le quali aveva già ricevuto le opportune imbeccate malevole. Per pubblicare poi le risposte in modo accuratamente distorto, e con un’introduzione opportunamente velenosa.

Ma era giusto, perbacco. L’intervistato, autore di un testo universitario contro corrente, e perciò in odore di inquisizione e rogo politicamente corretti, era proprio antipatico. Per educazione e per rispetto, nonostante i trentacinque gradi all’esterno, si era messo la giacca e la cravatta. Ma non era certo con l’educazione che poteva ammorbidire gli ultrà. Che si aspettava? Era cristiano convinto ed etero. Sperava forse di venire trattato come un essere umano?

D’un tratto si rese conto di un fatto, al quale da principio non aveva fatto caso: da quando era cominciata quella storia, tutti i giornali e tutte le stazioni radio di una ben precisa parte politica erano venute a conoscenza di tutti i suoi numeri telefonici, che non erano su nessun elenco. Non poteva esserci alcun dubbio. Li aveva forniti la politicamente corretta università, che voleva livellare l’insegnamento, in modo che gli studenti ne uscissero con le teste tutte squadrate allo stesso modo con l’ascia, e ben imbottite del vecchio Marx e dei vecchissimi dogmi relativisti e nichilisti. Quei numeri li aveva forniti la stessa persona che aveva urlato:

— Ti faccio la guerra! Sarà terrrrrrrribbbbbile! Ti scateno contro i mass media!

DUCE! DUCE!! DUCE!!!

E li aveva scatenati davvero. Almeno, quelli dove lui e i suoi amicuzzi potevano arrivare.
Le interviste, telefoniche o dirette che fossero, cominciavano e finivano tutte allo stesso modo. Dapprima una voce cortese chiedeva se accettava di essere intervistato. Inizialmente lo lasciavano parlare, perché intanto quello che diceva non sarebbe andato in onda, né sarebbe servito a imbrattare carta di giornale. Poi, nell’intervista vera e propria, ecco arrivare le raffiche di domande preconfezionate. Nessuno ascoltava le sue risposte, il tono si faceva sempre più accusatorio, cincischiando cinque frasi di una riga l’una, avulse dal testo, su un libro di milleseicento pagine.

Sempre le medesime frasi strappate dal contesto, che rimbalzavano da un giornaletto di periferia ad un altro, da un conduttore di radio con ventidue ascoltatori all’altro, perché le medesime imbeccate sulle domande tendenziose provenivano sempre dalla stessa fonte che aveva fornito i suoi numeri telefonici, realizzando la propria minaccia di dare lui e il suo libro in pasto ai mass media.

Era un ping pong. Non c’erano diverse interviste, ma solo una, sempre la medesima, squallidamente la medesima, che rimbalzava qua e là, con quei poveretti costretti a copiarsi l’un con l’altro, ripetendo le medesime inesattezze, i medesimi errori, i medesimi schizzi di bile rossa politicamente corretta. Erano i colpi di un avversario disperatamente a corto di munizioni. E disperatamente frustrato dai risultati elettorali, perché si accorgevano che ringhiare dai mass media non era precisamente il modo più adatto per conquistare voti.
L’intervistato ebbe un leggero moto di indignazione, pensando a tutto quello squallido comportamento persecutorio, ma si rilassò subito. Avrebbe potuto alzarsi e andarsene, ma avrebbe dato l’impressione, del tutto falsa, di temere i suoi avversari, mentre tutta quella cagnara era controproducente, e si sarebbe ritorta contro i suoi persecutori, per i quali sentiva solo pietà. Con questa nuova consapevolezza, si preparò ad affrontare i due ultrà.

MARIA ANTONIETTA NOVARA BIAGINI


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